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Le mani dei Savoia sulla terra

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La vita dei contadini prima e dopo l’Unità d’Italia, quello che non troverete mai sui libri di storia

Oggi vogliamo parlarvi di agricoltura e del tenore di vita dei braccianti pre e post unità d’Italia. Naturalmente, tutto ciò che leggerete è alieno ai testi scolastici e, forse, anche ai docenti di storia.

Vi siete mai chiesti come fosse cambiata la condizione dei contadini del Mezzogiorno dopo il 1861? No? Ve lo diciamo noi…

Precisiamo, a scanso di equivoci, due cose: nel 1800 in tutta Europa il popolo affogava nella miseria, basta leggere Charles Dickens o Victor Hugo per rendersene conto.

Inoltre, i braccianti, durante il Regno Borbonico, non nuotavano nell’oro, ma conducevano una dignitosa sopravvivenza, grazie, soprattutto, a quattro pilastri che supportavano l’agricoltura e che rappresentavano una sorta di stato sociale rudimentale.

Innanzitutto vi era l’Annona, un Istituto che, negli anni di carestia, distribuiva, ogni settimana e gratuitamente, un sacchetto di grano per ogni componente della famiglia. Dopo il 1861 questa concessione sparì.

Esisteva, inoltre, l’istituto dei Monti Frumentari, che dava semi ai contadini, non solo nei periodi di carestia. Tale prestito oggi verrebbe considerato a interesse zero, in quanto veniva consegnata un’anfora piena ai braccianti, i quali, alla fine del raccolto, la restituivano piena di semi con una piccola aggiunta. Alcuni di questi istituti concedevano anche piccole somme di denaro per acquisto di mezzi agricoli.

Una curiosità: in tutta Italia i Monti Frumentari erano 1.700, di cui 1.400 erano stanziati nel Regno delle due Sicilie, 200 nello Stato Pontificio, mentre, nel Regno di Savoia, ve ne era solo uno. Tutti i Monti Frumentari chiusero entro il 1865, quattro dopo l’annessione del Mezzogiorno al Regno Sabaudo.

Sotto il Regno di Ferdinando fu abolita la tassa sul macinato, che esisteva in tutta Europa, salvo essere reintrodotta nuovamente dallo Stato italo-piemontese, alla continua ricerca di soldi, nel 1869.

Fin dal Medioevo vi erano dei terreni che erano considerati res nullius, cioè non avevano proprietari e venivano messi a disposizione dei braccianti nullatenenti. Carlo III, per difendere gli operai agricoli dai latifondisti, che miravano ad accaparrarsi questi appezzamenti, li acquisì nella proprietà reale destinandoli ad uso esclusivo dei braccianti nullatenenti.

Nel 1862, un anno dopo l’Unità, il Governo Sabaudo vendette i terreni demaniali ai privati, ovviamente ai latifondisti e ai nuovi borghesi, privando i contadini del loro unico mezzo di sostentamento.

Quindi, con l’Unità d’Italia, la vita degli agricoltori del Mezzogiorno peggiorò in modo drastico e l’economia agricola parve essere destinata ad una morte certa.

Non fu, invece, così, grazie all’intervento di uno degli Istituti Creditizi più solidi d’Europa, il Banco del Regno delle Due Sicilie, che, dopo il 1861, cambiò nome in Banco di Napoli.

L’Istituto decise di disinvestire sul settore industriale, in quanto la nuova politica sabauda avrebbe reso improduttivi gli opifici meridionali, e di puntare tutto sull’agricoltura.

Nelle campagne arrivarono nuovi capitali, che portarono beneficio alla produzione agricola, con un conseguente aumento delle esportazioni, soprattutto verso la Francia e l’Inghilterra.

Questo “benessere” durerà fino al 1866, quando il governo sabaudo emanò la legge sui dazi doganali che affossò definitivamente l’agricoltura del Mezzogiorno, dando vita al fenomeno dell’emigrazione.

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Autore Mimmo Bafurno

Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. In uscita il suo volume "Image EDITING", attualmente collabora con terronitv.