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‘Storia della vendetta’ di Antonio Fichera

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'Storia della vendetta' di Antonio Fichera


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Autore: Antonio Fichera
Titolo: Storia della vendetta
Sottotitolo: Arte della vendetta e vendetta nell’arte
Editore: La Lepre Edizioni
Categoria: I Saggi
ISBN: 978-88-9938-920-8
Anno pubblicazione: 2017
Prezzo: €22,00
Pagine: 350

È impossibile leggere il documentatissimo libro sulla Storia della vendetta di Antonio Fichera, pubblicato da La Lepre Edizioni, senza riflettere su cosa sia il perdono.

La vendetta di A su B, dove A e B possono essere individui, famiglie o Stati sovrani, è una azione compiuta per “riequilibrare la bilancia cosmica”, inclinata pericolosamente da un lato in seguito ad un atto gravemente lesivo, compiuto da B su A, danno fisico, psichico, patrimoniale, omicidio, stupro, tradimento etc. etc..

Se si resta su uno stesso piano di esistenza e di percezione, la vendetta consisterà nell’applicare la “legge del taglione”: “occhio per occhio, dente per dente” che a volte, anche nei Paesi islamici, può trasformarsi in un indennizzo pecuniario oppure, per la nostra Giustizia, in un certo numero di anni di carcere.

Ebbene, il perdono presuppone un salto di livello e di percezione, il potere di attingere a un fuoco sottile che brucia i residui dell’atto negativo e cancella il rancore, quella terribile malattia che rode l’anima e avvelena la vita.

Il perdono presuppone una “verticalizzazione” della coscienza che relativizza ciò che è accaduto grazie a una nuova percezione della realtà, grazie all’incontro del tempo degli uomini con il tempo degli dèi, e trasforma per sempre il sentire della parte offesa.

Come si vede, questa visione del perdono, che procede dall’aver compreso le radici profonde dell’idea di vendetta, non contiene nulla di morale, religioso o prescrittivo.

Nella Grecia antica esisteva una dea legata sia alla Giustizia che alla Vendetta. Si tratta di Nemesi. Il nome deriva da νέμεσις, dalla radice νέμω (nèmo, “distribuire”), dalla radice indoeuropea “nem”. La distribuzione a cui si allude nel nome di Nemesi riguardava i princìpi opposti che si agitano dentro e fuori di noi.

Nel mito Nemesi, figlia di Oceano e della Notte oppure, in altre versioni, figlia di Zeus, si unì allo stesso Zeus, che aveva assunto la forma di un cigno per sedurla e, dall’uovo affidato da Nemesi a Leda, nacque Elena.
L’importanza della dea Nemesi nel Pantheon greco viene spesso sottovalutata.

È stata vista come dea della vendetta, come dea della Giustizia intesa come “compensazione” dei torti subìti, persino come una divinità il cui operato era equivalente alla “Legge del Karma” degli induisti. Ma il compito principale di Nemesi era quello di preservare l’Ordine Cosmico e l’armonia tra gli Opposti.

Era quindi la depositaria del Mistero più importante tra i due a cui facevano riferimento le scritte sul frontone del tempo di Apollo a Delfi. La prima scritta, “conosci te stesso”, si riferiva ai Piccoli Misteri. La seconda, “meden agan”, (μηδὲν ἄγαν), “nulla di troppo”, viene spesso fraintesa e letta in senso moralistico. Sottintende, invece, la conoscenza dei limiti posti alla luce e all’ombra, la capacità di trasformare una qualità nel suo opposto polare quando il culmine sia stato raggiunto, come fa il sole ai due solstizi.

Si tratta della legge dell’enantiodromia di cui parla anche Jung: in ogni processo legato al divenire esiste un limite posto ad ogni qualità, superato il quale, quella qualità si rovescia nel suo opposto.

Se nei Piccoli Misteri gli iniziati erano chiamati a trascendere il loro io individuale, a fondersi con la corrente della Vita Universale, nei Grandi Misteri dovevano acquisire la capacità di riconoscere nel microcosmo l’impronta del macrocosmo, e viceversa.

Nemesi, Custode dell’Ordine Cosmico, veniva spesso rappresentata con una mela e una ruota, a volte con una spada. La ruota poteva indicare un dominio sul tempo ciclico e sulle sue leggi, dominio che presuppone la capacità di coniugare il Kronos, il tempo ciclico degli umani, con l’Aion, il tempo eterno degli déi.

La mela, a mio modo di vedere, era la mela gettata da Eris, la discordia, durante il banchetto per le nozze di Tetide e Peleo, che poi Paride dovette scegliere se donare ad Afrodite a Hera, oppure ad Athena. Quella mela simboleggia la scelta tra Sapienza, Virtù e Bellezza, una scelta che l’uomo non può mai compiere in modo definitivo senza turbare gravemente l’Ordine Cosmico.

La scelta di Paride fu infatti la causa della guerra di Troia, per intervento di Nemesi, a ristabilire l’Ordine, e di Eris, dea della discordia. Il premio per aver scelto Afrodite fu Elena e Paride scelse di privilegiare la Bellezza sulla Sapienza e sulla Virtù.

Più che abbracciare le idee di Bachofen, espresse nel “Matriarcato”, che vede nella saga dell’Orestea il passaggio dal diritto delle Erinni e di Nemesi, basato sulla vendetta e sulla legge del taglione, al diritto olimpico apollineo, che trasformerà le Erinni in Eumenidi, il mio punto di vista è ancor più radicale.

Le dee del perdono sono e restano quelle della vendetta, Nemesi e le Eumenidi, un altro nome per indicare le Erinni, solo che, guardando ai torti subiti come dall’alto di una montagna, cambiando punto di vista, accedendo a una consapevolezza superiore, cambia radicalmente anche l’idea di cosa significhi “ristabilire l’ordine cosmico”, cambiano i pesi della bilancia, cambia la sentenza finale, che sarà del tutto incomprensibile per chi non abbia compiuto alcuna trasformazione.

Invece, per chi resta legato all’idea di vendetta, avvinto da un legame indissolubile a colui/colei che lo ha offeso, il perdono è una forma di grave debolezza o, come va di moda dire oggi, di “buonismo”.

Per chi, al contrario, riesce a scorgere la trama sottile della rete che imprigiona e condiziona le emozioni e le azioni umane, al di là dell’avvicendarsi delle albe e dei tramonti, il perdono è una forma estrema di forza e di libertà interiore.

Di più, l’offeso si libera finalmente dall’ossessione di dover punire offensore, dal persistente “eidolon”, dal fantasma interiore dello squilibrio e di chi ne fu la causa. Finché non se ne sarà sbarazzato, il vendicatore sarà afflitto, perseguitato, da una forma-pensiero ricorrente, che ripercorre incessantemente le immagini, le parole e i gesti legati all’offesa subìta, perpetuando rabbia, frustrazione e senso di impotenza, fantasticando la vendetta compensatoria, un vincolo demoniaco di ombra che lega quasi più l’amore.

E la forza che guarisce da questa malattia è proprio l’amore, amore per l’essenza degli esseri umani, microcosmi che rispecchiano il Macrocosmo e, in fondo, amore per la sapienza espressa dalle due massime che un tempo erano incise sul frontone del Tempio di Apollo a Delfi.

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Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.