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L’alter Ago

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Alter ago


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I social network fanno sì che tu resti a casa nella tua stanzetta a comunicare apparentemente con tutti gli altri, ma in realtà Internet non è un qualcosa di esterno da te.

Quando spegni Internet spegni anche te stesso, o quantomeno una parte di te stesso. Magari una proiezione ideale di te stesso. Tutto questo comporta una forte dipendenza fisica, psicologica e la creazione di una realtà parallela.
Daniele Luttazzi

Nell’ultimo periodo, l’avvento della tecnologia e dei social media ha fatto riflettere su svariati temi legati alla sfera antropologica e alla relazione che intercorre tra l’essere umano e i maggiori mezzi di comunicazione.

Una delle tematiche più affrontate, che ha scaturito un grande interesse e creato maggiore dibattito, è quella dell’identità, in particolare la digitale, che, da subito, ha attirato l’attenzione dei maggiori sociologi e psicologi del XXI secolo maggiormente interessati all’ambito digitale ed antropologico.

È chiaro che la capillare diffusione dei social network sta sempre più portando elementi di riflessione nella società sul concetto di identità, sui confini tra identità reale e identità virtuale e nell’individuo sulla percezione della propria immagine individuale dentro e fuori dalla rete, online e offline.

Chiara Ferragni è famosa in tutto il mondo e, anche grazie alla sua reputazione sui social, ha costruito un piccolo impero economico. Poi viene travolta dal caso dei pandori Balocco e della falsa beneficenza all’Ospedale Regina Margherita di Torino, dove curano bambini malati di cancro. Pare abbia ripetuto questo stesso comportamento dubbio in altre occasioni e così la sua reputazione online è crollata.

Giovanna Pedretti era una signora di 59 anni che, con il marito, gestiva una pizzeria. Ad inizio gennaio un anonimo cliente posta una rude recensione online contro gay e disabili, lei risponde seccata e sui social tutti la applaudono.

Solo che poi si scopre che forse quel cliente non esiste e la recensione è falsa, qualcuno ipotizza che l’abbia messa la stessa signora Giovanna per crearsi una reputazione di paladina dei più deboli.

Sui social tanti la accusano di aver mentito, viene convocata dai Carabinieri, passa una notte insonne e, la mattina dopo, non riuscendo a sopportare la vergogna, si toglie la vita.

Vincent Plicchi è un 23enne di Bologna, figlio di genitori separati, papà bolognese e mamma keniota. Su TikTok si fa chiamare Inquisitor Ghost, posta video in cui appare sempre con una maschera da teschio e un mantello nero, ispirandosi a un personaggio di Call of Duty.

Fino a quando una giovane TikToker, che si fa chiamare Tequila lo accusa pubblicamente:

Inquisitor è un pedofilo, ci ha provato con me che sono minorenne.

Pochi giorni dopo Vincent, devastato dalla vergogna, si suicida in diretta su TikTok. Però poi si scopre che le accuse erano false.

Quelli appena elencati sono tre casi di alter ego virtuali sui social, nei quali viene mostrata un’immagine parziale di sé stessi. Quando la reputazione crolla, arriva la crisi. Parliamo degli ego virtuali sui social: essi sono un fenomeno affascinante e complesso.

Con l’avvento della tecnologia e dei social media, l’identità delle persone si sdoppia tra il mondo reale e quello digitale. L’identità digitale è quella costruita da un utente all’interno delle comunità virtuali online. Questa identità spesso si focalizza su una dimensione virtuale, in contrasto con la reale.

Internet è stato considerato un luogo utopico in cui le età, i generi e le etnie possono essere riscritte all’infinito, consentendo agli esseri umani di sperimentare forme postmoderne di identità fluida e multipla. Come uno sdoppiamento della personalità.

Tale concetto era già stato teorizzato da Luigi Pirandello nel suo romanzo ‘Uno, nessuno e centomila’. Il geniale drammaturgo sosteneva che viviamo in una realtà soggettiva in cui ogni individuo non può mai essere considerato uno, ma centomila.

Ogni persona maschera la propria identità e modella il proprio comportamento a seconda delle diverse circostanze, come se indossasse ogni volta una maschera diversa.

Questo concetto si adatta anche ai media digitali, dove possiamo creare profili personali e scegliere chi essere: noi stessi o un’altra persona.

Erving Goffman, sociologo contemporaneo, ha esaminato il tessuto delle relazioni sociali e l’ambiente quotidiano come una rappresentazione teatrale. Ogni persona interpreta un personaggio su un palcoscenico.

Tale teoria può essere adattata ai social network, dove possiamo creare alter ego e mascherare la nostra identità per esprimere liberamente idee e personalità.

Ai giorni nostri, questa teoria può essere adattata ai media digitali del nostro secolo che ci danno la possibilità di creare un profilo personale sui vari social network in cui siamo liberi di scegliere chi essere, noi stessi o un’altra persona.

Molte volte succede che alcuni utenti, come ad esempio i blogger, preferiscono di gran lunga utilizzare uno pseudonimo per sentirsi più liberi di esprimere le proprie idee, la propria personalità e, in un certo senso, anche proteggere la propria reputazione.

La creazione di tali profili ci permette di controllare noi stessi, ovvero decidere cosa far percepire agli altri del nostro modo di essere, controllare altri utenti e vedere quello che condividono e, infine, creare una vasta rete di contatti e una comunità online in cui possiamo sentirci liberi di esporre la nostra vita e la nostra identità, che sia essa vera o fittizia.

Internet e i social hanno profondi effetti sulla comunicazione e sulle relazioni. Alcune persone costruiscono alter ego che diffondono solo un’immagine parziale di sé. Chi non si adegua e si sente più debole può soccombere a questa pressione.

In sintesi, gli ego virtuali sui social sono una parte complessa della nostra vita digitale. Ognuno di noi può scegliere come presentarsi online, ma è importante ricordare che dietro ogni profilo c’è una persona reale con emozioni e bisogni autentici.

Ad esempio, ci si può sentire più sicuri nell’esprimere le proprie opinioni e sentimenti online, potendo nascondersi dietro uno schermo. Tuttavia, questa libertà può anche portare a comportamenti aggressivi o di scherno verso le altre individualità.

Inoltre, la discrepanza tra l’identità online e quella offline può influenzare la fiducia e la stabilità delle relazioni, poiché gli altri potrebbero percepire una mancanza di autenticità o coerenza.

Casistiche specifiche derivano direttamente da questi frangenti, come per esempio il cyberbullismo o le molestie virtuali; si possono inoltre citare anche atteggiamenti di emulazione incontrollata di quello che viene visto sulle piattaforme, che spesso e volentieri può sfociare in tragedia.

La sociologa Sherry Turkle, autrice del libro ‘Alone Together: Why We Expect More from Technology and Less from Each Other’, sostiene che l’abuso delle interazioni virtuali può portare ad una riduzione della qualità delle relazioni umane e della comunicazione autentica.

In tale contesto, è fondamentale trovare un equilibrio tra la nostra vita online e offline, al fine di preservare e coltivare le relazioni reali, che arricchiscono la nostra esistenza. È importante dunque notare che lo sdoppiamento dell’identità non implica necessariamente una separazione netta tra il mondo virtuale e il mondo reale: le due sfere si influenzano reciprocamente.

Le relazioni virtuali possono avere un impatto significativo sulla nostra identità reale, orientando il nostro modo di pensare, agire e relazionarci con gli altri.

Allo stesso tempo, le nostre esperienze nella vita vera possono modellare la nostra identità virtuale e le relazioni online che sviluppiamo. Quello che ci portiamo a casa vale ben poco, ma sembra, purtroppo, molto reale: i social possono impossessarsi della vita di alcuni utenti, rendendoli schiavi di tutti i meccanismi connessi al loro funzionamento: postare foto, scrivere frasi, commenti e opinioni e aspettare con trepidazione i famosi “like”.

Un “mi piace”, notificato con suono riconoscibile sullo smartphone, diventa per molti motivo di gioia fino a trasformarsi in una ragione di vita.

Questa lenta trasformazione si insinua nella pelle e scivola dentro di noi. Ci dopa, ci rigenera, ci annienta. Come una siringa penetra devastandoci o esaltandoci. Da alter ego ad alter ago ci vuole un attimo, un click.

I social media stanno ai rapporti interpersonali reali come i popcorn stanno alla sana alimentazione: ci si aspetta di provare gioia tra amici, e ciò che si ottiene in verità è solo aria fritta.
Manfred Spitzer

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.