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Uragano Musk

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Elon Musk


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Elon Musk è considerato una delle menti più elevate del Ventunesimo secolo e i suoi progetti imprenditoriali, PayPal, Tesla e SpaceX tra tutti, definiscono in maniera marcata le sue qualità imprenditoriali e la visione del futuro.

Pare sia l’uomo più ricco del mondo: oggi è riuscito a mettere le mani su Twitter, uno dei social network più influenti, giurando di farne la piattaforma della libertà di parola per eccellenza.

Quello che è accaduto ha visto un repentino e radicale cambio di marcia, il Consiglio di amministrazione del social che cinguetta ha accettato l’offerta dal valore di 44 miliardi di dollari del patron di Tesla, in quello che è uno dei maggiori leveraged buyout, acquisto anche attraverso il debito, di una società quotata.

Musk pagherà 54,20 dollari per azione in contanti, in una transazione del valore di circa 44 miliardi di dollari, al termine della quale la società lascerà Wall Street dove era sbarcata nel 2013.

Ha affermato con ambiziosa vivacità:

La libertà di parola è il fondamento di una democrazia funzionante e Twitter è la piazza cittadina digitale in cui si dibattono questioni vitali per il futuro dell’umanità.

Voglio anche rendere Twitter migliore che mai, migliorando il prodotto con nuove funzionalità, rendendo gli algoritmi open source per aumentare la fiducia, sconfiggendo i bot spam e autenticando tutti gli esseri umani. Twitter ha un enorme potenziale: non vedo l’ora di lavorare con l’azienda e la comunità di utenti per sbloccarlo.

Proprio queste parole hanno riacceso il dibattito sul ruolo dei social nella società attuale e sulle loro criticità. L’obiettivo non è ancora chiaro, ma non sembra importare decisamente molto. Non sarà il cambio di una nuova proprietà a fare la differenza. Il modello di business di Twitter al momento fa del male a noi e la censura non è l’unico dei problemi. Lo stesso vale per Facebook, TikTok e tutti i social media.

Forse la verità è che dietro lo specchietto di una libertà incontrastata, questi modelli generano dipendenza, ci proiettano in uno stato di apparente ma ancorata depressione, ci fanno odiare gli uni gli altri e fanno a pezzi le società.

È un nuovo modo di augurarci il peggio senza guardarci negli occhi, è la sputacchiera della violenza verbale, il sasso lanciato e la mano slegata, il tacito assalto ad ogni idea e ad ogni pensiero che non corrisponde al nostro ideale.

Come disse tempo addietro Umberto Eco:

I social network sono un fenomeno positivo ma danno diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Ora questi imbecilli hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel.

Il diritto di parola cui fa riferimento Umberto Eco è da intendersi, ovviamente, come il diritto del singolo che un uditorio illimitato di utenti possa conoscere e propagare, criticare, esasperare le opinioni dette al bar o in contesti più o meno amicali, prima riservati e circoscritti.

Prima dell’avvento dei social, infatti, i mass media tradizionali affidavano il loro spazio agli esperti, come i Premi Nobel, professionisti del settore, cittadini che si erano contraddistinti per una azione utile o per un proficuo impegno sociale, mentre consegnando ai social pari modalità di diffusione dell’opinione a tutti gli iscritti ecco che “imbecilli” e “Premi Nobel” hanno pari capacità di raggiungere il pubblico, senza filtri e senza alcuna vergogna.

Anzi, la loro cassa di risonanza è molto più ampia e non teme rivali. La gente cosiddetta normale si scanna per un follower e adesca chiunque e in qualunque modo pur di avere un adepto, disinteressata a sapere se questo è un uomo con un profondo senso civico o, magari, un killer di professione.

Sui social si anticipano le esistenze: il loro perdurare nei giorni e anche le morti. Termini vaghi, definizioni fumose, un generico potere di valutazione e controllo delle opinioni in mano ad un potere unico, sono tutti elementi che non depongono bene per una comunità come quella mondiale che davvero tiene a certi valori come la libertà e il rispetto. Perché il punto, alla fine, è proprio questo. La causa originaria è lo schema normativo utilizzato nell’organizzazione dei modelli Internet, che semplifica, anziché prevenire, i conflitti di interesse.

Twitter è una rete di comunicazione, che vende annunci pubblicitari e che quindi ha un incentivo a manipolare ciò che ci diciamo l’un l’altro, per far sì che insistiamo ad utilizzare lo strumento e vendere annunci. La libertà di manifestazione del pensiero ecco che sposta il baricentro della società.

Se prima le opinioni che contavano per lo sviluppo e la crescita della società erano per lo più quelle dell’élite dominante – politica, economia – con la libertà di manifestazione del pensiero le opinioni che contano diventano quelle di tutti. Dietro questo universalismo si nasconde un malessere intenso della nostra società, la rabbia degli umiliati, il livore dei perbenisti, la confusione dei distratti, il gergo degli occultisti, la bava dei ruffiani e, soprattutto, la manipolazione delle lobby e dei gerarchi del pensiero unico, spesso a soldo delle grandi aziende o di certi poteri politici – e non solo – che sublimano verità inconsolabili.

Ricordiamoci- comunque- che nel 1996 è passata una legge chiamata Sezione 230 del Communications Decency Act, che ha reso i proprietari di siti web immuni da ciò che gli utenti dicono sulle loro piattaforme. Queste aziende fanno soldi sui contenuti appassionati e incendiari perché attraggono l’attenzione e l’energia delle persone e restituiscono più visibilità e più dati.

Un esempio banale: se un giornale implorasse costantemente la necessità di sparare a qualcuno, sarebbe per legge chiuso. I social network, invece, possono ingrandire minacce simili senza adottare alcuna misura per mitigare i danni. La soluzione sarebbe quella di abrogare la Sezione 230 in modo che questi social debbano assumersi la responsabilità dei contenuti che spargono.

Il problema non è Musk, quindi. A lui possiamo imputare di essere un uomo di affari? Un provocatore o un genio? È il minestrone che cuociamo tutti i giorni dentro i social, lo stesso veleno che ingoiamo e di cui siamo cuochi e clienti. Paghiamo il prezzo di una libertà che non ha dimensione se non l’etere di un blob feroce e mai domo.

Si caratterizza prontamente per una specifica dimensione politica e antagonista, perché non vuole tutelare le opinioni comunemente accettate nella società, vuole la dialettica e i suoi accenti accapigliarsi per una Babele infinita dove le lingue si assalgono e si intrecciano.

Nessuno ha il reale interesse di difendere le opinioni critiche, antitetiche, insomma il dissenso, politico e sociale. Il conflitto è danaro e il danaro è business o potere. Twitter fa gola e allo stesso tempo a paura perché ha la parola: è una finestra delle case di tutti. Essa nel tempo da social chic è divenuta una piattaforma su cui le fandom della cultura pop coesistono con l’attivismo – di ogni colore e segno – e la politica. Tutte le principali organizzazioni hanno un profilo su Twitter, come anche la maggior parte dei personaggi pubblici e dei leader mondiali, anche se, di tanto in tanto, qualcuno minaccia di andarsene.

E oggi che Musk lo ha comprato, la pletora di coloro che fingono l’exit si sta ampliando. Soprattutto sotto l’agognata minaccia di verificare gli utenti reali, sfrattando chi si nasconde dietro nickname fasulli o inventati all’occorrenza per spingere certe frange a rumoreggiare in favore o contro qualcuno o qualcosa.

Essenzialmente la fine dell’anonimato più volte invocata da chi non ha idea di come esso possa essere vitale in Paesi in cui la libertà di espressione è davvero soggetta a restrizioni. Un modo assoluto ed epocale di cambiare, forse, il modello della Rete. Quasi impossibile, al di là delle ragioni etiche e tecniche. Senza contare la difficoltà oggettiva di avere leggi che vanno dietro a questi mutamenti sociali in repentina ascesa su tutti i fronti.

L’uragano Musk si è abbattuto sui like, sulle dispute, sulle cricche e ogni tipo di umanità. Siamo forse solo all’inizio ma nulla mi fa pensare che cambieremo in meglio il nostro approccio di fronte ai social che ci sono e che verranno: dietro alla loro genetica imperfezione c’è la nostra tossica imperfezione vitale.

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.