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La Porta del Cielo

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Agosto 2016
Cracovia. Siamo un po’ stanchi. I bimbi si lamentano e Ele è distrutta.
È primo pomeriggio. Ci fermiamo su una panchina all’ombra di fronte la chiesa dei Santi Pietro e Paolo.

C’è un matrimonio. Uno dei tanti visti in questi giorni.
Eleonora e Alessandro, i nomi degli sposi… e dei nostri figli.
Mentre loro riposano, entro nella piccola chiesa di Sant’Andrea, proprio lì di fianco.

Piccola, con una storia lunga che ha inizio nel 1079 sotto la reggenza del duca Ladislao I Herman. Probabilmente fu voluta da sua moglie Giuditta di Boemia e intitolata a Sant’Egidio. Fu solo nella prima metà del XIII secolo che il tempio fu dedicato al culto di Sant’Andrea. Ruolo principale nella sua costruzione lo ebbe il conte palatino Sieciech.
L’edificazione ebbe termine nel 1098. Lo stile romanico si percepisce soprattutto nelle due torri ottogonali. Era chiamata il “castello basso”, per la sua struttura tipicamente difensiva, per distinguerla da quello “alto” sulla collina di Wawel.

Nel 1241 pare sia stata l’unica chiesa a resistere all’invasione tartara.
Le piccole finestre e feritoie, la possenza delle blocchi di pietra portano l’immaginazione a tempi remoti, forse mai esistiti, mai vissuti realmente. Dal 1320 accoglie le sorelle clarisse. Il Seicento e il Settecento furono i secoli “dell’abbellimento” del passato. O almeno si provò a farlo coprendo le antiche strutture con pesanti stucchi e ori che di bello spesso hanno ben poco. Nel ‘700 questo abbellimento fu affidato all’architetto ticinese Baldassarre Fontana, e, qualche anno dopo, all’italiano Francesco Placidi fu affidata la realizzazione dell’altare.

A sinistra la piccola navata oppressa dal barocco. Il tempio del santo scozzese. Pochi metri quadrati protetti da spesse mura. Alle spalle il convento.

Uno degli operai che sta lavorando all’esterno entra. Inizia a guardare in basso nella stessa mia direzione. Il pavimento a scacchiera della piccola chiesa. Poi mi allontano per leggere il testo sulla storia dell’edificio affisso nella bacheca d’ingresso. Allora l’operaio inizia a leggere anche lui. Compiaciuto esce tornando al proprio lavoro.

Cracovia è piena del vociare, dei passi, degli schiamazzi dei turisti, ma qui svaniscono. E pure sono al di là del muro.

Il viaggio ha sempre un senso, suo proprio, intimo e spesso nascosto. Non sempre si rivela o meglio non sempre siamo capaci di coglierlo.

A destra il bianco e nero del pavimento prosegue in quella che sembra essere una piccola cappella, in linea con l’altare nero e oro alla parte opposta della scacchiera. Di colore chiaro con stucchi bianchi.

L’arco di accesso ha un cartiglio con la scritta “Vere non est hic aliud, nisi domus Dei, et porta caeli. A.D. MDCCII”.
È presa dalla Genesi. Il sogno di Giacobbe.
“Veramente qui non c’è altro che la casa di Dio e la porta del cielo”.

Era il XVIII secolo quando fu scritta. Quel dio nel testo ebraico è Elohim, il dio degli dei, il dio proveniente dall’Egitto da cui fu cacciato, il disco solare che con la propria luce irradia ogni cosa.

Che quel “dio” della frase non sia altro che la nostra Luce profonda? Allora quella “casa”, il Beis ebraico, è il luogo intimo, quel luogo solo nostro in cui far ritorno, il nostro spazio.

Non solo il tempio, luogo sacro e di chiunque cerchi riparo, ma la casa, dimora più profonda del nostro essere. La frase termina con “porta caeli”, che spesso è tradotto con “paradiso”, a me piace tradurlo letteralmente: “la porta del cielo”, l’accesso alla conoscenza superiore, alta e nascosta. La conoscenza del mistero.

Non so chi abbia fatto scrivere queste parole. Probabilmente l’intenzione del committente non era riflessiva, forse non voleva suscitare pensieri liberi. Era semplicemente una delle frasi rituali di fondazione di una chiesa o comunque di un luogo sacro. Forse.

Il pensiero si arrampica, sprofonda, scava, si inerpica cercando il “cielo”. Si intesse nella sua salita e discesa con le libere menti. Con i segni da loro lasciati. Si libera andando al di là di essi.

La chiesa ha luci soffuse. Dai finestroni alti e sottili la luce del pomeriggio entra ovattata. Non c’è nessuno all’interno. Resto lì ancora per un po’.

Un uomo anziano che non sento arrivare fissa come me la scritta. Mi guarda e dice in polacco qualcosa. Sorride e va via.

Il viaggio fortunatamente riserva anche Incontri.

“Tu uomo che sei qui fermo a leggere queste parole, tu che sei in questo luogo a meditare, tu uomo libero qui non c’è altro che il tuo essere, dimora della Luce e Porta per la suprema conoscenza” queste le parole che ora leggo.

Cracovia - chiesa di Sant'Andrea

 

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Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!