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Influencer di stagione

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I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.
Umberto Eco

Le opinioni espresse sui social sono in vendita. Tutti noi possiamo diventare influencer, costruirci un pubblico e poi mettere all’asta la nostra reputazione, per promuovere vestiti, ristoranti, cosmetici o magari un partito politico.

Se diventa impossibile distinguere contenuti autentici e spontanei da pubblicità e propaganda, il nostro spazio pubblico digitale è a rischio.

Quando pochi individui possono indirizzare milioni di follower laddove richiesto dal committente, anche la democrazia viene messa in discussione.

I social network, nati per la condivisione, sono in realtà aziende pubblicitarie che possono trasformarsi in piattaforme di manipolazione di massa, a beneficio di aziende e governi.

È un mondo in divenire, una modalità di collaborazione, che continua a modificarsi per forme e canali, ma strutturata per modalità d’espressione e strumenti di lavoro.

È possibile trarre delle linee guida ma, ancora più importante, è necessario capire in che direzione vanno questi cambiamenti. Perché, questa è una società in piena trasformazione, che ridefinisce le nostre interazioni, digitali e non solo. L’unico modo per sfruttarne le potenzialità e ridurre i rischi è che gli utenti siano consapevoli di come funziona il sistema degli influencer.

In effetti, sono pochi i dominatori privati dell’economia digitale che esercitano un enorme potere tramite tecniche di influenza artificiale su economia, società, cultura, politica, individuo.

Negli ultimi tempi, le scoperte scientifiche hanno aperto la strada ad un cambiamento epocale realizzato dalla tecnologia. La rivoluzione digitale modifica la concezione che l’essere umano ha di se stesso, culturalmente e socialmente, perché inesorabilmente sedotto dall’artificial influencer impercettibile, ubiquo e costantemente scatenato contro di noi per trasformarci in prodotti e flussi di ricavi o di consenso.

È l’arma finale del marketing, che è totalizzante per presenza e potere; le tecnologie consentono di leggere le emozioni degli individui e il marketing se ne nutre e le crea, producendo i bisogni dell’individuo in modo che egli, pensando che siano i propri, ne cerchi soddisfazione nei prodotti proposti.

Chi accede ai big data estratti dalla coscienza degli individui connessi ai media elettrici conosce meglio e prima di noi cosa vogliamo, desideriamo, compriamo, votiamo, pensiamo, apprezziamo e chi amiamo.

Il termine influencer è ormai entrato nel nostro vocabolario quotidiano. Blogger, brand ambassador, advocate, sono amati da community di follower sempre più numerose e ricercati dalle aziende per creare nuovi canali di coinvolgimento che superino il modello in crisi dell’advertising tradizionale.

Avete mai sentito parlare di influencer marketing? È la capacità di “influenzare”, di originare un passaparola strategico, che condiziona in maniera importante sulla visibilità di un marchio ed è un concetto intrinsecamente legato ai social media, tanto che si parla anche di “social influencer”.

Possiamo definirlo anche un insieme di attività che presumono il coinvolgimento di un testimonial, un blogger, un creator digitale o un social reviewer, che possano testare, validare e poi comunicare ai propri seguaci la bontà di un marchio, prodotto o servizio.

In altre parole, in cambio di un compenso monetario, prodotti omaggio o altre forme di retribuzione, offre visibilità sui social network all’azienda e ai suoi prodotti o servizi.

Lo scouting delle giuste risorse, il contatto e la selezione, il briefing e la revisione dell’output e, infine, il monitoraggio dei risultati ottenuti ne fanno una leva di awareness e conversioni dalle potenzialità notevoli.

In altre parole, dobbiamo accettare di vivere in un mondo in cui una bambina di sette anni può far cambiare le linee produttive di un colosso internazionale come Lego con una lettera e dove un video di protesta con la canzone composta da un musicista arrabbiato con United Airlines può far crollare del 10% il valore azionario del vettore statunitense che gli aveva danneggiato la chitarra durante un volo.

È la magia del potere editoriale diffuso: grazie alla tecnologia, e a un po’ di spirito d’iniziativa, tutti possiamo essere dei creatori di contenuti e conquistarci l’attenzione di un pubblico, decidendo le sorti di molti e non di pochi.

È il potere dello sconosciuto famoso, del nullafacente che fa tutto, del demone dell’inganno democratico, sotto la faccia buona e delicata, truccata e bella di un bello metaversico, si cela un ragno enorme.

Una creatura, spesso, viscida, collusa con un sistema creato ad arte per invalidare il pensiero logico e alternativo, appellandosi ad una sorta di buonsenso unilaterale e dittatoriale, che camuffato e imbellettato dalla cipria dei social televisivi, spesso difeso dalla cultura radical chic, investe sugli interessi banali dei comuni mortali, favorendo il proprio conto in banca, alludendo ad un modello esistenziale sanificato e santificato.

In esso tutti possono accedere, basta vendersi l’anima e piegare l’indice della propria mano, come se stesse firmando un assegno in bianco, per apporre il proprio assenso a quella magnifica messinscena che ci fa credere che siamo tutti dalla stessa parte, che io, piccolo borghese, posso essere amico di quel famoso attore o divanista di talk show anche se non l’ho mai visto in vita mia e mai lo vedrò.

La perfida illusione di appartenere tutti alla stessa “specie”, di stare tutti seduti allo stesso tavolo avendo tutti le stesse opportunità. Poveracci e pederasti della strategia orgogliosa dell’infinito circo discorrono senza avvertire l’uno l’alito dell’altro, convinti fermamente che la realtà è questa bugia gloriosa che ci fa accedere ad un paradiso di eletti e non di elettori.

Eppure, il pensiero è la nostra caratteristica più preziosa, quella che ci connota. Eppure, subissati da questi potenti influencer della nostra vita, social e no, e le “Giurie invisibili” che sanno sempre meglio di noi “come si fa” e quel che “va fatto”, è difficile mantenere il baricentro e pensare realmente in modo autonomo, originale e creativo, dando il meglio di noi.

Perciò ci accade di provare un senso di estraniamento e di frustrazione: perché il pensiero inibito inibisce l’azione, il pensiero timido ci rende timidi, il pensiero incompiuto ci rende incompiuti.

Scrive Schopenhauer:

Perdiamo tre quarti di noi stessi per diventare simili agli altri.

Eppure, avvalendoci dell’arma del dubbio, dell’arte di ascoltare e di porre domande, di interrogarci e di scolpirci come “una statua”, direbbe Plotino, giorno dopo giorno, ci abitueremo a pensare “out of the box” e risulteremo, anche per questo, più autorevoli per noi stessi e per gli altri. Influencer di noi stessi.

Forse, anche questa è una grande illusione, anche questa è un’opportunità che abbiamo perso, perdendoci dietro a like e cuoricini che smontano, per assurdo, il paradigma della nostra intelligenza, preferendo la finzione del successo a tutto, facendosi mungere per ottenere il massimo, sfruttando ogni piccolo nostro dolore e ogni nostra sacrosanta debolezza.

Il perché del successo di questa giovane leva di marketing non è difficile da immaginare: gli influencer sono ideali connettori tra le aziende e quei pubblici meno attenti alla comunicazione tradizionale che sono diventati difficili da intercettare e coinvolgere.

Questa loro caratteristica è emersa con forza proprio durante la crisi pandemica del 2020 quando, in un momento di grande bisogno di vicinanza, gli influencer hanno saputo costruire, meglio dei brand, un rapporto più intimo con le persone attraverso eventi in diretta, corsi di formazione, momenti di intrattenimento.

E allora, dobbiamo imparare a convivere con questi geni del mercato globale, consapevoli che non sono di passaggio, che hanno trasmesso un virus a tutti noi, compromettendo la capacità di distinguere il vero dal falso. Che poi, una di questa star venga trovata con le mani sul pandoro, ci può anche stare.

Hi Guys, welcome to the real world!

Una o due volte ho avuto delle “influencer” sedute accanto in un set televisivo. A una di loro ho chiesto quali contenuti o nozioni o modi del vivere lei influenzasse. Silenzio di tomba. In compenso scorrevano sullo schermo le immagini delle sue chiappe…
Giampiero Mughini

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.