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Senza Rete

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Rete


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Il web ci ha insegnato il potere dell’effetto di rete: quando connettete le persone e le idee, esse crescono.
Chris Anderson 

In giro c’è una voce che inquieta, che se si avverasse comporterebbe enormi criticità per il proseguo di questa nostra società. Almeno per come l’abbiamo costruita, voluta e accettata. Internet potrebbe sparire.

La sua scomparsa dalle nostre vite è imminente e inevitabile, dicono alcuni scienziati. Gli esperti ci avvertono da anni, ci hanno prospettato il grande collasso digitale, ci hanno detto come potrebbe avvenire, quando e perché. Ma noi non crediamo loro o non vogliamo.

Così come per l’emergenza climatica o per l’emergenza sanitaria tutti sembrano far finta di nulla, fino a che arriverà il momento in cui dovremo fare i conti con un evento che rischierà di cambiare le nostre vite per sempre. E allora non saremo pronti.

Il tema è scottante se teniamo conto di come Internet sia divenuto da strumento di liberazione a un coacervo di manipolazione e dipendenza.

Ci riferiamo al controllo, alla disinformazione, alla polarizzazione e all’odio incendiario online. E anche di come la discriminazione viene automatizzata, così come la censura e la repressione. In definitiva, oggi la rete è anche un’occulta tirannia digitale che neppure George Orwell e Aldous Huxley avevano immaginato.

Insomma, senza Internet il rischio è tra il conflitto e il terrore, tra la pace e il ritorno ad un lockdown interno, quasi un monachesimo ancestrale. È il delirio quello che viviamo oggi o quello che andremmo a vivere un domani senza la rete?

Secondo uno studio di settore, controlliamo il telefono in media ogni 6 minuti e mezzo. Eppure, sappiamo che ogni tanto bisogna disconnettersi o si rischia di aumentare stress, ansia e affaticamento. È l’anomalia vivente: perché Internet ci inserisce all’interno di una rete in cui ci sono 7 milioni di persone a 6 gradi di separazione. Si tratta di una teoria sviluppata in ambito matematico e sociologico, che suppone che ogni persona nel globo possa essere congiunta ad un’altra a caso attraverso sei intermediari.

L’ipotesi, per la prima volta documentata dallo psicologo Stewart Miller, è stata validata da un nuovo esperimento, ripetuto nel 2011 da un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano su Facebook, dove è emerso che più del 90% degli utenti è addirittura separato da non più di 4 gradi.

Facebook, Skype e gli altri sono mondi metaforici e ci riportano ad una realtà nelle nostre vite, nella quale abbiamo imparato a costruire, gestire e far crescere i rapporti con gli altri. I fili invisibili che legano gli individui nella vita quotidiana in questa mediazione tecnologica diventano visibili e percepibili stati di connessione. È questa la condizione di palpabilità delle vite connesse all’epoca dei social media. Il punto di svolta risiede nelle potenzialità di contatto, nel cercare le informazioni necessarie quando si vuole e in qualsiasi momento.

Inoltre, questo stato di cose non è solo possibile, ma è sempre in primo piano e sempre meno nello sfondo, rappresentando la svolta dell’essere nel mondo, il nostro punto di tensione, il nostro riferimento per l’elaborazione del senso. Ed essendo un prodotto della comunicazione, coincide con la comunicazione stessa.

Siamo essere e avere contemporaneamente, siamo il tutto e il niente. In questo girotondo di anime che si cerca e cerca la propria stabilità in un contesto che muta con la velocità di mille vite in un solo secondo, nella precarietà di un gigante che si mantiene in piedi sgretolando la sua base di argilla nel vortice affannoso.

Qualcuno potrebbe dire che questa è la rete, che il nuovo strumento ha sfarinato e poi ricompattato quella che una volta era la massa, che si associava intorno a una fede, detta ideologia, e identificava un capo da seguire, una volta stabilito il percorso. Adesso ricompattare vuol dire sincronizzare, informare, collegare giorno e notte senza lasciare il minimo spazio vuoto.

In questo mondo c’è una vasta pianura di orizzonti infiniti dove tutto appare possibile e dove chiunque è in grado di trovare o seguire o indicare una strada. Andando indietro nel tempo, possiamo affermare che il cedimento delle grandi ideologie, dei punti di riferimento e di quelli che definiamo confini geografici, politici sociali e comunicativi, è stato affrettato dallo sviluppo della rete intesa come struttura comunicativa in senso più deciso ed ampio.

È facile dire che sarebbe più coerente comprendere che questi ideali si sono trasmessi, cambiando forma e sostanza, nell’universo caleidoscopico della rete. Il potere socievole di essa si concentra tutto nell’uso intenso e forte del linguaggio, una di quelle chiare facoltà in grado di unificare con compattezza una comunità come fosse il motore reale dell’auto-riconoscimento.

Nella rete cerchiamo di essere attaccati come colla speciale a gruppi sociali, idee e consuetudini, con la stessa persistenza e regolarità di un vagabondo. Un certo nomadismo culturale e simbolico fondato su legami debilitati e opzioni identitarie ma contraddittorie. Il che potrebbe rivelarsi come il risultato della fine di quelle importanti narrazioni che consentivano a ciascuno di avere un ruolo fondamentale all’interno di grandi storie.

Così avviene la necessità e possibilità di avere una cittadinanza digitale che controlli il nostro accesso alla rete e il nostro corpo elettronico. Perché, diciamolo, un mondo senza rete sarebbe distruggente, soprattutto dopo averne fiutato le potenzialità e quello che potrà essere. Un salto nel vuoto senza connessioni, un ritorno a valori più stabili, ma drasticamente più statici.

Ma se è vero che in rete vi sono possenti archivi è altrettanto vero che non c’è memoria, non nel senso umano, che ricorda per amore e per ossessione. Perciò tutto resta per sempre, e tutto si perde per sempre, perché ha una frenesia furiosa di cambiamento e percorre ogni tempo e spazio. Quello che oggi è emergenza, domani è già dimenticanza. Come nasce così svanisce.

È evidente quanto la pervasività delle reti sociali abbia attribuito una dimensione nuova al rapporto tra democrazia e diritti. Basti pensare all’urgenza di una tutela un tempo incomprensibile, al diritto all’oblio e alla cancellazione dei dati personali. Sono solo alcune delle nuove realtà e dei problemi sconosciuti che hanno origine ogni giorno dal rapporto di miliardi di persone con la rete.

E allora se un giorno la rete si spegnesse cosa accadrebbe, oltre l’ovvio tilt che metterebbe KO comunicazione, aziende, sanità, economia e politica?

Saremmo in una dicotomia infinita tra innovazione e tradizione, con la sorprendente possibilità di recuperare valori artigianali, letterari, comunitari che richiamano ad un passato senza rete potrebbe però essere una soluzione alla frammentazione.

Sarebbero valori che andrebbero traslati nel pensiero dell’uomo moderno e iperconnesso, all’interno del modello sociale a rete, superando i confini digitali. La contaminazione tra passato e presente potrà dunque offrire nuovi modelli di gestione e organizzazione tra materiale e immateriale, tra il web e le persone in carne ed ossa.

Una prospettiva improbabile, ma assolutamente ipotizzabile. Uno scenario sicuramente distopico e oscuro, che segnerebbe un salto nel passato considerevole. Quasi un vuoto, quasi uno scivolare inghiottiti nel vortice di una nuova era senza dimensione.

Ma dicevamo lo stesso poco meno di trenta anni fa prima che la rete si impadronisse delle nostre grigie esistenze e ci cambiasse dentro. Mettendoci tutti dentro una scatola nera.

Nel Fedro di Platone, Socrate diceva che la scrittura era una minaccia per la cultura perché a un libro non si possono fare domande. A Socrate mancava Internet.
Luciano De Crescenzo 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.