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Hanno sparato anche allo scemo del villaggio

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sparare con fucile


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A Bronte (CT), una delle pagine più brutte della spedizione dei Mille, quando il Generale Nino Bixio ammazzò, a sangue freddo, un povero malato di mente

Quando l’11 maggio del 1860 il burattino al soldo degli inglesi, tale Giuseppe Garibaldi, sbarcò a Marsala (TP), sapeva benissimo che, per chiudere con successo la sua impresa, gli sarebbero stati assolutamente necessari l’appoggio e la partecipazione attiva dei siciliani oltre che degli inglesi.

Infatti, due cannoniere battenti bandiera britannica incrociavano nel porto di Marsala e ciò trasse in inganno anche il comando borbonico, che scambiò la divisa dei Mille con quella dei soldati inglesi e non fu sparato nessun colpo, altrimenti gli scagnozzi partiti da Quarto avrebbero fatto la fine che fecero i 300 galeotti al seguito di Pisacane.

Quindi, il nizzardo Garibaldi capì che, per ottenere il favore del popolo, si doveva proporre come il ‘liberatore’, affinché venissero create le condizioni per un mondo libero dalla miseria e dalle ingiustizie.

Il 2 giugno aveva emesso un decreto nel quale prometteva soccorso ai bisognosi e la tanto attesa divisione delle terre.

Nell’entroterra siciliano, dunque, si erano, accese molte speranze di riscatto sociale, soprattutto da parte della media borghesia e delle classi povere, in particolar modo a Bronte, sulle pendici dell’Etna, dove la contrapposizione era forte fra la nobiltà latifondista rappresentata dalla Ducea di Nelson e gli abitanti del luogo.

Bronte era un feudo inglese grazie a Ferdinando I che, per ringraziarsi l’orbo Nelson, colui che, più per invidia che per reali motivi bellici, impiccò al pennone della propria nave l’Ammiraglio napoletano Francesco Caracciolo, gli donò il territorio di Bronte.

Il 2 agosto il popolo insorse. Furono appiccate le fiamme a decine di case, al teatro e all’archivio comunale. Quindi, cominciò una caccia all’uomo e, prima che la rivolta si placasse, ben sedici furono i morti fra nobili, ufficiali e civili, tra cui anche il barone del paese, con la moglie e i figlioletti, il notaio e il prete.

Purtroppo, questi contadini avevano commesso un gravissimo errore, si erano messi contro la potenza dell’epoca, quell’Inghilterra vittoriana e affarista, che, come un vampiro, succhiava il sangue a tutto il mondo.

Poiché la spedizione dei Mille era promossa dalla vecchia Albione, Garibaldi fu costretto, dal governo inglese, ad intervenire, ma siccome non voleva sporcarsi le mani di sangue, mandò un suo fedele, tale Bixio Nino da Genova, irascibile e ‘colleroso’ come pochi.

Ora una domanda sorge spontanea: se io libero gli italiani da un aggressore, come si favoleggiava e si favoleggia tutt’ora, perché devo ammazzare degli italiani? Eppure, ciò avvenne e nessun libro di storia ne parla.

Quando Bixio cominciò la propria inchiesta sui fatti accaduti, una larga parte dei responsabili era fuggita altrove, mentre alcuni colsero l’occasione per accusare gli avversari politici.

Il tribunale di guerra, in un frettoloso processo durato meno di quattro ore, giudicò ben 150 persone e condannò alla pena capitale l’avvocato Nicolò Lombardo, che, acclamato Sindaco dopo l’eccidio, era stato additato come capo della rivolta, insieme con altre quattro persone: Nunzio Longi Longhitano, Nunzio Nunno Spitaleri, Nunzio Samperi e Nunzio Ciraldo Fraiunco, la cui storia merita una menzione speciale. La sentenza venne eseguita mediante fucilazione l’indomani: per ammonizione, i cadaveri furono lasciati esposti al pubblico insepolti.

All’alba del 10 agosto, i condannati vennero portati nella piazzetta antistante il convento di Santo Vito e collocati dinanzi al plotone d’esecuzione. Alla scarica di fucileria morirono tutti, ma nessun soldato ebbe la forza di sparare a Nunzio Ciraldo Fraiunco, il povero pazzo del paese, che risultò incolume.

Fraiunco, che era incapace d’intendere e di volere, considerato ‘lo scemo del villaggio’ era stato arrestato per aver girato per le strade del paese soffiando in una trombetta di latta e cantilenando

Cappeddi guaddattivi, l’ura du judiziu s’avvicina, populu nun mancari al’appellu.

Il poveretto, nell’illusione che la Madonna Addolorata lo avesse miracolato, si inginocchiò piangendo ai piedi di Bixio, invocando la vita, ma ricevette una palla di piombo in testa e così morì, colpevole solo di aver suonato una trombetta di latta.

Inoltre, ricostruzioni storiche hanno rivelato che il ruolo dell’avvocato Lombardo era del tutto estraneo alla vicenda e che non fosse fuggito per difendere il proprio onore. Quell’onore che, quando fu distribuito da Dio, non trovò in fila il carnefice genovese Bixio.

L’episodio cadde nel dimenticatoio, finché non ne parlò Verga nel racconto ‘Libertà’ inserito tra le ‘Novelle rusticane’, mentre Sciascia cercò di scagionare Bixio e i garibaldini e di accentuare le responsabilità dei rivoltosi, infatti, troviamo l’omissione della presenza storica dell’avvocato Lombardo e, soprattutto, la trasformazione letteraria del ‘pazzo del paese’ in ‘nano’, per attenuare la gravità della condanna capitale di un innocente, per giunta non in pieno possesso delle sue facoltà mentali.

Fatti citati anche da Carlo Levi che ne ‘Le parole sono pietre’ descrive Bronte nel dopoguerra.

Ah, dimenticavo, il criminale Nino Bixio ha strade e piazze intitolate in molte città della Penisola…

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Autore Mimmo Bafurno

Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. In uscita il suo volume "Image EDITING", attualmente collabora con terronitv.