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Tu conosci Ciccibacco?

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Ciccibacco


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Da oltre cinquecento anni, l’omone panciuto è una presenza fissa nella rappresentazione della natività e si presta a diverse interpretazioni

Tutti credono che il presepe, o presepio, come viene chiamato nelle valli cisalpine, fu ‘inventato’ da San Francesco d’Assisi, nell’anno del Signore 1223, quando, in una fredda notte di Natale, di ritorno dalla Terra Santa, in una grotta presso Greccio, allestì una mangiatoia piena di paglia sorvegliata da un bue e un asinello, nonostante il divieto di Papa Onorio III, poiché la rappresentazione dei drammi sacri era vietata.

In realtà, il Serafico celebrò solo messa e rappresentò esclusivamente la natività.

Il primo presepe vero e proprio lo si deve all’artista Arnolfo di Cambio, ché scolpì, in marmo, la natività e i Magi, statue che è possibile ammirare nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.

Prima di andare avanti chiariamo che entrambi i termini presepe e presepio sono corretti, poiché derivano dal latino prae, davanti, e saepes, siepe; poi, nel tardo Medioevo, il vocabolo iniziò ad indicare la mangiatoia dove fu deposto Gesù.

Siamo tutti concordi, invece, che la città del presepe per antonomasia sia Napoli, dove, grazie a sapienti maestri artigiani, che ogni anno sfornano nuovi personaggi, la rappresentazione della natività assume eccelse forme d’arte.

Qualche ‘purista’, invece, potrebbe storcere il naso, poiché le scene riprodotte nulla hanno a che fare con la Palestina di duemila anni fa, ma sono incentrate sulla Napoli sei – settecentesca, con macellai, lavandai, pizzaioli, panettieri e tanti altri protagonisti.

Le botteghe di questi maestri sono situate in pieno centro storico, nella celeberrima via di San Gregorio Armeno, nei pressi del Decumano maggiore, che attira, ogni giorno, migliaia di turisti, salvo poi trasformarsi, al calar del sole, in un bazar multietnico con venditori ambulanti, discendenti di Baldassarre che deturpano la strada con cianfrusaglie tra l’indifferenza di chi dovrebbe controllare.

Oggi vogliamo parlarvi di un personaggio, all’apparenza buffo e bizzarro, ma che presenta un retroscena mistico importante, che occupa un ‘posto fisso’ ed è presente in quasi tutte le rappresentazioni della Natività, svolgendo una funzione narrativa e mescolando cristianità e paganità, sacro e profano.

Stiamo parlando di Ciccibacco, che simboleggia un seguace del dio del Vino Bacco, di grossa statura, con guance rosse e una pancia prominente, che viene collocato in due luoghi.

Spesse volte staziona nei paraggi della cantina, in prossimità della grotta del Bambino, seduto su una botte con un fiasco in mano; oppure seduto su di un carro pieno di botti, mentre tracanna un bicchiere di vino, tanto che, a Napoli, in passato per indicare un ubriaco si usava l’espressione pare Ciccibacco ‘ngoppa ‘a botte; alcune volte è scortato da un corteo ‘dionisiaco’ di personaggi che indossano vestiti con pelli di capra, che, suonando pifferi e zampogne, scandiscono i ritmi dei riti orgiastici.

Come mai, nei pressi della grotta dove il Bambino riposa nella mangiatoia, assistito dai genitori terreni è quasi sempre presente un luogo che, per antonomasia, simboleggia la perdizione e i vizi umani, l’osteria, o ‘cantina’, come veniva chiamata dai nostri nonni?

La scelta non è casuale, poiché simboleggia la sottile linea di demarcazione tra sacro e profano, impegnati nell’eterna lotta tra il bene e il male. E, difatti, proprio la venuta di Gesù salverà coloro che vivono nel peccato, così come il vino è uno dei simboli eucaristici.

Sembrerebbe un controsenso, ma, dal 1600, nella città dove il profano si fonde col sacro, la nascita di Gesù viene trasposta dalla Palestina dell’Anno zero e rappresentata nella quotidianità, e si decise di mettere in scena il tessuto sociale dove prevalevano umili e reietti e Ciccibacco ne è l’archetipo.

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Autore Mimmo Bafurno

Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. In uscita il suo volume "Image EDITING", attualmente collabora con terronitv.