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Quando è il momento di cambiare

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Alda Merini


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E se diventi farfalla
nessuno pensa più
a ciò che è stato
quando strisciavi per terra
e non volevi le ali.
Alda Merini

C’è un momento preciso della nostra vita in cui ci rendiamo conto che ciò che viviamo non ci appartiene più, come se fosse avvenuta una frattura tra ciò che eravamo e ciò che siamo. Ci si sente confusi, si ha solo consapevolezza che qualcosa bisogna cambiare di sé, ma è difficile e doloroso.

Quando ci si trova in questa situazione è importante trovare del tempo da dedicare a se stessi e meditare su cosa si prova, su ciò che si vuole e su quello che ci fa sentire a disagio.

Spesso si vivono relazioni e condizioni di vita in cui si avverte l’obbligo a restarne legati senza via d’uscita. L’incapacità di elaborare una via di fuga può crearci delle gabbie mentali, rendendoci completamente dipendenti da situazioni tossiche per il nostro equilibrio psicofisico.

Il cambiamento è una costante del nostro vissuto e della vita in ogni sua forma.
Le neuroscienze ci insegnano che tutte le volte che apprendiamo qualcosa si modifica la struttura dei nostri neuroni e vengono generate nuove strutture sinaptiche; questo ci indica che il nostro cervello ha una plasticità e che è possibile modificarlo.

Ma da dove iniziare e cosa possiamo veramente fare per apportare variazioni nella nostra vita?

Siamo padroni solo dei nostri pensieri e questa è una grande risorsa; modificando il nostro modo di pensare possiamo portare dei benefici al nostro organismo e trovare la soluzione al nostro mal d’essere.

Quante volte ci ripetiamo:

Sono un fallimento!
Avrei potuto fare in altro modo.
Non sono capace di fare scelte.
Se provo a cambiare cosa penseranno di me?
Forse questo è il mio destino!

Abbiamo mai pensato a cosa desideriamo veramente? Cosa è bene fare per noi e se questa era la vita che sognavamo da ragazzi? Ci siamo costruiti un mondo di relazioni sulle apparenze e sulle sovrastrutture, dipendenti dai giudizi altrui e facendoci dirigere e controllare la vita.

Ritorniamo un attimo al nostro cervello, perché capirne il funzionamento potrebbe aiutarci a comprendere il meccanismo delle reazioni che possono scaturire da certi schemi di comportamento.

Secondo il neurologo Paul D. MacLean esistono tre componenti nel cervello umano: un primo cervello definito “rettiliano”, che scatena il meccanismo di sopravvivenza immediata, senza il quale un animale non potrebbe sopravvivere. Bere, mangiare, accoppiarsi per mantenere la riproduzione della specie.

Nei mammiferi troviamo un secondo cervello che si unisce al primo, ed è quello dell’affettività o della memoria. Senza il ricordo di ciò che è piacevole o spiacevole non è possibile sentirsi felici, tristi, angosciati, arrabbiati, innamorati.

Il terzo cervello è costituito dalla corteccia cerebrale; nell’uomo è molto sviluppata la “corteccia associativa” quella che associa le vie nervose soggiacenti e che ha conservato la traccia delle esperienze passate.

Questi tre cervelli sovrapposti funzionano insieme e devono collegarsi a tre canali: quello della “ricompensa”, quello della “punizione” e quello della “inibizione” ad agire.

Il primo ci porta a ripetere un’azione che ci ha gratificato, comportamento di gratificazione; il secondo è il comportamento che reagisce alla punizione, o attuando la fuga che evita il castigo, o con la lotta che annulla il soggetto dell’aggressione; il terzo è il comportamento di inibizione, in cui ci si blocca, non si ha la capacità di reagire, si attende il pericolo e si arriva all’angoscia.

Conoscere le dinamiche di un comportamento ci indica che, in una situazione di grande stress, se prendiamo una via di fuga, trovando il coraggio di lasciare certe situazioni che ci fanno male, il nostro organismo reagirà appunto allo stress e, allontanandosene, ritroverà la propria stabilità psicofisica.

Il comportamento di inibizione, invece, è quello in cui ci si trova quando non ci si sente abbastanza forti per prendere delle decisioni ed è quello che comporta più disturbi dal punto di vista fisico e psichico.

Questo “non agire” si accompagna a disturbi del sonno, nel quale si rimurgina su ciò che si dovrebbe ma che non si ha il coraggio di fare, a disturbi digestivi, ad ansie ed attacchi di panico, a disistima, fino a sfociare in forme depressive o a patologie cardiache.

Spesso, durante i miei trattamenti Reiki, mi capita di trovare persone che, dopo il trattamento, si trovano in uno stato di rilassamento e di pace interiore tale da avere la mente sgombra da pensieri negativi e con la voglia di raccontarsi. La consapevolezza di dover cambiare la direzione della propria vita, o di prendere delle decisioni che portano a un benessere, è insita in tutti. È importante, in questa fase, ripercorrere la propria vita e capire cosa è possibile recuperare e cosa, invece, deve essere allontanato. Potrebbe essere necessario prendere le distanze, per un periodo, dall’ambiente che ci crea disagio, e capire cosa proviamo.

A volte accade che ci si senta come “un pesce fuor d’acqua”, perché non si è abituati a stare da soli ed ascoltarsi. Certe dipendenze tolgono ogni capacità di saper fare; l’autostima viene meno al punto da rendere una persona completamente succube, innestando pensieri negativi sulle proprie capacità.

Altre volte, invece, si cerca di trovare delle scuse per non agire, perché impegnarsi nella riuscita di sé, potrebbe essere più difficile del restare fermi, in situazioni stagnanti.
Ecco perché l’ascolto del proprio disagio interiore è importante; prendere coscienza di avere una sola vita da vivere, che è un nostro percorso e che nessuno può decidere su di noi senza il nostro permesso.

Può accadere di tenere in piedi delle relazioni che sono già finite da anni, solo per l’illusione di dare un’immagine positiva della propria vita; in realtà, si rinforza l’acredine e il senso di sofferenza di un’esistenza vissuta sull’apparenza e non sull’essenza.
Cosa veramente vogliamo? Vivere con serenità e libertà di decisione o continuare a incolpare gli altri per il nostro malessere?

Uscire dalla fase del vittimismo e fare un salto di qualità è un processo da compiere. Se ci si sentisse tanto fragili da non poterlo fare da soli, sarebbe vantaggioso rivolgersi ad un terapeuta, parlare con un amico, leggere dei buoni libri che aiutino a vedere altri aspetti che non conosciamo, iscriversi a un corso di meditazione, trovare un gruppo nel quale confrontarsi.

Ogni cambiamento ci porta in un mondo sconosciuto e ci crea delle paure, la staticità, invece, ci porta a false sicurezze. La morte è staticità; tutto ciò che è in cammino e fluisce è vita.

La gente vive quasi come se fosse già nella tomba. Ciò che chiami una vita comoda, confortevole non è altro che un tipo di tomba più sottile. Di conseguenza, quando inizi a cambiare, quando inizi il viaggio che ti porta nel tuo spazio interiore, quando diventi un astronauta dello spazio interiore, e tutto si trasforma a grande velocità, ogni istante tremerà di paura. Ci sarà sempre più paura da affrontare.
Osho

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Autore Maria Filomena Cirillo

Maria Filomena Cirillo, nata a San Paolo del Brasile, vive in provincia di Napoli, dopo aver abitato per anni sul lago di Como. Il suo cammino spirituale è caratterizzato dalla ricerca continua dell'essenza di ciò che si è, attraverso lo studio della filosofia vedantica, le discipline orientali di meditazione e l'incontro con i Maestri che hanno "iniziato" il suo percorso. Tra Materia e Spirito. Giornalista pubblicista, laureata in Scienze Olistiche, Master Reiki, Consulente PNF, tecniche meditative e studi di discipline orientali. Conduttrice di training autogeno e studi di autostima e ricerca interiore. Aromaterapista ed esperta di massaggio aromaterapico.