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Pulcinella, Fabio Da’ath e il simbolismo metafisico della croce

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Pulcinella


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Io sono napoletano, anzi, della provincia, e, in quanto tale, sono fortunato. Sono contento perché nel periodo in cui a Napoli si parla il greco nelle altre città, si comunica in latino. Sono contento perché sono bilingue, mi esprimo, infatti, sia in Italiano che in Napoletano.

Mi ritengo fortunato giacché vivo nella città che sa accogliere nel suo ospitale grembo Giovanni Pontano, Giordano Bruno, Raimondo di Sangro, Jacopo Sannazaro, Benedetto Croce, Salvatore di Giacomo, Totò, Eduardo De Filippo e tanti altri.

Ha ragione Pino Daniele quando vedendomi, irato e malinconico dice in una sua canzone che

…’E parole nun fanne rummore
Nun fanne rummore
Tu nun si’ cchiù Pulecenella
Facive ridere e pazzià’
Mo t’arragge e pienze a’ guerra
E nce parle ‘e libertà.

Amici miei quanta dulure che il nemico invisibile sta gratuitamente trasmettendo, infatti, se putesse essere allero lo sarei, ma non ci riesco.

Cari miei le maschere sono spesso contaminazioni o unioni di più maschere e queste aggiungono caratteri propri che scaturiscono da debolezze, vizi, manie, deformazioni linguistiche, ambientali di ceto e di mestiere. La mia non è da meno, infatti, traviata dagli avvenimenti che stanno sconvolgendo il mondo, sta mutando il suo canovaccio pulcinellesco.

Vi confesso che, pur restando vigile, spesso mi accade di sognare, vivere atmosfere intense, ben strutturate, nitide, coerenti ma immaginarie. Alcuni ritengono che sognando si ampli la percezione della realtà personale, si riesca a penetrare nei misteri della vita, si entri in contatto con la propria evoluzione interiore, si tocchi con mano la dimensione archetipa dell’esistenza. Eppure, nonostante Sigmund Freud pensi che i sogni siano una rappresentazione di desideri e pensieri inconsci e li definisca “adempimenti camuffati di desideri repressi”, a me piace sognare e lo faccio volentieri.

Oggi, con molta riverenza, voglio raccontarvi di un sogno che prende forma partendo da una croce di legno, molto bella e sobria, che mi appare quando, in compagnia di Fabio Da’ath, assaggio un caffè realizzato con la cuccumella e nu cuppetiello di carta, sulla terrazza di casa sua. Mentre osserviamo da lontano l’amato Sebeto, i miei occhi proiettano alla mia mente l’immagine di un’imponente croce… tengo ancora ‘o friddo ncuollo.

Nello stesso istante in cui la vedo, la croce mi fa tornare alla mente sia il filosofo francese Denis Diderot, che in una sua lettera racconta quanto accade nel diciottesimo in piazza San Marco a Venezia, sia il chirurgo inglese Samuele Sharp, che riferisce di un simile avvenimento, anch’esso, al limite del profano, che avviene a Napoli in un luogo chiamato Largo del Castello. In entrambi i casi da una parte c’è Pulcinella che cattura la gente alla sua maniera, dall’altra un religioso che non riesce ad attrarre i fedeli.

Un Pulcinella molto felice perché riesce a donare ai presenti momenti di gioia e dall’altra il religioso che passando al contrattacco dice:

Quel Pulcinella è uno sciocco.

Gridando alza un crocefisso al cielo e aggiunge:

Questo, è il vero, il grande, Pulcinella. Aizanno ‘ncielo ‘o crocefisso dice ‘o vere Pullecenella è isso.

Condividendo con Fabio sia la fantastica apparizione del crocefisso, che gli avvenimenti riportati dal filosofo e dal chirurgo, ne scaturisce una riflessione considerevole, che entrambi manifestiamo a voce alta. Una serie di considerazioni che diventano parole che certe volte si assottigliano come orme di gabbiano, mentre altre s’ingrossano come impronte di elefanti.

Fabio, partendo dalla prima osservazione, dice che nonostante ciò che accade a Venezia e a Napoli appaia abbastanza irriverente, lo scritto cela tra le righe una verità importante e forse non così irriguardosa. Per lui sia il filosofo che il medico intendono forse dire che Cristo, incarnandosi e sottoponendosi al supplizio della croce, permette all’uomo di comprendere i nessi cosmici che lo coinvolgono. Si assume la colpa umana originaria, redime i peccati, si adegua alla vita sulla terra e, incarnando l’uomo, personifica e simbolizza l’identità del popolo partenopeo.

Comprendendo che Fabio ha manifestato compiutamente il suo pensiero e abbandonando per un attimo la mia proverbiale umiltà, rifletto e dico che non sembra irragionevole intravedere una certa similitudine tra la croce che esibisce il religioso e la maschera di Pulcinella. Cristo, infatti, dopo il supplizio della croce, risorge per apportare beneficio all’umanità intera; ‘a meza sola, invece, muore, entra ed esce dal mondo degli inferi, ma rinasce sempre, per ricominciare daccapo, come se il passato non esistesse: in altre parole, agisce per il bene e il progresso dell’uomo cercando di risvegliarlo.

In merito alla croce, un altro motivo, che nell’accaduto riportato da Diderot e Sharp, induce forse il religioso ad affermare che il vero Pulcinella è rappresentato dalla croce, potrebbe essere raffigurato dalle parole che Pulcinella rivolge a Domenico Tiepolo, in un dialogo immaginario, costruito da Giorgio Agamben: il passato, il passato… A che ti serve il passato? Io non l’ho mai avuto. Questo significa il mio camicione bianco.

‘O ppassato, ‘o ppassato… A che te serve ‘o ppassato? Je maje l’aggio avuto. Chesto vo’ dicere ‘stu cammesone janco.

Il camicione cucitomi addosso, nel 1656, dallo stimato sarto di Acerra, Andrea Calcese, detto Ciuccio e noto come Don Policenella, ben si accosta al simbolismo metafisico della croce, giacché, essendo bianco, con il suo colore, simbolizza il Paradiso, l’Eternità, la divinità, il Principio, la purezza, la spiritualità, la speranza per il futuro e la fase alchemica conosciuta come Albedo.

Quanto alla croce, ospita il corpo di chi, oltre a permanere nella sua essenza cosmica, giunge all’acme del processo di incarnazione terrena e dà uno speciale imprimatur sia alla Terra che a tutti gli elementi che la abitano. Una croce che ospita quel Gesù che Edouard Schuré, nel testo ‘I grandi iniziati’, considera un iniziato capace di forgiare gli spiriti, scuotere le anime e fornire linee guida alle masse.

Un Gesù che, accettando il supplizio della croce, oltre a lasciarsi iniziare, rivive nelle menti delle persone e insegna a tutti quelli che indossano la maschera di Pulcinella che in quel momento, abbandonando la precedente condizione, rinascono nelle vesti dei paladini delle masse, nei panni di chi opera, appunto, per il bene e il progresso dell’umanità.

Alcuni mi prendono in giro per il naso adunco, altri mi ritengono un affresco della cultura partenopea, un contadino volgare e uno stolto, ma io non concordo con tale raffigurazione, poiché, di solito, celo dietro la maschera una buona dose di arguzia, ingegnosità, sagacità e profondità di pensiero che mi fa pensare che forse Cristo muoia sulla croce per il valore simbolico che questa riveste.

Fabio, interrompendomi con un considerevole garbo, sottolinea che il valore simbolico della croce riporta alla mente il noto psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung, che, nel volume ‘Simboli della trasformazione’, fa presente che nell’emblema dell’Essenza Divina crocefissa si può intravedere il riferimento al sacrificio dell’istinto che l’eroe, inteso come simbolo, compie per l’uomo. Un eroe divino incarnato, vittima sanguinante, attaccato all’albero della vita perché nulla accade per caso, giacché esiste un principio di connessione a-causale che consente un’interpretazione archetipa della ‘Legge della sincronicità’.

Il nulla accade per caso, di Ermete Trismegisto, e la Legge della sincronicità, di Carl Gustav Jung, aprono tantissimi scenari e moltissime riflessioni, ma, ahimè, le lancette dell’orologio corrono sempre troppo velocemente e non abbiamo a disposizione un tempo così ampio da consentirci di parlarne, quindi, continuando ad osservare la maestosità del Monte Somma, della sorgente del Sebeto e del Vesuvio continuiamo il discorso sulla metafisica della croce.

Dal punto di vista cristiano, fa tornare alla mente il luogo del sacrificio, mentre da quello metafisico simbolizza il principio della salvezza degli uomini. René Guénon sostiene che sia utilizzata da tante dottrine tradizionali per raffigurare il raggiungimento di tutti gli stati dell’essere e il concretarsi dell’Uomo Universale. L’esoterista sostiene che, mediante la croce, le dottrine tradizionali facciano riferimento alla realizzazione dell’«Uomo Universale», giacché questa si ricollega alla tradizione Primordiale.

Fabio, concordando appieno con me, dichiara che questo simbolo per l’intellettuale francese rappresenta degnamente i modi in cui si raggiunge la Realizzazione a cui si giunge mediante l’unione perfetta degli stati dell’essere. Stati che sono ordinati sia per ciò che riguarda l’armonia che per ciò che attiene la conformità, in un’espansione totale che avviene in due sensi, in Ampiezza e in Esaltazione.

Per l’esoterista la doppia espansione dell’essere si compie sia orizzontalmente, ossia, ad un determinato livello o grado di esistenza, sia verticalmente, ovvero, nella sovrapposizione gerarchica di tutti i gradi. In tal guisa, il senso “orizzontale” indica l’«ampiezza», ovvero, l’uomo nella sua estensione integrale, in tutti i suoi aspetti, compreso quello corporeo; quello “verticale”, invece, l’indefinita gerarchia degli stati multipli, ognuno dei quali corrisponde ad uno dei «mondi» o gradi, che sono compresi nella sintesi totale dell’«Uomo Universale».

Un Uomo Universale che può essere considerato inizio e compendio qualitativo della manifestazione cosmica, ossia, un individuo che, in un certo senso, è la risultante ed il compimento della manifestazione stessa. Un essere umano che appare come una sintesi di tutti gli elementi e regni della natura.

Fabio prosegue dicendo che, sembra essere meritevole di considerazione lo stato in cui l’individuo desidera giungere, uno stato conseguibile mediante la realizzazione spirituale e la realizzazione delle Verità universali, perché queste si identificano con l’Uomo Universale, quando l’essere umano entra in contatto con l’Uno.

Pertanto, nel centro della croce, punto in cui si conciliano e risolvono le opposizioni, si conclude la sintesi di tutti i termini contrari che sembrano tali se giudicati da visuali soggettive ed esteriori. Un punto centrale che, pur non agendo, rappresenta appieno l’equilibrio perfetto, il nucleo della “ruota cosmica”.

Le parole di Fabio richiamano alla mia mente il pensiero e la dottrina ermetico-magica dell’esoterista francese Alfons Luis Constant, noto come Eliphas Levi. La croce che questi descrive, nonostante sia rappresentata in modo differente, intriga molto, perché, nella sua esposizione, è espresso in modo preciso e consistente un pregnante simbolismo.

Eliphas Levi, manifestando la sua profonda conoscenza esoterica, scrive, infatti, che il quaternario è il numero della croce e che essa non riproduce il punto d’incontro di due linee, bensì il punto di partenza di quattro linee infinite, nel cui centro risiede l’immensità.

Per lui la X rappresenta il mistero dei misteri, la forza delle forze, la luce della luce, la gloria delle glorie. Al suo centro fiorisce la rosa mistica, la rosa della luce, il fiore della vita e dell’amore. Un fiore, i cui petali disposti ordinatamente, riproducono i cuori degli eletti nella loro gerarchia.

Notata l’approvazione di Fabio, asserisco che Eliphas non è l’unico ad interessarsi della croce, poiché Platone, parlando del secondo potere della divinità, dice “che imprime se stesso in forma di croce sull’universo”. Una croce che, accompagnata da una rosa, poggiata al suo centro, simbolizza il secreto dell’immortalità, ossia, la finale, recondita ed arcana conoscenza degli antichi misteri.

Rosacroce

Una croce che si presta a differenti definizioni. Una croce cosmica del Calvario, che sembra essere un archetipo che, in qualsiasi forma appaia, se analizzata dal punto di vista della Kabbala, raffigura la nuova vita.

Il termine Kabbala innesca immediatamente in Fabio una profonda e consistente riflessione, infatti, interviene facendomi notare che la croce, per certi versi, sembra celarsi nel tetragramma biblico JHWH- יהךה. Specifica, poi, che consiste in quattro braccia che rappresentano altrettanti Mondi o Universi in cui si cela la divinità:

Yod – Atzilut “mondo dell’Emanazione” – l’alto – Dio.
He – Briah “Creazione” – il primo orizzonte – la sua luce in gloria.
Vau – Yetzirah “Formazione” – il secondo orizzonte – l’amore eterno.
Il secondo He – Assiah “mondo del Fare” – il basso – il principio creatore dell’uomo.

Una croce che ospita al centro delle quattro braccia l’unità raggiante, ovvero, la Shin ש, il fuoco che eleva, lo spirito, l’energia in movimento, l’insegnamento che consente al padre Jahweh, JHWH- יהךה di divenire Joshua – הושיה, il figlio, ovvero, il Cristo dei Cristiani.

Tutto si realizza partendo del centro della croce; la venuta del Figlio dell’uomo ha lo scopo di unire le assi della croce, giacché congiungendole, si realizza il progetto del Creatore e si vivifica il verbo. Il Figlio, utilizzando la croce come strumento per l’Iniziazione, unendo le assi, fornisce un metodo atto a consentire la Cristificazione dell’Uomo.

Le parole di Fabio sembrano essere per me come un fiammifero che ridà vita a un fuoco nascosto sotto la cenere. Rispondo che sembra altrettanto necessario considerare che essa, per ciò che riguarda l’aspetto umano terrestre e cosmico, permette si attivi il processo di rivitalizzazione spirituale dell’uomo e, oltre ad incitare all’amore disinteressato, incoraggia l’uomo affinché viva un atteggiamento da padre e madre universale verso chiunque.

L’essere umano, mediante la croce, compiendo un adeguato sforzo di volontà, acquisendo la necessaria consapevolezza, può risvegliarsi attraverso quel processo consistente nelle canoniche e necessarie fasi alchemiche. Tramite la ricerca e il perfezionamento spirituale, può vivere il progresso e il bene dell’intera umanità.

Sentendomi, poi, come l’Araba Fenice, concludo che incarnandosi nel corpo umano, l’anima, se riesce a lavorare su se stessa e se è in grado di sperimentare un corretto equilibrio emozionale, può distaccarsi dai condizionamenti umani e sociali, ha la possibilità di liberarsi dai paradigmi esistenziali ed ha la facoltà di cogliere, vivendola, la sua vera natura. Una natura che, oltre a considerare la croce come inizio e non come fine, comprende che questa rappresenta sia la sconfitta della morte che il passaggio che conduce alla rinascita.

I rintocchi di campana provenienti da una vicina chiesa, ci fanno rendere che il giorno sta per giungere al termine. Cari amici, credetemi, ci intratterremmo per ore e giorni a riflettere su tutto ciò che riguarda il perfezionamento interiore, ma essendo il tempo tiranno, sembra, arrivata l’ora del pigro vespro.

Un vespro che par che dica alla mente, è giunta l’ora di andar via. A quella mente che pur placandosi, giacché devo andare, prima che io scenda, mi induce sia a guardare il mio amico negli occhi, sia a dirgli:

io mmiezo ‘o cielo aggia mise ‘a croce, tu mmiezo ‘o cielo, mettici ‘na stella c’assumiglia ‘a ‘sta faccia ‘e Pulcinella.

Detto ciò, tenendo presente che “in hoc signo vinces”, scendo e mi dirigo verso casa.

Giandomenico Tiepolo, La partenza di Pulcinella, 1797, affresco. Ca' Rezzonico, Venezia

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Autore Domenico Esposito

Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.