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Pulcinella, Fabio Da’ath, Croce e il testamento di Raimondo di Sangro

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Pulcinella


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‘O Principe facette ‘na luce ca nun se stutava maje.

Io, Pulcinella, rappresento quel qualcuno speciale che vive dentro ogni persona, colui che aiuta, sa riconoscere gli amici e da loro si fa riconoscere.

Incarno le antiche capacità che ciascun italiano e napoletano porta scolpite nel genoma e nello spirito, qualità imperiture, che lo seguono sin dal suo primo vagito. Sono anche l’archetipo del sognatore assiduamente intento a narrare ciò che vivo nella mia ampia attività onirica.

La notte impone a noi la sua fatica magica. Disfare l’universo, le ramificazioni senza fine di effetti e di cause che si perdono in quell’abisso senza fondo, il tempo.

La notte vuole che stanotte oblii il tuo nome, i tuoi avi ed il tuo sangue, ogni parola umana ed ogni lacrima, ciò che poté insegnarti la tua veglia, l’illusorio punto dei geometri, la linea, il piano, il cubo, la piramide, il cilindro, la sfera, il mare, le onde, la guancia sul cuscino, la freschezza del lenzuolo nuovo…

Gli imperi, i Cesari e Shakespeare e, ancora più difficile, ciò che ami. Curiosamente, una pastiglia può svanire il cosmo e costruire il caos.
Jorge Luis Borges – Il sogno

Sento la necessità di scrivere, solidificare, fissare, ricordare ed interpretare quello che ormai per me è un compagno di viaggio adatto a suggerire il modo in cui riportare su carta le necessità mistiche, spirituali ed esoteriche.

Queste visioni mi permettono di attingere al profondo, indagare sulle spinte alla base del mio agire, svelare i segreti dell’anima, capire i comportamenti individuali, saltare dalla realtà relativa a quella assoluta.

Per me sono paragonabili all’arbusto che garantisce la tenuta in mezzo ai flutti del fiume in piena, riserva energetica che aspetta solo di essere armoniosamente ed equilibratamente incanalata.

Oltre ad aiutarmi a comprendere ciò che mi spinge ad andare avanti e che supporta il mio agire, mi suggeriscono come affinare la mia vita e farla ben interagire con la realtà relativa, mediante la riflessione. Grazie ad esse, sono conscio che l’essere umano è uno e molteplice, un punto di un ologramma che ospita e costituisce in sé il cosmo.

Il freddo, la pioggia, la pandemia e il testo di Silvio Pellico ‘Le mie prigioni’ mi spingono a rifugiarmi a letto affinché l’amato sogno, che puntualmente accorre in mio soccorso, tenendomi per mano, mi accompagni sino al mattino successivo.

In men che non si dica, mi ritrovo di nuovo a Napoli, in piazza San Domenico Maggiore ancora in compagnia di Benedetto Croce, Madame Carmen e suo nipote Fabio Da’ath.

L’amato filosofo dimostrando, con i suoi luminosi occhi, una grande gioia, esordisce:

Miei cari, sono contento che anche oggi siate qui, sia per la stima che provo per voi, sia perché Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, ci attende con ansia, poiché desidera mostrarci un suo importante e profondo scritto. Orsù, raggiungiamolo.

Nell’ascoltare queste parole lo seguiamo intrigati da ciò che ci attende, impazienti di conoscere il nobile che quando visitammo la Cappella Sansevero era fuori città.

Mentre ci dirigiamo verso casa sua, nonostante non dimostri mai di essere saccente, benché presenti se stesso e ogni sua creazione con enfasi un po’ guascona, lo accompagna un’aura di maldicenza, tant’è che incrociamo un uomo del popolo che dice:

Aro’ jate, ‘o Principe è ‘nu riavulo.

Supiti da queste parole proseguiamo verso la dimora del titolato e ci imbattiamo in un nobile, che, con voce chiara e pacata, con sufficienza e una punta di fastidio, precisa:

Il Principe è un ciarlatano, crede siano vere le antiche fandonie sulla magia alchimistica.

Nonostante le parole dei due avventori pesino come un macigno sulle nostre teste, continuiamo a seguire l’intellettuale sino all’ingresso di un maestoso edificio, che fa bella mostra di due possenti colonne, che ai lati di un ampio portone si innalzano ad incorniciare lo stemma della casata.

Sul portale campeggia, scolpita nel marmo dello stemma, la testa di un Drago, simbolo della discendenza di sangue reale, ossia, dei di Sangro, che nel DNA racchiude l’essenza degli antenati, caratterizzati dal “sang real” di cui Raimondo è lo spirito evolutivo, l’alfa e l’omega, la prima e l’ultima lettera di una gloriosa gente di condottieri, santi e cardinali destinata a finire nel dimenticatoio perché eredi maschi non riescono a tener fede al testamento che indica loro di conservare il casato attraverso adeguate scelte matrimoniali.

Entrati nel palazzo che, seppur posizionato nell’angolo della piazza, sovrasta gli altri edifici signorili per la simbologia dei massi megalitici della facciata, che ricordano il tempio per quantità e pregio dei materiali, bellezza architettonica e ampi cortili interni, ci dirigiamo verso la dimora dell’aristocratico, che oltre ad essere di stirpe Carolingia, appartiene alla Casata dei Duchi di Borgogna, quella di cui fanno parte anche San Benedetto, il fondatore dell’Ordine Benedettino e San Bernardo di Clairvaux o di Chiaravalle.

Davanti l’uscio di casa, Croce ci informa:

Le invenzioni di Don Raimondo sono numerose: un archibugio, che può sparare sia a polvere che a salve; una macchina, che con un sistema di pompe e senza aiuto di animali da tiro, può portare l’acqua a notevole altezza; un cannone, che grazie ad una lega metallica, oltre a pesare pochissimo ha una gittata superiore a tutti gli altri della stessa epoca; un panno impermeabile anche a forti piogge; una carrozza, che priva di remi, tramite un particolare congegno, è in grado di navigare; infine, la lampada eterna, una candela che, una volta accesa, non si spegne e non si consuma.

Con l’educazione e il bon ton che lo contraddistingue, lo scrittore bussa delicatamente alla porta.

Il padrone di casa, meravigliandoci non poco, viene personalmente ad aprirci. Nonostante le fantasie sulla sua figura si rincorrano da tempo, ci rendiamo conto che siamo al cospetto del patrimonio della memoria e della cultura cittadina.

Don Raimondo si para davanti a noi con una fascia rossa, che scende dalla spalla destra, e un manto con le insegne dell’Ordine di San Gennaro, che lo avvolge. Sguardo fiero, maturo, di bassa statura, già dall’aspetto bello e gioviale fa trasparire di essere filosofo di spirito, dedito alla meccanica, di amabilissimo e dolcissimo costume, studioso ed amante della conversazione con uomini di lettere.

Una persona arguta che domina immediatamente la scena; quando attraversa i vicoli questi si animano e tantissimi occhi curiosi scrutano, furtivamente, dalle finestre, da dietro i carretti, dai bassi, dalle botteghe, dai crocchi, dalle chiese, dalle botteghe e dalle osterie per scoprire la sua destinazione.

Quando esce, la gente che s’intrattiene nei pressi del palazzo, poiché lo teme e lo riverisce, salutandolo come ‘Sua Eccellenza ‘o Principe’ e attirando l’attenzione degli altri dicendo ‘Ssst jesce ‘o Principe’.

È senza dubbio una delle figure più affascinanti, brillanti e controverse del Settecento, il secolo dei lumi: umanista, inventore, alchimista, ermetista e personaggio di spicco del patriziato partenopeo.

Una personalità, che, seppur avvolta dal mistero ed impossibile da definire compiutamente, appare ben delineata dal lascito culturale, allegorico e sapienziale.

Una mente straordinaria, intraprendente, coltissima, un mecenate predisposto a tutto, un celebre indagatore dei più reconditi misteri della Natura, poiché supportato dall’attitudine alla ricerca, dall’amore per l’arte, la scienza e l’alchimia.

Benedetto, rompendo gli indugi, prima gli presenta Madame Carmen, poi Fabio, dopodiché, tessendo lodi che mi emozionano oltre ogni ragionevole dubbio, introduce me.

Il Principe, esperite le presentazioni di rito, poiché l’eccellente capomastro Gaetano Spallino e i suoi operai stanno ristrutturando l’appennato del balcone della stanza utilizzata per gli esperimenti di alchimia e chimica, ossia la ‘Camera della fenice’, ci prega di seguirlo in una stanza attigua.

Giunti nell’ambiente deputato ad ospitarci, pregandoci di accomodarci su confortevoli seggiole in cui primeggia il rosso della Rubedo, dispone che si preparino per noi dei biscotti e una bevanda calda. Dopo brevissimo tempo, ci raggiungono due servitori vestiti con giubba e cappellino bianco, che ci portano quanto chiesto.

Atteso che tornino nelle cucine, il Principe, con voce ferma ma modulata, chiarisce:

Miei cari, sono molto lusingato di ospitarvi e rivelarvi alcune prerogative che mi accompagnano. Siete ben accetti in questa casa, sia per soddisfare il vostro desiderio, sia per il suffragio che, nella nostra rispettabile società, vi assicurano le vostre qualità personali.

Nel venire qui state sfidando i pregiudizi del secolo, le opinioni di chi non ha occhi né per vedere, né orecchie per sentire e questo rappresenta il superamento, con precisa costanza, delle differenti prove che permettono di accedere in questo augusto santuario dell’alchimia e dell’ermetismo.

Ricevute onorevoli credenziali dall’illustrissimo filosofo qui presente, ritengo sia giusto che vi metta a parte della luce che state cercando con tanta cura. Non contento di quella, che con il vivo fulgore dei suoi raggi, sta colpendo i vostri occhi, lasciate che io vi riscaldi e animi il vostro cuore.

Permettetemi di rischiarare la vostra anima e il vostro spirito, consentitemi di svelarvi gli antichi misteri, farvi conoscere il vero oggetto dei lavori che compio, lo scopo reale di ciò che faccio, le regole, l’etica e la morale a cui, chi entra in questa casa, deve adeguarsi.

Tutto ciò che realizzo, da solo e con i miei accoliti, oltre ad essere relativo alla virtù, è il tempio che noi costruiamo. I semplici e grossolani strumenti di cui faccio uso non sono che i simboli dell’architettura spirituale di cui mi occupo.

Chi è sospinto dal desiderio irrefrenabile, frequentando la mia magione, avanzando per gradi, cosa che, senza dubbio, il vostro zelo merita, riesce a vedere fino al che punto l’allegoria ne sia sottilmente sostenuta. Per adesso, posso riferirvi solo quei segreti che il vostro stato attuale vi permette di apprendere.

Non intendo parlarvi della storia misterica dalle sue origini, perché consultando i libri santi, potete trovare quella relativa all’epoca della sublime costruzione, che consacra, con la saggezza del più grande dei re, un magnifico monumento alla gloria e al culto dell’Eterno. Con questa breve spiegazione intendo dissipare il prestigio che, eventualmente, possa preoccuparvi.

Non mi lascio mai ingannare né dai miei principi, né dai miei sentimenti, anzi, riuniti dallo stesso interessamento, noi oltre a essere parte della medesima Unità, ne facciamo gloria. Siamo opere simili di una stessa provvidenza, siamo tutti uguali; la nascita, i ranghi, la fortuna non ci fanno uscire da questo giusto livello. Siamo uomini semplici, modesti nei piaceri, essenziali nelle amicizie, fermi negli impegni, puntuali nei doveri e sinceri nelle promesse.

Cara Madame Carmen, conosco già il suo pensiero e anche quello di Benedetto, il dotto filosofo che utilizza il calamaio alla stessa stregua della bocca, quindi, vorrei ascoltare le parole di suo nipote, discepolo prediletto del carissimo esoterista ed ermetista Ciro Formisano, alias Kremmerz.

Fabio, sentitosi chiamato in causa interviene:

Caro Principe, sono affascinato dalla sua alchimia, dal suo ermetismo, dalle sue realizzazioni, ma vorrei cambiare argomento perché, essendo convinto che la realtà in cui si dimena l’individuo, anziché essere assoluta, sia relativa, vorrei chiederle cosa ne pensa.

Il Principe replica:

Tante pene porto nel cuore, tanto dubbio accompagna il dolore perché non so se la mia scienza sia in grado di trovare una nuova Realtà. Se guardate bene il mio ‘Cristo velato‘ vi rendete conto che in quel corpo marmoreo ci sono entrambe.

La realtà assoluta, rappresentata dallo stesso Redentore, e quella relativa da tutto ciò che esiste prescindendo dal sudario, ossia, nel mondo dei sensi. Il velo, oltre a separare, congiunge magnificamente quello che dimora al di là del drappo, con il corpo che, dormendo, aspetta la luce del Padre.

Così come non potrebbe esistere una storia senza Napoli, allo stesso modo non potrebbe esistere una Napoli senza storia. Oltre a pregiarmi, con grande umiltà, di far parte, assieme a Giordano Bruno, all’amato Benedetto Croce, alla maschera di Pulcinella, a Giustiniano Lebano, al Principe de Curtis e a tanti altri, della tradizione partenopea, sono orgoglioso di contribuire alla crescita esoterica e culturale della città. 

Il popolo ignorante e bacchettone ritiene che io sia uno stregone; c’è chi racconta che io abbia costruito sette seggiole con le ossa di altrettanti cardinali e che la stoffa per rivestirle sia realizzata con la loro pelle. C’è anche chi sostiene che io rapisca poveracci per usarli come cavie per i miei infernali esperimenti.

Credetemi, la malafede e l’invidia regnano tra i miei calunniatori; non potrebbero esistere menzogne peggiori di quelle che costoro, artatamente, disseminano per le strade.

Don Raimondo, detto ciò, chiede ad un domestico di portargli il manoscritto riposto sullo scrittoio dello studio e, non appena lo riceve, spiega:

Desidero condividere con voi il mio ultimo lavoro, il mio Testamento Spirituale, quindi, se ne convenite lo leggo.

Ricevuto il nostro pieno assenso, inizia a declamare.

“Io D. Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero a’ Trenta del Mese di Aprile Giorno di S. Severo V. dell’anno 1770, fedele alla Maestà Nostra fu Carlo III di Borbone, devoto ed intimo di S.S. Benedetto XIV o sia fu Cardinal Prospero Lambertini, stimato da Federico di Prussia e dalla di Lui Germana fu Margravia di Bareith, provvedo con questa mia dichiarazione scritta, chiusa, e suggellata, e occulta, a tramandare nel Nome del Misericordioso e Onnipotente mio Dio e Creatore, il Cammino della mia Esistenza; certo che il quale per Sorte troverà queste mie presenti Carte, sappia inviolabilmente usufruirne; come oppostamente Spero che se la Barbarie si rimanga a far sussistere pretenziose Navi senza Rotta, auguro che questi miei infrascritti ne resti polvere.

Sempre che il tempo non avrà distrutto la mia prediletta Chiesa Gentilizia, accosto al mio Palazzo dove mi trovo ancora ad abitare qui in Napoli intitolata di S.ta Maria della Pietà dichiaro di aver proccurato di ridurla a quella magnificenza di Statue, che simboleggiano, virtù e la mia stessa vita, con spesa e cura e arte. Non so se il destinato a leggere questi miei scritti sarà di appartenenza all’età dove la Lancetta del quadrante Celeste avrà toccata la Costellazione di Acquario. Questo non so; voglio però se chicchessia trovasse questo mio Testamento di troppa propria Coscienza, destini la sua Mente alle mie confidenze e poi sia così Probo da divulgarle; gli Uomini che vegliano i quali vivono intenderanno. Sarà per essi l’Aleph. 

Io nacqui a’ 30 gennaio 1710 a Torremaggiore; invero trascorsi il maggior spazio dell’età mia in grembo di questa Città di Napoli, Dominante eccelsa per fatalità di Spirito e d’Istoria.

Colpito da Morbo incurabile pe’ Professori, invero aequo se sieno noti gli argomenti della mia esistenza: praticai vita mia durante la Scientia delle Scientiae, il Sigillo di tutte le porte, La Chimica; seguii l’intento dell’Opera che Muta e pervenni al volo della Mente; ben inteso feci solenne e amplissima rinunzia di tutt’altro a benefizio di Essa, inverso la quale volsi la mia ossequiosa attenzione; Essa ha comandato che decorso questo anno, fra ‘L termine del terzo mese (dopo seguito questo mio scritto) di quello avvenire seguirà il trapassamento del mio Corpo.

Per ciò; prevedendo io che tra ‘L termine di un mese i miei Estensori non obbediranno al Comando del Cervello; dichiaro che quanto dico è stato instituito da un Progetto della qual Chiave – mi costa de causa scientiae – molti hanno invano formulato con Superbia. Io investito dal Misericordioso Iddio, ho veduto compreso trovato e concepito il Tesoro che a preferenza di qualunque sia si altro Gioiello va cercato; soscrivo e riscrivo ch’Esso è fonte di Gaudio e di periglio. Quando il trapassamento sarà maturato da decenni, gli uomini avranno acchetato la brama del non sapere? Avranno inteso l’Acqua che non pesa?

Confidato nella benignità del destinato postero alla prima Lettura di questo mio scritto, mi preme compendiare che l’Uno procede nella Mistica Concentrazione del Contemplare il noto e l’ignoto; così che lo Spirito va dalla Conoscenza Relativa dell’uomo a quella Eroica. Per dar poi un qualche argomento di questa mia Confidenza letta, così, Laddove alla mia morte futura in uno con gli altri fogli inseriti e inchiusi al presente dichiaro che ho umilmente appreso e con rettitudine secondo la Testimonianza di Paolo, Origene, Ilario, Giovanni… In ogni caso mi riconosco obbligato a confessare che tutte le strade, niuna eccettuatane, presi per insegnare vita mia durante; pochi invero intesero dal di dentro.

Io, per la Dio Grazia, ho conosciuta la Pietra d’Amore Celeste e mi rimetto ciecamente al Signore Iddio. Tu ch’hai cercato hai trovato; questa è la Legge; seguila. E per maggiormente acchetartene; se l’invincibile possanza del tempo non avrà dato alcun discapito alla riferita Chiesa di S.ta  Maria della Pietà; e se la mia unica, vera, diretta Discendenza siesi estinta o non siesi commendabile per Saviezza; a carico e scrupolo della tua coscienza, rimetto l’onere d’impedirne qualunque alterazione di Essa Chiesa.

Raimondo di Sangro Principe di SSevero ho disposto come sopra.

Napoli 30 aprile 1770″.

A questo punto, con soddisfazione malcelata e contaminata dalla malinconia, espone la sua considerazione:

Il mio scritto è suggellato e occulto, destinato sia a tramandare il cammino della mia esistenza, sia ad essere rinvenuto per sorte da chi sappia inviolabilmente usufruirne. 

Premettendo che molti contenuti, in ambito ermetico, devono essere vissuti, meditati, fatti propri e introiettati vi prego di riflettere sul suo contenuto, decifrarlo e rendermi partecipe della vostra interpretazione.  

Fabio, immediatamente, asserisce:

Caro Principe, penso che il suo sia un testamento iniziatico oltre che spirituale. Ascoltando, spero, con attenzione sono portato a pensare che trascrivendo fedelmente il testo, sottolineando alcune parole e utilizzando, a volte, le maiuscole, lei voglia indicare specifici indizi per una chiave di lettura destinata a chi ha occhi per vedere e orecchie per intendere.

Nell’iniziare con un’essenziale autobiografia, che però indica i suoi principali legami con le più alte ed illuminate personalità dell’epoca, da Re Carlo III di Borbone a Papa Benedetto XIV, già Cardinale Prospero Lambertini, senza trascurare il Re di Prussia, Federico il Grande, e la sorella di lui, Sofia Guglielmina Margravia di Bareith, intende zittire chi, spendendo male il suo tempo, non fa altro che denigrarla.

Credo che con le sue parole si auguri che esso vada disperso come polvere, se “le Barbarie rimangono a far sussistere pretenziose Navi senza Rotta”.

Lei auspica che la sua testimonianza sia a beneficio dei soli posteri che ne sappiano comprendere il significato, di chi, spinto dalla sete di conoscenza, cerchi tra le righe i suggerimenti che possono consentire un adeguato cammino evolutivo.

Croce, ascoltate le parole di Fabio e rendendosi conto che necessitiamo del suo intervento, sottolinea:

Don Raimondo accenna all’importanza che ha per lui l’opera realizzata in quella Cappella che, oltre a simboleggiarle, ospita le virtù e la sua stessa vita. Egli, per riagganciarsi alla realizzazione delle statue allegoriche su suo progetto ribadendo “Non so se il destinato a leggere questi miei scritti sarà di appartenenza all’età dove la Lancetta del quadrante Celeste avrà toccata la Costellazione di Acquario”, richiama l’Era dell’Acquario.  

Il nobile, sorridendo con orgoglio, lo interrompe e rimarca:

Nella preparazione, con processo alchemico, delle velature e del cordame marmorizzati, oltre a esserci la mia attiva partecipazione, c’è trasfusione di genialità, tecnica, passione e desiderio di raggiungere lo scopo.

Quindi lo ringrazia e tace, per ascoltare, con noi, il commento del letterato abruzzese, che, infatti, rileva:

Mentre alcuni teorizzano che l’Era astronomica detta dell’Acquario, ovvero, l’Eone che, per i Teosofi e gli Gnostici segna l’avvento della consapevolezza spirituale, sia quella attualmente in corso, altri, invece, ritengono che non sia ancora giunta.

Il Principe, oltre a lasciare il compito di divulgare il suo testamento spirituale a chi è destinato al suo rinvenimento, è certo che gli uomini che vegliano e vivono, siano in grado di intendere.

Il termine “vivono”, anziché essere concepito nella sua comune accezione, deve essere inteso in chiave iniziatica, quindi connesso al concetto di “morte e rinascita”.

Con l’espressione “Sarà per essi l’Aleph”, prima lettera dell’alfabeto fenicio ed ebraico (א), vuole evidenziare che l’uomo nuovo, l’illuminato, il risvegliato che conosce gli antichi saperi, che possiede adeguate conoscenze è destinato a comprendere l’essenza del testamento, che deve essere divulgata.  

Nell’utilizzare tale segno, ribadisce che questo è il loro compito primario. Nella Cabala, esso è un simbolo di fondamentale importanza, che riassume gli insegnamenti necessari all’iniziazione e alla conoscenza di Dio.

La meditazione della sua rappresentazione e l’apprendimento delle tecniche per sviluppare le facoltà sottili nell’individuo, forniscono le chiavi della cosmologia. È emblema dell’unità, del principio, quindi, della potenza, della continuità, della stabilità e dell’imparzialità.

Indica anche il centro spirituale da cui il pensiero, irradiandosi, stabilisce un collegamento tra i mondi superiori e quelli inferiori, tra quelli invisibili e quelli visibili. Per la Ghematria, la scienza teologica dell’ebraismo, che studia le parole scritte in lingua ebraica e assegna loro valori numerici, il suo è uno.

Tale lettera raffigura Dio, Uno, Unico ed Eterno e la sua forma grafica simbolizza il Padre Manifesto, la natura infinita di Dio. L’Aleph, che per lo Zohar è il “nascosto pensiero supremo”, oltre ad incarnare la volontà suprema, la prima manifestazione dell’azione del Signore, il Principio di tutto, è connessa all’Adam, l’uomo primordiale antecedente al peccato, e alla parola “amore”.

Il Principe, annuendo con enfasi, lo interrompe e spiega:

Penso sia necessario che ammetta di essere un convinto seguace dell’alchimia, ma, nel testamento, sono costretto ad usare termini differenti, sia perché subisco continui attacchi da parte dei miei diffamatori, sia perché così riesco a celare al lettore non risvegliato, ciò che intendo dire.

Nel tenere in mente le linee guida dell’Ermetismo, utilizzo, infatti, il termine “Chimica” anziché Alchimia e oltre a descriverla come la “Scientia delle Scientiae”, “Sigillo di tutte le porte”, affermo che seguo “l’intento dell’Opera che Muta e pervengo al volo della Mente”.

Credetemi, in questo modo riesco a fornire una mirabile e precisa descrizione dell’Arte del trasmutare la materia pesante in elemento etereo incorporeo, ma, allo stesso tempo, evito di esasperare i miei denigratori.

Caro Benedetto, ti prego di proseguire.  

Questi, nel ringraziarlo, ne evidenzia l’impressionante capacità precognitiva, tanto da scrivere ciò che puntualmente accade dopo undici mesi:

“Essa ha comandato che decorso questo anno, fra ‘L termine del terzo mese (dopo seguito questo mio scritto) di quello avvenire seguirà il trapassamento del mio Corpo”.

Il filosofo, fermamente convinto, chiarisce:

Il Principe riesce inoltre a prevedere la perdita del controllo delle sue funzioni fisiche nel giro di un mese. Sostiene che ciò che afferma rientra in un “Progetto della qual Chiave gli costa de causa scientiae”, che molti invano formulano con Superbia e di aver investito dal Misericordioso Iddio, di aver visto, compreso, trovato e concepito il Tesoro che, a preferenza di qualsiasi altro Gioiello, va cercato; scrive e riscrive ch’Esso è fonte di Gaudio e di periglio.

Dopodiché pone due quesiti sibillini: “quando il trapassamento sarà maturato da decenni, gli Uomini avranno acchetato la brama del non sapere? Avranno inteso l’Acqua che non pesa?”. Con queste domande, auspica che il singolo cominci a percorrere la strada che porta alla conoscenza, che si avvicini agli antichi saperi.

Attraverso il suo lascito dimostra di meritare ampiamente uno dei più alti gradi iniziatici dell’Arcana Arcanorum, la Scala di Napoli di cui è lui stesso un coautore, che corrisponde a quell’Arca Venerata sapientemente celata agli occhi indiscreti, giacché riposta all’apice dell’Ordine Egizio di Mizraim, più precisamente all’interno del suo riservatissimo cerchio detto “Rosa di Ordine Magno”.  

È accattivante il modo in cui esprime il concetto ermetico in cui “l’Uno procede nella Mistica Concentrazione del Contemplare il noto e l’ignoto; così che lo Spirito va dalla Conoscenza Relativa dell’uomo a quella Eroica”.
In pratica, suggerisce quella via di meditazione e contemplazione che conduce il singolo mosso dal desiderio all’esaltazione del Corpo di Gloria. Mediante il testamento olografo, indica, inoltre, la consistenza della sua esperienza formativa, tanto da menzionare filosofi protocristiani, teologi, pensatori esoterici quali Paolo, Origene, Ilario e Giovanni.

Un’analisi approfondita della sua vita mi porta a pensare che ultimi la sua formazione attraverso ogni possibile strada. Nonostante in molti lo reputino “‘nu tipo curiusu assai” e non riescano a comprendere l’itinerario che lo conduce a conoscere la Pietra d’Amore Celeste, io credo di essere in grado di comprendere il suo humus interiore e il percorso che gli permette di trasmutare se stesso e capire fin dove giunge l’amore divino.

Chi ha la fortuna di accostarsi alla sua Lettera Apologetica, si rende conto della sua profonda preparazione sugli antichi egizi e sulle loro conoscenze in merito alle costellazioni, sulle opere di Ermete Trismegisto e che è in possesso dell’insieme di saperi metafisici di Adamo.

Dato che padroneggia molto bene la lingua ebraica, riuscendo a consultare gli antichi testi cabalistici nella loro versione originale, è in grado di giungere a conclusioni che, purtroppo, non può esporre apertamente.  

Per evitare ripercussioni e la censura ecclesiastica, pur non convinto, è costretto ad attribuire l’origine del geroglifico, e quindi la nascita dell’intelligenza dell’umanità, ad Adamo.

Nell’usare, infatti, il suo linguaggio ironico, dà l’impressione di accettare i dettami generali del mondo clericale in cui si dichiara che la conoscenza divina passa dalla sapienza ebraica a quella egizia e che questa è trasmessa da Misraim, figlio di Cam.

Fabio, incuriosito dalle parole di Croce, domanda:

Caro Principe, può rivelarci a chi è indirizzato il suo testamento spirituale?

Questi, con voce impassibile e senza mostrare alcun stato d’animo, ribatte:

Potrei rispondervi con una frase degna dei migliori ermetisti, ossia: “Tu ch’hai cercato hai trovato, questa è la Legge”, a cui potrei aggiungere “Seguila”, ma visto che siete qui, anziché limitarmi solo a questa, vi offro un’interpretazione.

Sono costretto al silenzio a causa di vicissitudini che non mi consentono di trovare un altro modo di dialogare con il mondo intelligente e con gli zelanti, per cui sono obbligato a scrivere il testamento spirituale e lasciarlo assieme alle opere che dimorano nella Cappella, affinché chi, animato dal desiderio di conoscenza, leggendo, osservando e profondendo grossi o piccoli sforzi per interpretare, si diriga verso il cambiamento interiore.

A voi, invece, dico di rileggerlo, perché tra le righe ci sono le spiegazioni che lo chiariscono in base allo stato del vostro percorso spirituale e di Reintegrazione.

A questo punto, un cameriere lo informa che il capomastro lo attende nella camera che sta ristrutturando, perché ha bisogno di direttive tecniche e Don Raimondo, chiedendo il permesso di lasciarci, ci saluta, si inchina al cospetto di Madame Carmen, le bacia la mano e dispone che veniamo accompagnati all’uscita.

Giunti a piazza San Domenico Maggiore, ci congediamo da Benedetto e mentre ci dirigiamo verso piazzetta Nilo, come accade sempre, il dormiveglia interrompe il viaggio che, attraverso il sogno conduce alla tanto desiderata sapienza.

Prima del risveglio, però, alcune riflessioni circuiscono la mia mente.

La prima concerne la Napoli del Settecento, periodo in cui, a pieno titolo, la città è considerata, da tanti, un vero crogiuolo di attività esoteriche e sodalizi iniziatici di diversa matrice, che, fondendosi gradualmente fra loro, generano un articolato regime di natura sincretica, dalla preminente e forte matrice italico-egizia-caldaica.

La seconda attiene il concetto di realtà, costruita sulla polarità o dualità, i cui esempi sono le espressioni giustizia ed ingiustizia, bello e brutto, spirito e materia…

L’uomo, normalmente, rapporta ogni cosa ad altre, ma mentre lo fa, tiene involontariamente conto dell’esperienza precostituita, interpreta il mondo sia secondo il proprio vissuto, sia confrontando ciò che vede o gli eventi a cui assiste, con quello che i luoghi comuni, la cultura del momento e le abitudini riconoscono come giusti.

Tendenzialmente sente il bisogno di valutare gli avvenimenti secondo uno modello che, tenendo conto di rigidi punti di riferimento, fa sì che si giunga a definire Raimondo di Sangro e chi la pensa come lui, non conformati a schemi comportamentali che trasmettono sicurezza, permanenza ed immutabilità.

In altre parole, l’ambito in cui si muove il Principe non considera che tutto per natura è in continuo divenire il che non garantisce fissità; basta infatti una pandemia a rompere gli argini che tengono assieme le norme fino a quel momento preordinate.

Qualsiasi fenomeno è un aspetto relativo e convenzionale, un’illusione. Dal punto di vista empirico, il cosmo sembra essere così come appare, ma oltre la facciata c’è la vacuità o mancanza di esistenza intrinseca. La vita è una successione di fenomeni non sostanziali e le cose, in sé, non hanno alcuna qualità, se non ciò che attribuiamo loro, in modo più o meno conscio; ciò che esiste non è altro che l’interpretazione che l’essere umano proietta sulla realtà.

Esiste una realtà relativa, convenzionale, pratica, provvisoria, prodotta dalla ragione e che si basa sulle designazioni mentali e un’altra che, alla stessa stregua della verità, è assoluta e trascendente e, che, oltre a mostrare al singolo le cose come sono in sé, gliele fa comprendere nella loro condizione interiore. Questo tipo di realtà permette di percepire quel vuoto che, a ben guardare, non è tale, infatti, la conoscenza intuitiva di questo costituisce l’Illuminazione.

Un’altra considerazione consiste negli sforzi che il Principe mette in atto per far sua la Tradizione giuntagli, attraverso la sua Famiglia, per ‘ripulirla’ e renderla accessibile a chi, per volontà, capacità e purezza, vi si avvicini.

Sforzi profusi grazie al suo cuore generoso e paterno, che non smette mai di anelare all’insegnamento di quell’Ars Regia che mira all’educazione spirituale di chi è meno fortunato, per nascita, censo e lignaggio.

Grazie all’apporto di persone come lui, che sfidando la censura del tempo, trasmette i dettami ermetico egizi, precedentemente ad appannaggio di pochi, i più meritevoli, coloro che hanno orecchie per ascoltare e occhi per vedere, possono beneficiare di tale dottrina.

Tra costoro spiccano il cugino del Principe, il Cavaliere d’Aquino, che lo trasmette a Cagliostro, poi Domenico Bocchini, Giustiniano Lebano, Pasquale De Servis e lo stesso Giuliano Kremmerz, che ne incarnano il pensiero e il messaggio iniziatico, cercano di contestualizzarlo, renderlo attuale e metterlo al servizio dell’umanità. In particolare, lo stesso Kremmerz farà in modo di continuare egregiamente l’opera del suo degno predecessore.

L’Arte Reale è ormai giunta al suo prossimo risveglio. La scelta dell’Eletta è già fatta.
I miei Adepti vedranno presto fiorire la Nivea Rosa sulla cima del vecchio cespuglio. Si farà Luce per chi cerca la Verità in purità di cuore. Questo sarà il mio dono per quest’Anno memorabile.
Raimondo di Sangro

Il Testamento olografo di Raimondo di Sangro ritrovato dalla giornalista, ormai defunta, Clara Miccinelli, disponibile in rete.

Giandomenico Tiepolo, La partenza di Pulcinella, 1797, affresco. Ca' Rezzonico, Venezia

Autore Domenico Esposito

Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.