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Utopia

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Utopia


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La gloria del mondo è transitoria e non è questa che ci dà la dimensione della nostra vita, ma è la scelta che facciamo di seguire la nostra leggenda personale. Credere nelle nostre utopie e lottare per i nostri sogni.
Paulo Coelho

Utopia, afferma Lewis Mumford nella prefazione del 1922 di un suo libro che ne ripercorre la sua storia, può derivare dalla parola greca eutopia, che significa il buon posto, o dall’altra parola greca outopia, che significa nessun posto.

In effetti, fino a qualche decennio fa, il pensiero utopico, o meglio, il fenomeno “utopia”, veniva fatto coincidere, non solo dalla gente comune, ma anche da gran parte degli studiosi, con la sua forma letteraria e, in particolare, con il progetto filosofico, come, ad esempio, la Repubblica di Platone, o, ancor più, con il romanzo utopico che, nella modernità, trova il suo modello originario nell’Utopia di Thomas More, il primo, appunto, ad usare questo termine.

Nel tratteggiare le linee strutturali del suo stato ideale, l’utopista si preoccupa anzitutto di eliminare la causa o le cause ritenute responsabili della negatività istituzionale.

Il celebre romanzo dell’intellettuale britannico, ambientato in un’isola dal governo pacifico e idillico, è una forte critica ai sistemi politici dei secoli XV e XVI. Egli, inappagato dalla realtà in cui viveva, del clima di accesa intolleranza che in quegli anni si respirava nell’Inghilterra dilaniata dai conflitti religiosi, volle immaginare un’isola felice, sulla quale gli abitanti conducessero una vita migliore, più umana e solidale.

Su tutte, dimora sull’isola una libertà di culto, che rimanda ad un’universale tolleranza religiosa, realizzata, tuttavia, non certo per mezzo del culto dell’arbitrio individuale con cui sembrano agire le società contemporanee, bensì con opera di convincimento dell’ateismo. Nessun conflitto tra fedi, dunque, sarà la miglior religione, il cristianesimo naturalmente, a prevalere sulle altre senza contributi esterni.

Così l’avvento di un umanismo che ritrova in una paritaria distribuzione della ricchezza come nell’annientamento della proprietà privata, la maggiore e più sovversiva delle necessità.

L’utopia non è che l’impossibile che diviene inverosimile. Certo, le società di questo tipo sono, gioco forza, ambienti paradigmatici, ovvero sì perfette, ma inesistenti e, al contempo, irrealizzabili, cosicché non è del tutto corretto criticarle come se già si fossero concretizzate.

Lo stesso Platone era pienamente cosciente dell’inattuabilità del suo ambizioso progetto ed è per questo che, successivamente, lo accantonò e passò a delineare, nel suo scritto ‘Le leggi’, uno ‘stato secondo’, ossia un’altra società, meno perfetta, ma, a differenza dello ‘stato ideale’, non incompatibile con la realtà.

Il pensiero utopico può scoprire tracce del futuro nel passato e oltrepassa sempre il dato per mirare al futuro, che assurge in posizione di primato. Esso, però, si distingue dalla pura e semplice fantasticheria, in quanto media con quel che intende superare, cioè con le tendenze reali operanti nel presente.

L’uomo non è un individuo isolato, un atomo sociale, una sorta di monade senza porte né finestre. Egli si caratterizza fondamentalmente come un coessere, ossia come un essere sociale che, progettando e costruendo se stesso, progetta e costruisce anche la storia.

In altri termini, come acutamente aveva già osservato Aristotele, si caratterizza come zoon politikon, ossia come quel “vivente” che ha come spazio d’esistenza suo proprio la polis. In questo senso, la città è il suo destino e, aggiungerei, il mondo è il suo teatro di vita naturale.

Ecco perché si insiste a caratterizzare l’utopia anzitutto come il progetto della storia, ossia quello che gli uomini, di generazione in generazione, elaborano e tentano di realizzare, senza però mai riuscirci fino in fondo, proprio a causa della loro finitudine, che implica l’imperfezione, l’errore, il male.

E a questo proposito, mi preme, inoltre, sottolineare, contro l’opinione corrente, che il progetto utopico non è affatto il frutto di una fantasia sbrigliata, un mero gioco letterario, ma nasce da una profonda coscienza etica, la quale spinge l’individuo ad impegnarsi per cambiare lo stato di cose presente, ritenuto ingiusto e insostenibile.

Il progetto utopico, quindi, non è solo un modello teorico, ma, in quanto proteso, per sua natura, alla realizzazione, richiede un forte impegno anche sul piano della prassi. Lungi dall’essere qualcosa di “astratto”, è estremamente concreto, poiché nasce in uno specifico contesto storico, intrinseco alla moralità dell’uomo, ed esprime i bisogni concreti di una determinata società, anche se questi non sono sempre immediatamente realizzabili, per l’immaturità dei tempi o della stessa specie umana.

E se vogliamo parlare di valore sociale oggi, più che in passato, l’utopia ha valore. Proprio in una società difficile come quella in cui viviamo si ha bisogno di speranza e credo che il termine utopia racchiuda senz’altro questo valore e ne includa tanti altri.

Implica uno stare più che una fuga, quindi luogo più che non luogo. Un luogo magari non rigidamente ancorato, ma che ognuno può costruire e ri-costruire, a seconda delle contingenze. Questo non significa aleatorietà o sogno impossibile, ma concretezza, quella di entrare in contesti di vita che, pur complicata, è resa possibile dal pensiero positivo e dall’agire.

E ricordiamoci che gli antichi greci raccontano che quando Pandora, moglie di Epimeteo, e quindi cognata di Prometeo, frattanto già incatenato al Caucaso, scoperchiò il vaso, liberando la malattia, la pazzia, la carestia, e tutti i mali del mondo, l’unica cosa a rimanervi dentro quando lei terrorizzata lo richiuse fu, appunto, la speranza. La sola cosa che si possa sperare di conservare: la speranza. Più speranza per le speranze di domani, potremmo dire a mo’ di slogan.

Del resto, l’attualità dell’utopia non è pura fiction: essa è più vicina alla vita contemporanea, soprattutto se si pensa alla rete e alla comunicazione. Oggi la possibilità che ognuno ha di collegarsi con il mondo è alta. Non per tutti; un muro è fortemente presente. Legato agli investimenti, alle possibilità economiche personali e, soprattutto, alla cultura, che pone ancora tante, troppe differenze.

La forza della comunicazione attraverso smartphone, tablet, dispositivi mobili, che stanno soppiantando gli strumenti da scrivania, è un altro di quei successi che sembravano lontani in un passato recente e che, invece, hanno superato il sogno e sono diventati realtà. Un’utopia che si è realizzata.

A questo aspetto, decisamente positivo, va aggiunta una riflessione sui contenuti, sulla capacità di memorizzazione che potrebbero rappresentare il risvolto negativo del sogno utopico del poter raggiungere, comunicativamente, tutti.

L’utopia è un termine che oggi forse affascina, ma spaventa anche: per l’immane turbinio di sensazioni e timori che ciò che oggi vorremmo realizzare deve fare i conti con una realtà che, spesso, è più irreale di ogni nostro incubo.

Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere.
Tommaso Moro 

 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.