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La paura

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Il mondo si divide in buoni e cattivi. I buoni dormono meglio ma i cattivi da svegli si divertono di più.
Woody Allen 

È dietro l’angolo, nei nostri occhi, nel fondo dell’anima, tra i rumori e i silenzi, alla fine di un sentiero, all’inizio di una scelta o di un percorso.

La paura della crisi economica e del terrorismo, delle malattie, della criminalità, si annida ovunque e si presenta con beffarda ansia e con un vuoto interiore. Tutte queste cose hanno un elemento in comune: la sintomatologia.

Spesso è smisurata e contagiosa, in grado di condizionare le nostre esistenze: spinge a minimizzare i rischi, a limitarsi, a confondersi, a non fare, a non dire, a non fidarsi e ad accettare sempre più manipolate forme di controllo pur di sentirsi “al sicuro”.

Eppure, le nostre vite, nella loro quotidianità, sono spesso altamente messe in sicurezza tanto che possiamo permetterci di inquadrare l’attenzione su pericoli soltanto potenziali, che non si realizzeranno mai.

A questo punto ci viene da pensare che essa sia un prodotto del benessere e abbia un potere tale che possa addirittura “affascinare”. In effetti, il suo peso dipende soprattutto dal ruolo che le permettiamo di avere ed indica la possibilità di un futuro più vivibile attraverso il semplice recupero di valori come la speranza, l’ottimismo efficiente e la fiducia nelle capacità dell’uomo di migliorare se stesso e la società.

È un congegno essenziale per allontanare i pericoli e scappare temporaneamente alla morte, ma, protratta all’illimitato e nell’imprecisato diventa un’intimidazione per l’equilibrio psichico individuale e collettivo.

Allora, bisognerebbe vivisezionarla, costruendone di particolari, direi ad hoc; concretando l’angoscia, transitando da un sentimento profondo ed anarchico ad un nemico abile e dotato di un volto e di un nome.

Ricordiamoci che i titolari del potere della nostra civiltà europea stilarono così l’elenco dei mali che Satana era capace di provocare e la lista dei suoi agenti: musulmani, ebrei, eretici, donne, e soprattutto streghe, maghi, uomini neri.

Fu tranquillizzante pensare la peste come un flagello mandato da Dio per punire l’umanità peccatrice. Fu la soluzione al trauma collettivo.

Insomma, la paura come antidoto, come effetto collante, come vibrazione della catapulta, come apparizione voluta di un fantasma che serve ad infestare i corridoi inquietanti del nostro pensiero.

Alla fine, avviene come per le leggi del marketing che impongono ai commercianti di divulgare, senza sosta, che il loro scopo è il soddisfacimento dei bisogni dei consumatori, pur essendo completamente coscienti che, al contrario, è l’insoddisfazione il vero motore dell’economia consumistica; così gli imprenditori politici dei nostri giorni affermano sì che il loro obiettivo è assicurare la sicurezza della popolazione, ma, al contempo, fanno tutto il possibile, e anche di più, per istigare il senso di pericolo prossimo.

Il nucleo dell’attuale strategia di dominio, dunque, consiste nell’accendere e tenere viva la miccia dell’insicurezza. La chiave di lettura così può essere solo una: la paura è il più vecchio strumento del potere.

Quando una crisi si paventa come un carnevale infiammato o ci si trova in un momento di complessità sociale e i pilastri di una nazione o di un popolo cominciano a vacillare, diventa spesso una risorsa da alimentare, per tenere viva e unita la collettività stessa. O per selezionarla, per filtrare, non solo decifrare, per governare e scegliere chi e cosa serve.

Un esempio banale (mica tanto): tra l’Ottocento e il Novecento, quando l’identità delle nazioni europee subentrò in una seria crisi e con il 1914 in guerra, l’antisemitismo diventò uno strumento di propaganda autorevolissimo, fortificato dalle teorie razziste.

Ebbero origine così tumultuosi falsi storici organizzati a tavolino, come i Protocolli dei Saggi di Sion, scritti da un gruppo di antisemiti russi legati alla polizia segreta dello zar e pubblicati, nel 1903, come un testo generato in ambito ebraico, nel quale prefiguravano la conquista del mondo da parte di una “cospirazione giudaica”.

Del resto, il fenomeno della paura è intrinseco all’uomo da millenni come si deduce dalle antiche fiabe di magia, che raccontano le sequenze di riti iniziatici in cui gli adolescenti dovevano superare certe prove, un processo simile ad una morte temporanea, che dovevano infondere terrore che l’iniziando doveva cercare di dominare.

La morte costituisce una delle principali fonti della paura. Sappiamo che siamo tutti di passaggio su questa terra, tuttavia, non sappiamo quando e come verrà, né che cosa ci aspetta nell’aldilà. La sua fonte principale è allora piuttosto un’incertezza, il non sapere e/o non pater capire che cosa accadrà precisamente.

Per questo esiste un’altra matrice fondamentale concreta della paura: l’Altro. Sappiamo che esiste, ma la nostra percezione dell’Altro è sempre approssimativa. Se ripetuta e presente a intermittenza, è all’origine dello stato esistenziale dell’angoscia. Si provano questi sentimenti in situazioni in cui è difficile capire e trovare delle soluzioni.

Oggi più che mai quest’affermazione sembra vera in senso assoluto: la paura, infatti, è l’emozione predominante del nostro tempo ma ancor più in maniera sottile. Molto simile all’ansia, ad un’incessante e pervasiva sensazione di allarme, è multiforme, esasperante nella sua vaghezza, difficile da agguantare e, perciò, difficile da affrontare, che può incidere anche nei momenti più insignificanti della vita quotidiana e scalfisce quasi ogni strato della convivenza.

Ci rende umiliati e offesi allo stesso tempo, storditi e ammassati, instaurando un clima di silenzio rumoroso. Succede, infatti, che i legami umani si sbriciolino, che lo spirito di solidarietà affievolisca, che la separazione e l’isolamento prendano il posto del dialogo e della cooperazione.

Dalla famiglia al vicinato, dal luogo di lavoro alla città, non c’è ambiente che rimanga accogliente. Si instaura un’atmosfera cupa, in cui ciascuno alimenta sospetti su chi gli sta accanto ed è a sua volta vittima dei sospetti altrui. In questo clima di furente diffidenza basta poco perché l’altro sia percepito come un potenziale nemico: sarà ritenuto colpevole fino a prova contraria.

Quello che resta della paura è la sfumatura emotiva che si apre quando l’uomo, perdendo il nesso fra il mondo e le cose, si trova ineluttabilmente affidato ad un mondo irreale e non può venire a capo del suo rapporto con una «cosa» estranea, che diventa duramente minacciosa. Una volta smarrito il suo legame con il cosmo, la «cosa» è in se stessa ancor più terrorizzante.

La paura, quindi, è la dimensione in cui cade l’umanità quando si trova consegnata, come avviene nella modernità, ad un qualcosa senza scampo. L’essere cosiddetto spaventoso, la «cosa» che in certi film “splatter” aggredisce e minaccia gli uomini, non è in questo senso che una incarnazione di questo IT che sopravvive in noi dalla nascita.

Qualcuno lo sa e lo usa per governare meglio, per il suo meglio.

Non c’è sentimento che cresca più rigoglioso della paura, e saremmo davvero ben povera cosa senza le paure che abbiamo patito. È una tendenza caratteristica degli esseri umani esporsi continuamente alla paura. Le nostre paure non vanno mai perdute, anche se i loro nascondigli sono misteriosi. Forse, di tutte le cose del mondo, nulla si evolve e si trasforma meno della paura.
Elias Canetti 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.