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Ius primae noctis e cintura di castità

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Ius primae noctis - disegno di Daniela La Cava
Ius primae noctis - disegno di Daniela La Cava


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Leggende metropolitane o medievali realtà?

Nel ripercorrere i volumi della letteratura medievale alla ricerca di testimonianze letterarie inerenti a questi temi associati al Medioevo a cui né Dante, implacabile giudice dei vizi umani, né Boccaccio, ironico amante della vita e delle donne, accennano, si alimenta il sospetto che tali modus operandi non fossero comportamenti poi così popolari.
Addentrandomi sempre più tra i meandri sottili i quali fondono le vicende realmente accadute con le interpretazioni fantasiose che colorano gli scenari medievali dei toni cupi arcinoti, perseguo la ricerca di elementi che, nel corso dei secoli, hanno esaltato queste “tradizioni” che onorano esclusivamente l’ego maschile.

Tra essi spiccano i fabliaux, una raccolta di novelle che narrano il modus vivendi dell’epoca fin negli aspetti più intimi: brevi racconti dai contenuti espliciti e dettagliati, dove, però, non si fa menzione di obblighi sessuali verso il padrone o costrizioni dentro indumenti di metallo.

Ma procediamo per ordine.

Che cosa sono lo Ius primae noctis e la Cintura di castità?

Secondo l’immaginario medievale, di cui abbiamo testimonianza dalla fine del 1400, lo ius primae noctis rappresenterebbe la legge secondo la quale il signore feudale rivendicherebbe il diritto alla prima notte di nozze delle sue suddite.

La domanda più sibillina che emerge da questa legge sui generis, riguarda la verginità della ragazza: se davvero le giovani spose dovevano preservarsi caste al marito fino al giorno del rito nuziale, perché non rimediavano poco prima, se consapevoli che quella purezza sarebbe stata tolta dal padrone, anziché dallo sposo?

Che senso aveva rimanere vergini per concedersi ad uno sconosciuto come una schiava il giorno delle nozze?

A differenza di quel che avviene oggi, nel Medioevo la novella coppia non si appartava certo in una suite d’albergo a fine banchetto, ma seguiva un lungo iter celebrativo, che vedeva la sposa accompagnata, con tanto di corteo, fino al talamo, il letto coniugale in casa del marito.

Qui le donne provvedevano a spogliarla delle vesti e degli degli ornamenti, privandola di tutto ciò che indossava, tranne l’abbigliamento intimo, costituito esclusivamente da una lunga camicia.

Solo dopo aver assicurato la sposa accanto al marito, tra preghiere e benedizioni, era consentito lasciare alla coppia la propria intimità.

I padroni non vietavano certo queste tradizioni a cui anche i nobili e i reali dovevano sottostare, ma, alla luce di tali abitudini, che proseguiranno fino al 1800, non credo consumassero davvero la loro “avventura” nell’interminabile attesa che il corteo della sposa avesse fine; il signore feudale, già ebbro del vino del convito, si sarebbe addormentato prima, lasciando campo libero allo sposo legittimo!

Ma perché questa voglia d’amore ruota intorno alla prima notte di nozze?

Un nobile non aveva certo difficoltà ad obbligare una suddita “dentro le lenzuola” od ovunque volesse, era sufficiente ordinarlo; sposa o vergine che fosse, non faceva alcuna differenza.

La risposta risiede in una legge molto diffusa, che imponeva una tassa sul matrimonio: una disposizione così onerosa da convincere molti padri a concedere la purezza della figlia in cambio di un beneficio economico!

Si tratta di una tassa supplementare che il padrone obbligava per autorizzare l’unione tra giovani appartenenti a villaggi differenti.

Per comprendere il senso della normativa che, agli occhi dell’uomo moderno può apparire bizzarra, dobbiamo riflettere sulle condizioni della vita nel Medioevo, fatta di piccoli villaggi di contadini dediti alla coltivazione delle terre del loro signore.

In un’epoca in cui le uniche risorse disponibili erano costituite dall’agricoltura, dalla caccia e dall’allevamento, la produzione agricola rappresentava la fonte primaria di sostentamento per l’acquisto di beni di primissima necessità e il regolare pagamento delle tasse.

L’allontanamento di più suddite in un altro borgo, quindi, avrebbe rischiato di indebolire un’economia già labile, limitando le attività rurali per mancanza di manodopera.

Un’altra bizzarria tramandata come parte integrante della cultura medievale riguarda la cosiddetta cintura di castità: oggetto di protezione contro violenze o momenti di passione in assenza del marito, volta a preservare l’integrità fisica e morale della consorte.

Nonostante vari musei per lungo tempo ne abbiano esibite sia di maschili che femminili, per poi ritirarle in quanto riconosciute come falsi storici, è improbabile che fossero realmente esistite o, perlomeno, venissero impiegate per l’uso che ci è stato tramandato.

Questa sorta di slip metallico chiuso da un lucchetto avrebbe non solo compromesso le normali funzioni fisiologiche, ma garantito, in breve tempo, la morte delle donne in seguito a malattie infettive.

Nonostante questa deduzione logica, è radicata la convinzione che l’utilizzo della cintura fosse comune, soprattutto per le mogli di uomini che si allontanavano da casa per lunghi periodi, come i soldati e i mercanti.

Fortunatamente, non accadeva niente di tutto ciò, perché i mariti prima della partenza, provvedevano a fecondare la loro donne per ritrovarsi padri al loro ritorno.

Come avrebbero potuto le donne, avvolte da una protezione di metallo nel ventre, portare a termine una gravidanza in un simile stato di prigionia pubica?

Cari lettori, si tratta di tradizioni esistite solo nell’immaginario post medievale, generate da errate interpretazioni di fonti storiche e dall’improvvisa comparsa di fantomatiche cinture di castità che hanno arricchito romanzi di trame così intriganti e d’effetto da impedirne la distinzione tra realtà e fantasia.

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Autore Daniela La Cava

Daniela La Cava, scrittrice, costumista, storica del Costume. Autrice di volumi sulla storia del costume dal titolo "Il viaggio della moda nel tempo". Collabora con terronitv raccontando storie e leggende della sua terra.