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Pace a te

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Ci chiediamo se il prezzo del gas possa essere scambiato con la pace. Di fronte a queste due cose, cosa preferiamo: la pace oppure star tranquilli con l’aria condizionata accesa tutta l’estate?
Mario Draghi

Il paradosso della pace sta nel fatto che non ha mai potuto godere di una chiara definizione positiva. È sempre stata definita in modo negativo, pace come conseguenza della mancanza di una guerra, e, per questo, continua ad essere un concetto che si rivela per la maggioranza “debole”, generico e confuso che consente gravi arbitrii e strumentalizzazioni.

Ad essa sono state affidate molte dimensioni: una interna e una esterna, una personale e una politica, una micro e macro-sociale, una locale e una internazionale, c’è la pace interiore e la pace nel mondo, la pace tra gli uomini e le donne e la pace con la natura…

Il legame che esiste tra queste dimensioni viene spesso bistrattato o sfruttato per giustificare predilezioni e atteggiamenti ad essa contrari. È evidente che in termini oggettivi, la pace nel mondo possa essere circoscritta ad un ordine sociale e internazionale nel quale si possa godere di tutti i diritti umani. Siamo abituati a vedere la pace come il frutto maturo della giustizia e del pieno rispetto dei diritti umani. Sembra facile, ma non lo è per nulla.

Essa è il culmine del progresso umano, il dover essere supremo. In quanto strettamente legata alla moralità, non può coincidere, come pensava Kant, con la semplice realizzazione di una situazione di equilibrio che può fondarsi anche sulla tirannide. Il filosofo tedesco non era un utopista, almeno non nel senso usuale del termine, logicamente conscio, com’era, che il solo imperativo della ragione non è sufficiente a persuadere il “legno storto” dell’umanità a cercare la pace. Essa deve concretizzarsi, invece, nella libertà, perché deve originare da una cosciente volizione, da una scelta che è etica e che senza libertà non si può realizzare.

In questi giorni sta irrompendo nel corpo della nostra tradizione culturale occidentale e nel dibattito filosofico-politico un paradigma sovvertitore. La pace non dev’essere generata come semplice sospensione delle ostilità durante la guerra o nell’intervallo tra due guerre. Questa è soltanto un surrogato, la “pace negativa”, nozione tuttora regnante, a parte qualche eccezione, nella cultura politica contemporanea. Non è un caso che sia invocata di continuo nella presente articolazione ucraina.

Sfortunatamente, anche se la Storia maestra può incensare pochi e svogliati allievi, il conto non tralascia mai di presentarlo, come attualmente sta accadendo. Infatti, il terribile è già accaduto e si sta compiendo davanti ai nostri occhi non immuni: le guerre mondiali e i sistemi d’arma nucleare, spesso celebrati con impressionante levità, mostrano che Kant aveva perfettamente ragione anche nella predizione che soltanto l’esperienza della distruttività della guerra avrebbe dovuto persuadere gli Stati a rinunciare alla propria libertà selvaggia e a sottomettersi a una legge comune.

Del resto, il processo di globalizzazione, nonostante limiti ed errori, producendo l’erosione della sovranità nazionale, ha acutizzato il bisogno di nuovi poteri a livello regionale e mondiale. E anche se, grazie ai media siamo informati giorno dopo giorno degli avvenimenti che succedono ovunque nel mondo, presupposto per la formazione di un’opinione pubblica e di una società civile globali e magari non sempre allineate, nulla cambia e nulla viene fermato.

Possiamo ritenere, dunque, questi fenomeni come aspetti del processo di globalizzazione, e della connessa cancellazione della distinzione tra politica interna e politica estera. Come un caos dettato dal caso ove ogni cosa sottintende un’altra esasperazione del concetto di pace. Quello che oggi vediamo, infatti, è un dislivello fra la crescita morale, lenta e difficoltosa, e quella artistico – scientifica.

Questa disparità si è aggravata soprattutto negli tempi, visto il rapido ed esponenziale progresso nell’ambito scientifico a cui non segue una uguale maturazione della coscienza umana che impedisce la realizzazione di una pace concreta. E dove questo pensiero si inceppa, servono organi esterni che possano supportare un regno di tranquillità: quanto è riscontrabile nell’attualità, grazie all’enorme crescita di istituzioni internazionali o più specificamente politiche, ONU.

Il ruolo fondamentale delle organizzazioni internazionali consiste nel fatto che esse devono proporsi come garanti in due ambiti fondamentali: quello dei diritti umani e quello delle minacce globali. Le regole che tali istituzioni fanno valere non sono determinate dall’interesse egoistico legato ai singoli stati, ma da quello generale, dal compromesso e dall’invalicabilità di alcuni limiti.

Quando i diritti di gruppi etnici, di popoli e di minoranze vengono calpestati, è necessaria la presenza di un “tertius super partes” che possa agire “senza decadere a strumento di una singola potenza”, ma impegnandosi perché la tutela di quei diritti non sia una “ipocrita finzione”.

Oggi queste istituzioni stanno facendo quello che serve per scongiurare un massacro dei civili nelle terre ucraine?

Non possiamo dare una risposta “banale”: in verità tutto dipende da una serie di meccanismi e cavilli che possono determinare nevralgie nel sistema e, quindi, non consentire a questi organi di intervenire in maniera decisa e completa.

Nella discussione sulla pace entrano diversi elementi e variabili: dai poteri dello stato moderno, dalla territorialità ereditate, dai nazionalismi, dal sovranismo, dalla globalizzazione economica e dallo slancio dell’ecologismo come nuovo motore di pensiero libero. Eppure, abbiamo ancora nazioni che concordano in una politica di difesa, o di attacco, che prende origine dal presunto e falso bisogno di difendersi da eventuali e improbabili minacce esterne.

Spiegare una guerra è impossibile, declinare la pace non di meno. Ognuno di noi, porta dentro di sé un suo concetto della pace: a volte, ci illudiamo che fatta l’abluzione quotidiana, pagato il pegno nel confessionale, inchinato il capo per la benedizione, siamo tutti di nuovo purificati.

Ecco che la farsa del perbenismo e dell’ipocrita recitazione francescana lascia il posto alla realistica e impregnata di ferocia nostra animosità. Lo vedi nei talk show, nuovi teatri dell’oscurantismo, o fuori ai luoghi di preghiera, quando un apostolo della bontà esce da quelle mura diventa un paladino delle proprie egoistiche necessità.

E allora non ci resta che tornare alla speranza di affidarsi a qualche evento straordinario che possa cambiare il tutto, trascinando tutti nel vortice dell’abisso per una nuova rinascita.

Lo capirebbe l’uomo di oggi?

Non voglio illudermi, credo di no. E in questi giorni nessuna colomba vola sopra il cielo di Roma, la pace è lontana come una bandiera tra le stelle, come il ritorno alla normalità. Non basta inchinare il capo per la benedizione, la pace non è con noi.

Non c’è via per la pace, la pace è la via.
Thich Nhat Hanh 

 

 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.