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Il signor Z

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Napoli, Real Bosco di Capodimonte - Fagianeria


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14/04/2021

Raggiungere il Real Bosco di Capodimonte può sembrare una banalità, un’azione tanto scontata quanto la certezza che lì si trovi la Reggia borbonica con i suoi giardini, edifici e il suo bosco.

Arrivare ad una delle sue porte potrebbe apparire il gesto di una qualsiasi domenica mattina di primavera, con il sole che fa risplendere i prati verdi del belvedere. Potrebbe. Dopo un anno di crisi pandemica ritornare in questi luoghi per la somministrazione del vaccino anti Covid-19 a mio padre assume tutt’altro valore e significato.

Le ultime mura di Napoli, le Mura Finanziere, corrono lungo il complesso alla nostra destra fino a quella che era una delle dogane di fronte Porta Miano. Qui la Fagianeria, costruzione nata all’interno del complesso reale come ricovero e per la schiusa delle uova dei pavoni, nonché ovviamente, dei fagiani cinesi ed americani presenti nella riserva di caccia borbonica, è tra i luoghi deputati alla somministrazione del vaccino.

L’attesa non è stata breve e tanti attori della vita, accompagnatori come noi, si sono riversati in quell’emiciclo. Era una domenica mattina con tanti anziani over 70 in fila di fianco le transenne del varco.

C’erano ordine e compostezza. Un ordine e una compostezza derivanti sia dalla propria vita vissuta in cui le regole sociali non scritte hanno ancora un valore, sia per gli acciacchi di cui erano portatori, che scatenano quell’istinto di conservazione tale da far sprecare loro il minimo di energia. Un conservatorismo energetico in cui i movimenti del corpo erano impercettibili, le parole lente e scandite per evitare ripetizioni a chi aveva l’udito a riposo.

Noi, gli altri attori, figli e bastoni di quei pezzi di storia, ci ritrovammo in quello spazio a ridosso di una finestra abbandonata, dove solo un piccolo fiore in un vaso impolverato donava respiro alle grate in ferro scuro che l’asserragliavano, osservando la fragilità umana tra l’andirivieni delle auto, dei taxi, dei ciclisti e dei podisti.

Una fontana, costruita pochi anni fa, era già disseccata. Solo qualche piccione vi si poggiava per andare subito via. In questo fermento concentrato di vita sentimmo un vociare, il recriminare di un uomo anziano nei confronti delle guardie giurate.

La questione era la seguente. Si era registrato insieme alla moglie sul sito regionale per prenotare la propria dose di vaccino, l’SMS, però, che comunicava il giorno e il luogo in cui si sarebbero dovuti presentare per la vaccinazione era arrivato solo alla moglie. Per l’uomo era una cosa inconcepibile: perché la moglie sì e lui invece no? Così, accompagnando la propria consorte, insisteva con il volere la propria dose di vaccino. Ovviamente questo non era possibile.

La sua storia divenne, in quell’attesa, la storia del “cavalluccio rosso”. Quando è toccata al nostro gruppo ascoltarla, non immaginavamo partisse dai tempi della scuola dove, iniziando il suo cognome con la lettera Z, era sempre l’ultimo in ogni cosa, anche nelle interrogazioni in cui, però, ne riconosceva l’utilità: ascoltando tutti gli altri prima di lui imparava ciò che non aveva studiato. Questa volta era ultimo per il vaccino. Il cumulo di capelli bianchi, quasi luccicanti, che invadeva in modo ordinato la sua testa lo si vedeva posarsi in vari punti. Il signor Z sembrava conoscere tutti e tutti divenimmo parte della sua storia.

Il fiore di primula color fucsia era lì bello stampato sullo striscione della campagna vaccinale. Il primo fiore che annuncia la primavera. Quante “primule” avranno vissuto quelle donne e quegli uomini? Si leggevano tutte sui loro volti quando uscivano, anche sorreggendosi l’un l’altro, da quel varco. Tesi erano gli sguardi lì in fila, come se fosse stato l’ultimo saluto ai loro cari prima di una condanna a morte.

Il bombardamento mediatico, e non è una metafora, è e continua ad essere pressante e incosciente. Si ha ormai paura e timore per la propria di vita di tutto ciò riguardi il Covid-19. Morti per il virus. Morti per i vaccini. Un necrologio continuo insinuato perfidamente nelle menti. Ed è così che li vedemmo avviarsi verso la Fagianeria, lenti e titubanti. Quante “primule” quelle titubanze hanno sofferto? Abbiamo visto scomparire i nostri genitori tra l’ombra degli alberi.

Il signor Z era ancora lì ad imbrigliare i nuovi arrivati nella sua storia che diveniva sempre più una rete dalle fitte maglie, assumendo ognuna, via via che il racconto respirava di vita propria, un colore e una sfumatura sempre diversa o più intensa. Una storia corale di un uomo ultimo dell’elenco. Sua moglie era ormai dentro, inghiottita come gli altri dall’organizzazione messa in piedi dal governo.

La percezione che avevo era di osservare un pezzo di vita in time lapse. L’incessante andirivieni si immergeva nell’attesa dello sbarco dei propri cari. La sensazione era un po’ come quella che si prova nell’aspettare qualcuno in aeroporto: si controlla il tabellone degli arrivi, si conta il tempo dall’atterraggio, quando le porte poi iniziano ad aprirsi per espellere gli ospiti ormai non più desiderati, le teste si sporgono tra le altre per scorgere l’amico, il fratello o il proprio figlio.

Ed è stato così anche per noi all’esterno di Porta Miano. Dopo un paio d’ore iniziarono a girare i vari “stanno uscendo”, “ho visto mia madre” e così via in una catena sempre più articolata e dettagliata di notizie di “prima mano” da chi era più vicino alle transenne.

Quel nuovo fermento diede nuova spinta al signor Z, innescando ora il “mia moglie si è vaccinata e io no!” che corse tra i vari gruppi in maniera repentina, come la notizia di una guerra finita che rimbalzava su bocche ed orecchie. Anche il signor Z ora si trovava sulla soglia della Porta.

I primi volti fecero capolino e brevi scatti dei familiari accompagnarono i sorrisi per la gioia di essere sopravvissuti, e con orgoglio tutti mostravano la spilla “Mi sono vaccinato”, una nuova medaglia sui petti di chi continuava sempre più a combattere per la propria vita. La moglie del signor Z eccola uscire. Tutti la riconobbero. In qualche modo era diventata anche lei parte delle nostre famiglie.

La domenica volse al pranzo. I più andarono via. Le vite ripresero i percorsi in cui erano immerse poche ore prima. Mio padre fu tra gli ultimi a lasciare la Fagianeria.

Sulla strada del ritorno l’occhio cadde sulla deviazione poco prima di Porta Piccola.
Il nome non ne fa riconoscere la storia: via Nuova San Rocco, una nuova strada dedicata al Santo Pellegrino di Montpellier. Questa era la via Santa Maria a Cubito, successivamente frazionata in tanti nomi differenti, lunga 30 chilometri, che congiunge ancora Capodimonte a Falciano del Massico. Progettata e iniziata dai Borbone, impiegò 120 anni per vedersi completata sotto il nuovo regno sabaudo, ma conserva, nel suo nome, il ricordo di un avvenimento che ha per protagonista Carlo d’Angiò e la santificazione di suo zio Luigi IX di Francia, ma questa è un’altra storia, è un altro cammino.

Le vicende si rincorsero incrociandosi in un tempo e in luogo apparsi nelle nostre vite al principio della primavera.

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Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!