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Ma i Flinstones già usavano i social media?

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Flinstones


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Gli Utenti Consumatori vorranno utilizzare la natura interattiva di Internet per partecipare direttamente allo scambio delle notizie e delle idee. L’informazione come lezione sta lasciando spazio all’informazione come conversazione.
Tom Curley, Direttore Associated Press, conferenza Online News Association, 2004.

Sabato 22 febbraio ho seguito a Napoli i lavori di un convegno dal suggestivo titolo ‘Il Libero Pensiero e la Libertà di Pensare nell’Era Digitale’. Nel corso di questo convegno gli spunti di riflessione trattati dai relatori erano tanti, ma uno – quello del docente universitario in Storia delle Filosofie Contemporanee, Ernesto Paolozzi – mi ha colpito in modo particolare.

Paolozzi, nella sua visione ‘Sulla Libertà di Pensare nella Società dei mass media’ elabora accademicamente il concetto ‘Idiocracy’ traducendolo dall’inglese con ‘Stupidocrazia’.
In effetti la ‘Idiocrazia’ si afferma e prolifera con (e nel) web 2.0. Il fenomeno viene portato all’attenzione del grande pubblico con la commedia fantascientifica di Mike Judge ‘Idiocracy’, 2006.

Due anni dopo Susan Jacoby ci parla dell’anti-intellettualismo americano in ‘The Age of American Unreason’. Lo stesso anno il critico culturale Lee Siegel, nel suo saggio ‘Against the Machine: Being Human in the Age of the Electronic Mob’, tratta lo stesso argomento.

La Jacoby sostiene che il ‘Dumping down’, l’appiattimento culturale dell”idiota americano’, è

una miscela virulenta di antirazionalismo e di basse aspettative che si rivela più in uno stato permanente che temporaneo.
Jonathon Gatehouse in https://www.macleans.ca/politics/america-dumbs-down/.

Siegel, invece, si sofferma più sul contesto in cui l’idiota si sviluppa e prolifera, descrivendo:

il mondo surreale del Web 2.0, dove la retorica della democrazia, della libertà e dell’accesso si rivela spesso la ‘foglia di fico’ di una retorica antidemocratica e coercitiva; dove ambizioni commerciali si vestono in abiti da pecore caratterizzati da valori umanistici; e dove, ironicamente, la tecnologia ha riportato indietro l’orologio al disinteresse di un godimento dell’arte arte e/o popolare a vantaggio di una cultura primitiva che innesca false interpretazioni personali che non sono altro che i l risultato dell’effetto del gregge.
Patricia Cohen in ‘Dumb and Dumber: Are Americans Hostile to Knowledge?’

Cosa invece intende Paolozzi per ‘Stupidocrazia’, una nuova forma di cultura dilagante, lo possiamo capire ascoltando una sua intervista su Radio Radicale.

Da molti anni mi occupo di Cultura Digitale e non posso che essere d’accordo con Paolozzi e tanti altri Esperti. Il ‘fenomeno stupidocratico’ – della cui esistenza effettivamente non sono più solo gli addetti ai lavori del mondo dei media che stanno iniziando a prenderne coscienza – si verifica e prende piede di pari passo all’uso di massa di Internet.

Questo strumento, sebbene inventato dagli americani per scopi militari, si è evoluto con il world wide web – messo a punto dagli europei Tim Berners Lee e Robert Cailliau – in uno strumento che, almeno in linea teorica, dovrebbe essere il media iper-liberale per eccellenza; inventato per la trasmissione e la diffusione delle Informazioni e della Conoscenza scientifica e popolare in tutti i suoi molteplici aspetti mediante l’uso di massa di particolari applicazioni, che si evolvono anni dopo con il ‘web 2.0’ in altri più efficaci come ad esempio i social media.

Tuttavia, un’altra mia riflessione sembra spingermi a confutare parzialmente quanto sopra.

Davvero tante sciocchezze che si leggono sui social media sono solo la conseguenza di una ‘Stupidocrazia’ dilagante? Non sarà che dobbiamo imparare a distinguere la genesi di contenuti che molto spesso leggiamo in molti profili personali o nelle bacheche virtuali dei gruppi che si trovano nelle pagine dei social media?

Potrebbe essere che molti ‘Contenuti Generati dagli Utenti’ siano la palese declinazione moderna della atavica e naturale necessità di ogni Donna e di ogni Uomo, di volere, in qualche modo, esprimere liberamente il suo pensiero: nella volontà di narrare le sue emozioni del momento o condividere il suo stato d’animo, a prescindere la profondità del livello culturale che lo contraddistingue?

Non a caso sulla bacheca dei nostri profili Facebook la ‘finestra d’engagement’ che ci invita ad interagire con il mondo virtuale ci chiede: “a che stai pensando?”

E allora, penso alle migliaia di incisioni rupestri, ai petroglifi scoperti sulle pareti delle centinaia di caverne sparse sulla Terra. Che gli archeologi riconducono all’opera di antichi Uomini che rappresentavano raffigurazioni fantastiche o mistico-simboliche i cui autori erano probabilmente artisti e sciamani: proto-intellettuali del primo Homo sapiens.

Però, incise sulla roccia, sono state rinvenute anche rappresentazioni di realtà di vita quotidiana pastorale o agricola attribuite, invece, non ai proto-intellettuali di cui sopra, ma a uomini semplici che le disegnavano come passatempo.

Dunque, queste mistiche e semplici figure rupestri spesso mischiate tra loro che cosa sono? Io sono convinto che siano le testimonianze di stati d’animo, rappresentazioni figurate di emozioni volutamente incise nell’unico supporto a quel tempo a disposizione dei ‘Flinstones’. Contenuti creati per condividerli nel loro presente con gli altri Uomini della propria Tribù, forse anche immaginando che sarebbero state ammirate da uomini sconosciuti in futuro!

Quindi potremmo affermare che, da sempre, le rappresentazioni del pensiero dell’Uomo colto si sono mischiate in luoghi comuni con quelle di Uomini dotati di minori conoscenze? Possiamo affermare che Artisti e Dilettanti, Intellettuali e uomini comuni da sempre hanno voluto incidere il loro Pensiero su qualche supporto per condividerlo con Altri?

L’enorme spinta allo sviluppo della Società dell’Informazione indotta dall’introduzione delle nuove tecnologie multimediali ha indotto la conseguente diffusione di massa della Cultura Digitale. Questa si esprime tra uomini colti e meno colti diffondendosi nella Società che si evolve in maniera tumultuosa con il repentino passaggio dall’era analogica a quella digitale. Il mezzo su cui si esprime non è più la roccia della caverna o la carta stampata di un libro. I media tradizionali, per secoli rimasti tali, iniziano a smaterializzarsi nell’era analogica con la radio e poi con la televisione. Ma soffrono ancora di un difetto primordiale: non sono Liberi. La diffusione dei contenuti che trasmettono è monodirezionalmente soggetta ad un mittente che la elabora ed un ricevente che la subisce.

Con il Digitale cambia tutto. Un contenuto – che rappresenta l’espressione culturale di un individuo, qualsiasi sia il suo livello culturale – che viene generato per qualunque motivo o particolare scopo può essere diffuso da chiunque, e chiunque potrà interagire con esso. Potendo, se capace, perfino modificarlo in illimitate altre forme espressive che a loro volta diventano Contenuti diversi dall’originale.

Se siamo a conoscenza della definizione di User Generated Content che afferisce al mondo Internet non sarà difficile capirne il perché, ecco una sintesi.

User Generated Content
Il Contenuto Generato dall’Utente (Internet User Generated Content) è una qualsiasi forma di Contenuto, che si rappresenta in forma di immagini, video, testo o audio, che viene generato e pubblicato dagli Utenti Internet attraverso specifiche piattaforme ed applicazioni digitali online.

I Contenuti Generati dagli Utenti sono utilizzati in una vasta gamma di applicazioni o scopi. Tra cui, ad esempio, nell’elaborazione e la risoluzione di problemi sociali, nella produzione di notizie, nell’intrattenimento, nella pubblicità, per il semplice gossip o nella ricerca scientifica.
Fino all’avvento di Internet i ‘mediatori dei generatori, i custodi e i distributori tradizionali’ di Contenuti potevano essere solo determinati Soggetti. Come ad esempio Editori, Produttori o Broadcaster.
Questi attraverso i loro referenti, come ad esempio i direttori di giornali, i direttori di un network, i produttori tele-cinematografici, approvavano inopinatamente la qualità di un Contenuto o di una Informazione prima che fossero diffuse.

Con l’avvento delle nuove tecnologie digitali user friendly (di uso amichevole per il normale medio utente) e lo sviluppo penetrante di massa del mezzo di diffusione digitale Internet, con le sue conseguenti applicazioni, una produzione mediale creata con le nuove tecnologie digitali è diventata più accessibile al grande pubblico.
Un enorme numero di individui nel mondo, è oggi in grado sia di pubblicare che di fruire di un Contenuto grazie ad applicazioni come YouTube, Facebook o Twitter.

In (e da) qualsiasi parte del mondo (tranne in quei paesi in cui ancora vige la censura della rete Internet) notizie, informazioni, contenuti creativi, testi, musica, foto e video digitali, possono essere facilmente prodotti e distribuiti da chiunque, incontrando il minimo impiego economico dovuto ai fornitori di connessione, con criteri di selezione (operati dai gatekeeper o da filtri elaborati per il blocco di contenuti pornografici oppure offensivi, etc etc..) della loro diffusione spesso quasi totalmente liberi, nella maggior parte delle nazioni.

Recenti ricerche evidenziano che gli Utenti Internet ritengono spesso più ‘affidabili’ Contenuti UGC che quelli prodotti e diffusi dai media ufficiali nella diffusa convinzione dell’affermazione di una ‘Democratizzazione della Produzione e Fruizione di Contenuti’ raggiunta grazie all’Internet e con il conseguente sviluppo delle sue applicazioni social media quali Facebook, Twitter, Weblog, Forum, etc. etc..

E allora, se in questa mia riflessione esiste uno spunto di verità, il ‘fenomeno stupidocratico’ lo dobbiamo solo criminalizzare, oppure dobbiamo cercare di comprenderlo. Per poi iniziare a cercare di aiutare le persone di buona volontà a convertirlo, almeno in parte, in ‘Intellicratico’?

Una strada potrebbe essere la promozione del concetto di Intelligenza Collettiva, introdotto dal sociologo Pierre Lévy già nel 1994, e che, finalmente, oggi, si può amplificare, come direbbe Derrick De Kerckhove, in

una forma di estensione dell’intelligenza e della memoria privata, ma fatta collettiva tra la massa

attraverso l’Intelligenza Connettiva.

Intelligenza collettiva

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Autore Vittorio Alberto Dublino

Vittorio Alberto Dublino, giornalista pubblicista, educatore socio-pedagogico lavora nel Marketing e nel Cinema come produttore effetti visivi digitali. Con il programma Umanesimo & Tecnologia inizia a fare ricerca sui fenomeni connessi alla Cultura digitale applicata all’Entertainment e sugli effetti del Digital Divide Culturale negli Immigrati Digitali. Con Rebel Alliance Empowering viene candidato più volte ai David di Donatello vincendo nel 2011 il premio per i Migliori Effetti Visivi Digitali. Introducendo il concetto di "Mediatore della Cultura Digitale" è stato incaricato docente in master-post laurea.