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Tempi profetici per nuovi eretici

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Eretico sarà chi accenda il rogo, non già colei che vi brucerà dentro!
William Shakespeare

L’aspirazione dell’uomo a conoscere il futuro ha percorso i secoli e le culture. Fin dall’antichità, alla ricerca di tale conoscenza fa però da contraltare la consapevolezza delle difficoltà che comporta il suo conseguimento.

Con la diffusione del cristianesimo, la Bibbia s’impone sulle forme e le pratiche precristiane di divinazione, come il punto di riferimento essenziale per ottenere una conoscenza dell’avvenire e intervenire nel presente alla sua luce, o in vista di esso.

Conoscere il futuro, in particolare quello che riguarda l’uomo, il suo destino e il successo delle sue iniziative, comporta infatti la possibilità di controllare la realtà, individuale e sociale, agendo su di essa.

Colui che conosce il futuro di una comunità, ad esempio il profeta che parla a nome di Dio, può diventarne il punto di riferimento e la guida.

La profezia non è dunque solo conoscenza di ciò che accadrà, ma anche impegno politico nel presente. È un divenire che somma incertezza con paura, bellezza con orrore, la pace con ogni tipo di guerra.

Non è pre-dire, non è neanche pre-vedere. Il chiaroveggente non vede il futuro, vede il presente o meglio lo sa leggere.

Egli capta nel presente quello che gli altri non vedono, perché ciechi di realtà, e afferma sullo stesso presente quello che gli altri non vogliono ascoltare e non hanno il coraggio di dire.

Egli deve far vedere, far ascoltare e spera di far capire. E a volte è necessario il grido nella folla o il parlare nel deserto. Magari sperando che qualcuno comprenda il vero verbo.

Cos’è il vaticinio se non un discorso libero e un grido di libertà? Dal proprio essere e da chi ci comanda. Normalmente, la storia ce lo insegna, chi domina non ha bisogno di veggenti. Hanno, per servizio, i loro funzionari, tecnici del fare e comunicatori del dire. I peggiori: quelli dal volto umano.

Sono gli oppressi ad aver bisogno dell’azione e della parola profetica. Profezia è parlare a nome di una parte, una parte di mondo, perché si riconosca, prenda forza da sé e si sollevi contro. La profezia è la paura degli altri e il nostro abisso su un mondo incenerito.

Se guardiamo in casa nostra, nella storia d’Italia, gli indovini hanno stimolato le lotte per l’emancipazione sociale e politica; incitato uomini e donne a non consegnarsi al destino o al fato e ad impegnarsi nella responsabilità della scelta morale; li hanno esortati a rompere le catene dalla servitù; hanno vissuto in maniera angosciante per le ingiustizie del loro tempo e affidato un senso alla afflizione con una forte voglia di riscatto.

Agli inizi dell’età moderna, la poesia di Dante e di Petrarca, le prediche di Savonarola, la prosa di Machiavelli hanno spinto e fomentato gli italiani a combattere per la libertà.

L’ultima Repubblica Fiorentina (1527 – 1530), ad esempio, è stata una “repubblica profetica”. Nei secoli della decadenza e della servitù politica, i profeti di emancipazione non riuscirono ad incitare con veemenza le coscienze degli italiani. Primeggiarono coloro che predicavano la rassegnazione e i filosofi che accusavano i profeti di essere impostori.

La rinascita della profezia redentrice – nella poesia di Alfieri, Foscolo, Manzoni, nell’insegnamento civile di Mazzini, nella musica di Verdi – contribuì al Risorgimento nazionale. Le pagine profetiche di Benedetto Croce rinforzarono la resistenza al totalitarismo fascista. L’ultima voce profetica è stata quella di Pierpaolo Pasolini e sappiamo tutti come è andata a finire.

Con il tramonto della profezia sono svanite anche le visioni e le speranze di emancipazione sociale. Quando i profeti confortano e sostengono movimenti di emancipazione nel loro paese supportano l’emancipazione dell’umanità.

Altri profeti accompagneranno il loro esempio presso altri popoli, riveleranno visioni di emancipazione affini per i contenuti di libertà, diverse per riferimenti storici e culturali.

Ogni popolo deve impadronirsi dell’emancipazione con i suoi sforzi e ha bisogno dei suoi profeti. Anche se qualcuno diceva che era beato il popolo che non aveva bisogno di eroi, perché, alla fine, il profeta è l’eroe del nostro tempo, quando non è uno sconveniente ciarlatano.

Per scuotere l’ovvietà che ci avvolge in modo mortifero, allora dovremmo dedurre che siamo dinanzi ad un’identità incerta e ad una fede debole in ogni credo ed ideale. Ecco che leggere i segni dei tempi equivale a non rinchiudersi in una visione nostalgica del passato, ma in una nuova urgenza di ispirazione.

In un periodo di depressione così totale, se il nostro vocabolario non contrasta parole come precarietà, degrado, inquietudine, come potremo di nuovo portare la parola della salvezza e della speranza, della paura e dell’inquietudine?

La pandemia ci ha resi più fragili, più soli, a volte più egocentrici, pieni di paure e di domande, incerti e disorientati, senza riuscire sempre a trovare risposte chiare e condivise. È cresciuta la povertà, come l’abisso tra poveri e ricchi.

In questo mondo sorge la necessità di nuovi uomini, di nuovi profeti e di nuovi visionari, magari non allineati ma eretici. Perché parlare di eretici oggi non spaventa più e né si sente più il bisogno. Invero, ci occorrerebbero nuovi spiriti indomiti irriconoscenti e inquieti.

Precursori di nuove realtà sconosciute, capaci di prevedere tragedie nascoste dietro il grigio esistere quotidiano e così visionari da captare la bellezza celata nell’abisso delle nostre anime perdute. Perché parlare di eretici significa costruire anticorpi contro il più pericoloso virus in circolazione: il pensiero unico. Significa ricordarci che costruire un mondo diverso è possibile. Difficile: ma fondamentale.

La scienza, l’arte, la politica, i diritti civili, la disobbedienza, la pittura, persino la Chiesa: un principio di eresia è presente in tutto ciò che compromette l’essere umano. Gli eretici possono essere uomini o donne, assassini o santi, pazzi o eccessivamente lucidi. E allora come possiamo riconoscerli?

Sono quelli che nei secoli sono stati segnati come diversi, quelli che si sono contraddistinti, quelli allontanati e fustigati per le loro idee, quelli che hanno incendiato pulpiti e che hanno vissuto nascosti, quelli che hanno pagato con la vita per preservare un’idea e quelli che hanno saldato il loro conto con la giustizia per conservare viva la propria disobbedienza.

Sono quelli che hanno spontaneamente abdicato alla vita e quelli che l’hanno tutelata in tutte le sue forme e celebrazioni; sono i non allineati, le presenze scomode, le voci di una coscienza collettiva spesso afona.

Sono quelle donne e uomini che, attraverso le epoche, non si sono chinati al pensiero unico, sono quelli che ci hanno lasciato l’eredità più importante: il coraggio di scegliere la libertà, di preferire ciascuno la propria strada da percorrere.

Per questi tempi avemmo bisogno di eretici capaci di profetizzare un mondo dove l’anticristo e il predicatore sono la stessa persona. In uno stato di ambiguità che ci consentirebbe di trarre nuova linfa per un domani le cui incognite atrofizzano ogni nostro arto così come ogni riflesso.

Siamo comodamente superflui in questa civiltà, finti attori di uno spettacolo dove alla fine ci sveliamo per essere sporchi e ininfluenti spettatori mal pagati. Scelti che ci illudiamo di scegliere.

Dove sono i messia che di ridaranno la voce e la vista? Dove hanno lasciato marcire il verbo che si era fatto carne?

Lasciate che le parole, allora, infiammino le vene e con veemenza compromettano le nostre logiche assopite.

Nemmeno un virus mondiale ha poi così sconvolto le nostre furbe noie, lasciandoci l’amara consolazione di sentirci parte di un progetto di salvezza unico ed irripetibile. Alla fine, siamo sopravvissuti in malo modo.

Ben vengano i futuri clown che metteranno il circo ai loro piedi e ben vengano i futuri folli profeti che ci diranno quanto è assurdo questo invano credere nell’eresia di questa cosa che chiamiamo vita.

Non sono tanto gli oracoli che hanno smesso di parlare quanto gli uomini di ascoltarli.
Georg Christoph Lichtenberg

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.