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L’odio del corretto

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Corretto


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Attraverso una speciale e soggettiva lente di ingrandimento, facendo leva sulle più arcaiche e grossolane fobie, credenze ed ideologie, siamo invasi da facinorosi della parola – e non solo – che con un insormontabile pregiudizio, con una indiscutibile sicumera, con una tenace ambiguità ci devasta l’esistenza e, nello specifico, ogni dibattito quotidiano, ogni gesto che riteniamo normale, ogni frase detta o scritta senza alcuna volontà di offendere, appellandosi a quello che nello slang, nel lessico e nel diario comune è chiamato “politicamente corretto”.

È una sorta di verità a priori che muta come cambia l’umore della maggioranza, che sovrasta o schiaccia se lo incita anche solo la minoranza, che nel frattempo è diventata maggioranza, della gente.

È la porta che si apre alla certezza, all’indubbio, una convinzione che parte dal basso, sale e gradualmente rapisce il buonsenso e fa crollare ogni sicurezza. Il passato viene messo all’indice, deve abdicare sotto la furia incandescente del vuoto che avanza, a furore di popolo il tribunale inquisisce, accusa e delegittima: si è messi al bando o al rogo, si chiede l’impiccagione, si affila la ghigliottina del boia.

Deve essere tutto ridefinito, ogni cosa deve subire un nuovo esame per essere ammessa all’accettazione del nuovo modello di pensiero. L’idea va corretta non perché non più valida, va disintegrata perché ritenuta mortale e congestionata da un veleno che addormenta lo spirito dell’uomo.

Brutalmente si denomina ogni aspetto della vita e della realtà: una strada, la storia, il pensiero filosofico, l’economia e la civiltà. Su tutto si passa e su tutto bisogna passare, effettuando una correzione che supera, a lor parere, il vergognoso pregiudizio e l’infame convinzione.

Si lanciano strali contro il moralismo che si è arroccato nel suo tempio e si è auto-legittimato un potere che non merita e che non dovrebbe essergli riconosciuto: eppure, con un nuovo moralismo riveduto e corretto per l’occasione, vanno a smantellare quel bigottismo che vorrebbero combattere. Perfezionano un’etica che cavalca la dietrologia e un penoso cliché. Si aggrappano ad una morale imperfetta figlia di copiosi studi sui social-sussidiario, alternando ferocia a pietà, comprensione ad aggressività.

Ti augurano lunga vita, ma, se non sei dei loro, sono pronti a sferrarti un fendente senza perdono. In cambio del tuo torpore intellettuale ti donano la tessera del loro movimento anarchico – partitico – rivoluzionario dell’estremismo dell’ideologia conservatrice del nulla.

Insomma, avevamo bisogno di tutto tranne del “politically correct”, come dicono quelli bravi che hanno la madrelingua adottata sulle dispense della “De Agostini”.

La gente esige la libertà di parola per compensare la libertà di pensiero, che invece rifugge.
Søren Kierkegaard 

Guardiamo al loro linguaggio: si affermano laici ma sono ultraortodossi, sfidano le icone ma hanno il rosario di spine nel portafoglio, non accettano le rivendicazioni del passato ma sono più nostalgici dei partigiani.

Hanno un lessico di poche parole, arse al calore di un asfalto fatto di attese e di promesse non mantenute. Involuto, incapace di resistere ai sentimenti forti ma, al contempo, di lasciarsi andare a quelli che acclamano sintesi e modellamento dell’anima.

Hanno case devastate da una insonnia claustrofobica, con alle pareti i quadri dei padri della loro patria. Qualche sigillo naïf del loro essere lo si trova quando mettono le sneaker ai piedi sbucciate ma bancomatizzate oltremodo. Magari sul corpo si disegnano meravigliose perle di aforismi di scrittori di cui non hanno letto mai nemmeno una parola; comprano libri sedotti dalle recensioni dell’inserto del weekend, sfilano bruciando grassi, ma sono attenti a non fraintenderlo con le persone obese.

Godono della fiducia del prossimo, vogliono lo sbarco dei migranti, attaccano la chiesa, non credono al politico forte di turno, non votano, si barricano fuori alle università, linciano il perbenismo, vomitano e pisciano sui muri dei musei, credono al nulla dogmatico, non accettano la definizione dei colori, tutto è offensivo, urticante, pericoloso simbolismo dei poteri occulti e di un negazionismo proibitivo.

Figli di tutte le generazioni andate a male, hanno rintracciato amebiche forme di razzismo decontestualizzando opache frasi da discussioni molto più ampie che avrebbero meritato maggiore studio ed analisi. È un dispotismo virulento che forgia le menti creando veramente un pensiero unico, fisso e fissato verso una deriva conformistica.

Sono eccessi di virtù poco educate all’ascolto, cimentate in proiezioni futuristiche che abbondano di nostalgia e di passato che vorrebbero abbandonare, rimuovere, ma che, invece, continuano ad onorare, contraddittoriamente, riportando alla memoria pezzi di storia obliata e tarlata.

Oppressi più che oppressori mi paiono, soccombenti alla cultura nazional-popolare, targata Twitter – Facebook. Nuovi Torquemada che sarebbero pronti a tutto pur di inquisire cruentemente e bavosamente le verità e le ragioni altrui.

È forzatura populista, eversione compulsiva, esasperazione sovranista: un regno insolito e variegato di giornalisti e giornalai, magistrati, professori, influencer, artisti e mediocri vandali che dettano i diritti e i doveri, il mainstream convenzionale adeguato al nuovo potere crescente. Un’orribile ancor più deviazione del suprematismo occidentale dove la libertà di parola vale solo per pochi e non certo per gli oppositori.

Questi corrompono con le loro convinzioni morali anche l’economia, attribuendole un senso esistenzialista, reattivi nell’umiliare e deridere le basi morali e a portare un’infinità di tesi politicamente corrette a supporto di un’economia virtuosamente autonoma, di fatto nichilista, nei suoi meriti comprovati esclusivamente sul supposto funzionamento di leggi economiche applicate secondo coscienza.

Una droga che pende spesso dalle narici sinistroidi: deforme lungimiranza di un materialismo miserabile che ignora la miseria dell’uomo, della sua filosofia e della sua politica. Il pensiero del politicamente corretto è insano e un vulnus da circolo chiuso.
Si impone un pensiero e una certezza, celebrando l’assurdo furore ed impedendo l’opinione del pensiero libero di contraddire.

La forza di questa invincibile armata sta nell’armatura che indossa: domina perché ha ovunque uomini fidati schiavi del compromesso, sintetizzati e tascabilmente oppressi da un’ancestrale incapacità di pensare. Liberamente.

A cercare dei precedenti fra Ottocento e Novecento, si potrebbe comparare il movimento del “politicamente corretto” al quaccherismo, al sabbatarianismo, l’autorevole movimento che comandava ai cristiani il riposo assoluto la domenica, o al movimento proibizionista.

Ecco che sfidare il politicamente corretto diviene un dovere di tutti noi che vogliamo sostenere la soggettività riflessiva ed autonoma e che vogliamo provocare, affidando alla verità una caratteristica necessaria e sovversiva: la libertà.

Non è definibile una società livellata su processi decisi a tavolino, razionalizzati dagli utili e dal disinteresse apocalittico. Questa società ha lasciato alle spalle il bene, ma non sa distinguerlo dal male. La preoccupazione dovrebbe essere quella di generare non una, ma molteplici autorità morali, imponendo, giocoforza, una rivoluzione spettrale, storpia, brulicante di mediocri clown che hanno una buona su ogni tema, dall’ambiente al progresso, dal sociale alla scienza. Cospargendo di menzogne i copia incolla dei loro scritti e dei loro inoltra-format pensiero.

Temi come la migrazione, il lavoro, il razzismo, il sesso sono cavalli di Troia: urgono per rapire l’intelletto e cospargere cecità. Leggete bene chi li accudisce nei loro libelli da copertina rigida al prezzo intero, sorvegliate chi li accompagna, non perdete di vista chi li finanzia e chi li idolatra. Vi accorgerete di avere a che a fare con fanatici che hanno la pretesa di uniformare il mondo ad un’oscura realtà facinorosa e maleodorante. Dove ti danno l’illusione che non vinca il più forte e dove ti fanno credere che il debole abbia alternative a cui appellarsi per cambiare il mondo.

Nulla di tutto questo, perdete la fiducia. Il politicamente corretto ha il DNA manomesso, ambisce ad annullare la libertà. E questa vive anche di errori e di eccessi come ci fece capire il filosofo americano Allan Bloom quando citò come la libertà di pensiero fosse messo sotto scacco da una pseudo-filosofia, o un’ideologia come il relativismo che è stata una caratteristica del moderno pensiero liberale che ha sovvertito l’insegnamento platonico – socratico.

Tra scetticismo e decostruzionismo si è promossa nel tempo una cultura irrazionale con forti imperativi morali. Ma contro l’intollerante dogmatismo occorre avere la mente aperta e non accademica, non forgiata su standardizzate e strette volgarizzazioni del pensiero radicale dove sprofondano le vere diversità e viene offesa ogni dignità e coscienza.

Perché l’estremismo richiama l’estremismo e sarebbe imperdonabile non capirlo ancora una volta.

L’uomo libero è colui che non ha paura di andare fino alla fine del suo pensiero.
Léon Blum 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.