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Il lato nero della democrazia

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Il lato nero della democrazia


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Mi conosco affatto indegno di opinare in materia politica, ma forse mi sarà consentito di aggiungere che diffido della democrazia, questo curioso abuso della statistica.
Jorge Louis Borges

Uno dei rischi più grandi di questo periodo è mettere in gioco l’odierno sistema politico, cosa che può diventare una nefasta realtà, in modo subdolo visto che, finora, questa dinamica ha ricevuto poche e meritevoli attenzioni dal mondo della cultura e dell’economia che, di norma, sono sentinelle di certe paure che si affacciano sulla quotidianità.

Mi riferisco ai rischi che la democrazia sta correndo da quando si è abbattuta su di noi la pandemia. Di queste criticità abbiamo già discusso negli articoli DemocraticamenteeIl vuoto del potere; con questo voglio approfondire il lato nero della minaccia che incombe.

Innanzitutto, in ogni stagione dell’uomo dove si è manifestato un pericolo comune a tutti, il primo campanello di allarme è risuonato nelle limitazioni alla libertà dell’individuo, alcune delle quali mascherate.

Dietro certe ligie decisioni ci sono state esigenze politiche, sociali e sanitarie, erte dalla volontà di difendere, nel modo più assolutista e concreto, oltre che veemente e corposo, la continuità esistenziale pubblica, scongiurando o, quanto meno, pretendendo di schivare, con amletica confusione, i rischi di ogni specie che potevano presentarsi.

Il percorso di democratizzazione in diversi Paesi si sta interrompendo con dosi di ferocia affermazione di autori che, con intransigenza e fermezza, impongono gerarchicamente la propria sfera decisionale in ambito pubblico e privato.

Le cause di questa dinamica regressiva sono molteplici: dai leader eletti che violano il dominio della legge, alla corruzione, sino alle controversie legate alla distribuzione della ricchezza.

Inoltre, se le classi medie e quelle povere si dividono sulla questione dei diritti democratici, lo stesso sistema politico crolla. Queste spinte regressive possono scatenare conflitti, soprattutto tra ceti sociali differenti. La crescita economica nei Paesi in via di sviluppo consolida la classe media che, divenendo più ricca ed istruita, accampa diritti sociali, politici ed economici con lo scopo principale di custodire le proprie conquiste.

Allo stesso tempo, se tale strato sociale cresce, i regimi diventano maggiormente dipendenti dalle fasce imprenditoriali, che sono in grado di incidere nella crescita economica. Di conseguenza, i leader autoritari sono costretti ad assistere alle richieste di quel settore della società. Una così forte influenza incide nell’apertura dei sistemi politici, con l’identificazione dei diritti di proprietà e dei diritti politici.

Il sentimento di frustrazione della middle class sembra essere oggi straripante, soprattutto in quei Paesi dove queste crisi affondano le loro radici nelle incertezze causate dalla globalizzazione. Una delle spiegazioni che possiamo fornire è che la prima generazione di leader democratici si è snaturata in un altare di autocrati eletti. Essi guardano alla democrazia come un processo in cui la vittoria elettorale procura un mandato in grado di neutralizzare ogni opposizione.

Democrazie così fiacche hanno maturato un problema meno eclatante ma altrettanto deleterio: la corruzione. Quando il potere è gestito da un governo autoritario questo è un fenomeno supponibile: il regime sottrae quantità di denaro per scopi personali, ma il fenomeno è piuttosto misurato. Le democrazie più giovani spesso non possono che assistere al dissolvimento dei vecchi sistemi di corruzione che sono rimpiazzati da sistemi più articolati attraverso i quali diversi attori, come autorità politiche locali e burocrati, sono portati ad allungare la propria ombra sui beni pubblici. Questo rovina la reputazione del sistema agli occhi dei cittadini che, una volta, guardavano ad esso con speranza ed esaltazione.

Quanto per quegli Stati in via di democratizzazione, se guardiamo in casa nostra ci possiamo sentire, forse, più sereni ma non legittimati a crederci immuni da quelle forze antiliberali che riuscirono, nei primi anni del secolo scorso, a sfociare nelle dittature degli anni Venti e Trenta in guerre sanguinarie oltre che mondiali.

Soltanto sotto una dittatura riesco a credere nella democrazia.
Leo Longanesi 

La storia non sempre si ripete ma certo insegna e ci dovrebbe rendere più determinati ad evitare la ripresentazione di fantasmi e paure. Il pericolo di un terrore pandemico potrebbe ridurre ogni aspetto della vita politica, sopprimendo cultura e libertà.

Uno Stato dispotico dietro la figura di un uomo forte è una minaccia che non possiamo sottovalutare. Nell’incognita di un futuro incerto ritenersi esonerati da questa intimidazione sarebbe un errore imperdonabile.

Il momento che stiamo vivendo soffre di un’impercettibile interconnessione tra causa, virus inaspettato, vaccino non ancora sperimentato, ed effetto, primo trauma collettivo sociale ed economico post seconda guerra mondiale, almeno per l’Europa: è una società che stiamo analizzando, una nuova realtà che va studiata tenendo conto della collateralità degli eventi, che merita giudizio e non accettazione passiva, che sprona maggiore e più oculata supervisione, piuttosto che una mera relatività di pensiero.

Non abbiamo certezze che il Covid-19 possa stravolgere gli assetti tradizionali: è il pensiero del durante e del dopo che angoscia, di come, cioè, le palesi ripercussioni economiche dell’epidemia giungano ad indebolire ulteriormente quel largo ceto medio diffuso dell’Occidente che non si è ancora rimesso dalla crisi economica di qualche decennio fa.

In questo senso il rischio è che la pandemia venga vissuta come l’elemento più decisivo ed utile per scardinare il delicato ordine prodotto dalla globalizzazione e rinchiudere tutti nella dimensione del populismo sovranista, apparentemente democratico, nel senso che si proseguirà a votare e si consentirà un ristretto spazio di dissenso ideologico, ma sempre meno liberale.

È facile dire, ed è stato ampiamente dibattuto, che nella democrazia rappresentativa gli uomini sono concretamente liberi di esprimere il loro parere unicamente nel giorno delle elezioni, cioè ogni quattro o cinque anni; ed è certamente un limite da oltrepassare attraverso la costruzione di istituti che incoraggino la stabile ed aperta partecipazione da parte di tutti alla direzione politica ed istituzionale del proprio Paese.

Bisogna diffidare anche da quella che viene chiamata democrazia diretta. Un’apologia resa possibile dalla rete, concepita come una sorta di agorà nella quale a ciascuno è possibile intervenire. La democrazia diretta è una delle incubatrici più potenti di forme autoritarie di governo. Pilotata, incendiaria e lasciata a mani occulte che possono variare la linea politica soffrendo di pulsioni cupe ed aggressive.

Il lato nero della democrazia è la fragilità stessa di cui soffre la forma di governo in discussione: la passività può sviluppare tratti dispotici.
Il sistema è entrato in afflizione anche da quando si è rivelata la grave, e forse irreversibile, crisi della forma-partito tradizionale, quando i poteri economici e finanziari, nazionali ed internazionali, hanno comandato la loro egemonia sulla politica, quando gli abusi della “casta” hanno superato il livello di guardia, quando la diffidenza dei cittadini nelle istituzioni è pervenuta a soglie impensabili fino a qualche anno fa.

Per superare una certa sfiducia bisognerebbe comunque rinnovare i canali tradizionali della partecipazione ed escogitare nuove forme di autogoverno della comunità, anche grazie al ricorso alle preziose risorse di informazione e comunicazione interattiva offerte oggi dalla tecnologia e non solo, che passano combattere la recessione economica e rispondere positivamente alle sempre più diffuse situazioni di disagio sociale.

Oggi la politica occidentale corre il severo rischio di diventare un simulacro di se stessa. Un involucro vuoto, un contenitore retorico di trite ideologie che hanno perso qualsiasi riferimento con la realtà.

La classe dirigente sembra improvvisata, non pare avere visione del futuro perché priva di libertà di azione e di pensiero e impotente ad immaginarne alcuno. In un momento così drammatico e per certi aspetti “sconosciuto” il più grave pericolo è quello di convivere con una “democrazia moribonda”, ovvero con cittadini disponibili a cedere libertà e riservatezza per tutelare un bisogno di sicurezza che rischia di prolungarsi anche quando il pericolo sarà trascorso. Cittadini bendisposti a concentrare il potere in poche mani, una sorta di diarchia “governo/esperti”, riducendo, in modo drastico, i poteri degli organi di controllo, percepiti come ormai irritanti, e delle assemblee rappresentative, ritenute ancora più fastidiose.

Il rischio che il Covid-19 non sia solo una parentesi della nostra storia è evidente, o, quanto meno, è chiaro che non potrà non lasciarci strascichi visto che, da qualche parte, qualcuno ha invocato anche i cosiddetti poteri forti. Di fronte a queste paure spesso la democrazia cede e mostra ai suoi fiancheggiatori il suo lato più debole e nero. Quel lato fragile dal quale possono generarsi mostri mai completamente cacciati.

Nessuna democrazia rappresentativa è una democrazia, ma un sistema di minoranze organizzate che prevalgono sulla maggioranza dei cittadini singolarmente presi, soffocandoli, limitandone gravemente la libertà e tenendoli in una condizione di minorità.
Massimo Fini 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.