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La sacerdotessa e il matrimonio con Dionisio: Villa dei Misteri Pompei

1885
Pompei - Villa Misteri Affreschi Triclinio


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Se è vero che ciascuno è artefice del proprio destino, è pur vero, a volte, che il sentiero della nostra esistenza sembra tracciato in modo tale da indirizzarci in una direzione univoca.

Situazioni oggettive e scelte personali si combinano in modo tale da determinare le vite dei singoli. Anche io non sono sfuggita a tale regola e, così, un giorno, mi sono trovata a fare da guida ad un gruppo di americani in visita agli scavi di Pompei.

Porta Marina ci introduce in questo déjà-vu senza tempo. Il tempio di Venere ci attende con una vista incantevole per poi passare attraverso vari edifici come quelli municipali o di Eumachia la bella Sacerdotessa imprenditrice per giungere al Foro con la sua mensa, i granai, i bagni pubblici, il Tempio di Giove e, un po’ più in là, il Macellum.

Ci incamminiamo verso Porta Ercolano passando per la casa di Fabio Rufo e quella di Sallustio, una breve sosta alla Domus di Diomede e, continuando su via dei sepolcri, giungiamo alla Villa suburbana più famosa di tutta l’aria vesuviana.

Il silenzio regna sovrano nel gruppo di oltre oceano che mi segue, un dubbio mi attanaglia, riuscirò a infondere il messaggio profondo che queste pietre propagano?

Per noi eredi della civiltà pompeiana e depositari del suo retaggio culturale è naturale entrare in simbiosi con l’aura di mistero che aleggia, quasi impossibile è trasmettere l’arcano in un idioma le cui radici affondano in una civiltà diversa e lontana, ma i visi stupiti, religiosamente attenti e in attesa, mi danno il coraggio di intraprendere l’impresa.

Avanzando nel corpo dell’edificio scopriamo che si divide in due aree, la prima totalmente residenziale risalente al II sec a.C., la seconda, invece, successiva e del tutto agreste, datata I sec d.C., è caratterizzata da ambienti destinati alla produzione del vino con le cucine ed i bagni.

Arrivando al tablinio iniziamo ad individuare dei quadretti che ci introducono ai culti dionisiaci, con menadi e satiri che ritroveremo in tutta la loro straordinaria magnificenza nelle megalografie del Triclinio dei Misteri interno al tipico porticato a tre lati che si affaccia su di una veduta mozzafiato del Golfo di Napoli, una stanza segreta.

Non si ha certezza di chi abbia occupato la casa e del reale committente di questo affresco che lascia a dir poco attoniti, l’ipotesi più accreditata, vista l’importanza di tutto l’edificio e la sua sontuosità, ci riconduce a Livia moglie dell’imperatore Augusto, anche per la presenza di una sua statua in abiti di sacerdotessa che ora è visibile nell’Antiquarium di Pompei.

L’affresco, il cui colore predominante è il tipico rosso pompeiano, si snoda lungo tre pareti ed è suddiviso in 9 fotogrammi che raccontano l’iniziazione di una giovane donna ai riti misterici maggiori che culminano con il matrimonio dell’ormai sacerdotessa con Dionisio.

È la più importante attestazione, nel mondo greco, dell’introduzione femminile ai culti dionisiaci in grandezza naturale su 17 metri di lunghezza. Il pavimento, con motivi bianchi e neri, ci conferma che siamo al cospetto di una testimonianza di un cammino capace di districarsi tra il dualismo degli opposti, quel percorso che conduce, a chi è dato di vedere, verso una verità ri-velata, fatta di morte e rinascita ad esclusivo appannaggio di donne sposate, dato il forte coinvolgimento sessuale.

Partendo da sinistra incontriamo la probabile inizianda che indossa ancora il copricapo, ricinum, e sosta fuori dal tappeto verde aspettando di poter essere ammessa, è colei che bussa alla porta del tempio, ignara di ciò che potrà accadere, sostenuta dalla sua ferma volontà di entrare a far parte di un mondo a lei sconosciuto.

Ad attenderla una matrona seduta con in mano una pergamena arrotolata, accanto un giovinetto che legge il papiro contenente il rituale, qui vi è il primo incontro con Dionisio nella sua caratteristica iconografica di fanciullo androgino. La sua funzione può essere assimilata a quella svolta da una Conduttrice intenta a controllare la lettura delle formule sacre oppure a porre le domande tipiche di una tegolatura.

Mentre una giovane coronata di mirto o olivo, le piante tipiche del culto, che sembra rivolgere lo sguardo verso di noi, prepara il pasto da offrire alla divinità, due giovani iniziate, con prerogative diverse, conferiscono con una Degna Matrona di grado più alto. Questa, infatti, siede su di un rialzo che la eleva, nascondendo con la sua figura gli strumenti propedeutici.

La fanciulla di sinistra reca una sorte di bacile velato, mentre quella di destra, con la corona in testa e un rotolo celato, probabile elenco delle persone già iniziate, riceve nel suo catino le erbe profumate e consacrate.

L’effetto magico della musica è rappresentato da un satiro che, malgrado richiami le forze animali pre-umane, suona la lira intonando, con il suo soave canto, un inno alla coppia sacra, Bacco e Arianna, introducendoci all’Epopteia, la contemplazione.

Il richiamo del panisco e Diana, cerbiatta allattata al seno della vergine fecondata, una sorta di Pan al femminile, riportandoci alla natura primigenia, ci preparano al fulcro della cerimonia.

Un capretto nero ci rivolge lo sguardo evocando il mito del Dio che, in quelle sembianze, fu sbranato dai Titani, Athena riuscì a salvare solo il cuore che Zeus ingoiò affinché, unendosi a Semele, potesse farlo rinascere, l’amante purtroppo morì anzitempo e il re dell’Olimpo cucì il feto vivo nella sua coscia allo scopo di salvarlo.

La scena viene bruscamente interrotta da un’anziana matrona che, rivivendo le sensazioni provate durante la propria iniziazione, con espressione atterrita, cerca rifugio al cospetto della flagellazione effettuata da un Erote alato.

Infine, un degno patrono, un sacerdote, il sileno coronato di edera, reca un vaso colmo di vino, provocando la curiosità di un satirello guardiano che cerca la sua immagine, mentre l’altro, quasi posto a sentinella, innalza una maschera rivelatrice delle umane miserie.

La contrapposizione tra vino e maschera sottolinea gli aspetti più profondi dell’essere umano, che, sollecitato dall’ebbrezza, mette a nudo i suoi lati più terrificanti, che si materializzano in una o più apparenze, così come possono essere molteplici le personalità che un individuo quotidianamente indossa, a volte per proteggersi, ma spesso per nascondersi. Lo stato di coscienza, alterato diventa rivelatore, e induce a porre a sé stessi le domande: chi sono? Cosa cerco? Cosa posso offrire?

Ognuno di noi ha risposte diverse, in un differente momento della propria esistenza, a seconda delle dissimili esperienze vissute, nella speranza di poter, infine, trovare la nostra reale guida, un Dionisio ebbro, abbandonato tra le braccia di una grande madre, il nostro Alter Ego che ci faccia sconfiggere le paure per avviarci verso una rinascita pura.

Il ciclo si chiude con la ragazza nuda e in lacrime in grembo a colei che l’ha condotta attraverso il rito, che le consegna il tirso, il bastone sacro, simbolo dell’avvenuta iniziazione.

Infine, con una nuova consapevolezza, la donna appena sbocciata, si pettina specchiandosi. La sua immagine trasmette la compostezza di chi, avendo attraversato il dolore non solo fisico, riesce a guardare la realtà con nuova coscienza.

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Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.