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La caverna della Magna Mater

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La caverna della Magna Mater a Capri (NA) - foto Rosy Guastafierro


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In Campania il culto di Cibele viene riproposto in vari siti comprovati da reperti archeologici che ne certificano la presenza in maniera concreta.

Questa antica divinità anatolica della Terra, della natura, degli animali e dei luoghi selvatici, che racchiude in sé sia la forza creatrice che quella distruttrice, veniva venerata come Grande Madre Idea, dal Monte Ida, nei pressi di Troia.

Anche Virgilio, nell’Eneide, tramite Enea, la prega:

Dea generosa dell’Ida, Tu, Madre di Dei,
Che porta la delizia a Dindyma e nelle città turrite
e nei leoni aggiogati in coppie, ora guidami negli anni a venire!
Dea, rendi questo segno benigno!
Cammina accanto a me con il Tuo passo grazioso!

L’Isola Azzurra non rimane estranea a questo culto, anzi, sul versante sud occidentale di Capri troviamo un antro affascinante e misterioso la cui fama è legata a vari eventi accaduti nel corso degli anni, ma il cui nome è dedicato alla Magna Mater: la Grotta di Matermania.

È una caverna naturale tufacea dove risuonano le gocce d’acqua che filtrano dal soffitto, illuminata dal sole, totalmente immersa nel verde della macchia mediterranea dove, di quando in quando, fanno capolino delle orchidee selvatiche.

Il percorso per accedervi è abbastanza lungo e non del tutto agevole, in compenso, la natura è stata particolarmente benevola, regalando scorci di mare e costoni di roccia, che disegnano archi che lasciano senza fiato.

La caverna della Magna Mater a Capri (NA) - foto Rosy Guastafierro

Questa spelonca si estende per circa trenta metri, con una larghezza di venti ed un’altezza di quasi dieci. Nel suo interno si notano due rialzi a mo’ di seggiole, dei gradini salgono verso una nicchia, quasi sicuramente un altare, ma si nota anche la mano dell’uomo per dei resti di mura romane, sia all’ingresso che all’interno, e tracce di decorazioni pittoriche, oltre a mosaici di pasta vitrea e marmi. Dai Romani era considerata un ninfeo con tanto di letto tricliniare con struttura di legno rivestita in marmo al lato della parte absidale.

Nella parte centrale si notano ancora i resti di un incavo per raccogliere l’acqua trapelante dalla roccia; non si esclude potesse esserci una piccola sorgente, usata per i riti.

In questa grotta fu ritrovata una statuetta in terracotta rappresentante la Dea, sicuramente, però, negli anni, è stata utilizzata per officiare vari culti, tanto è vero che il suo attuale toponimo si pensa derivi anche da Mitromania.

Nel suo interno si dice sia stato ritrovato un bassorilievo rappresentante il mistico sacrificio del toro sacro da parte di Mitra; entrambi i reperti sono conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

La poliedricità della caverna non si ferma a questo.

Tiberio, Imperatore romano, continuò sull’isola l’opera di costruzione di ville sontuose iniziata da Augusto; lo stesso Svetonio, storico e biografo romano dell’età imperiale, gli attribuisce, inoltre, il macabro interesse per le spelonche, per i giovani e i giochi a sfondo orgiastico.

A riprova di ciò nel 1740 fu ritrovata un’elegante lastra di marmo scalpellata sui lati con un’iscrizione in greco che chiaramente descrive la morte di un adolescente di nome Ipato:

O regione dello Stige, spiriti propizi che qui avete la vostra stanza, accogliete me pure, infelice, che morte repentina colse nel fiore degli anni e dell’innocenza. Me pure aspettavano i favori di Cesare; ma ora per me, per i miei genitori, non c’è più speranza. Non avevo ancor raggiunta l’età né di venti, né di quindici anni: non godrò più la splendida vista del sole. Ipato fu il mio nome. Fratello, genitori, ve ne scongiuro, non mi piangete a lungo.

È tuttora visibile murata nella sala d’ingresso della biblioteca dei Girolamini portando con sé l’enigma se vittima di sacrifici umani al Dio persiano o semplicemente di capricci di un annoiato e perverso imperatore, che non esita ad immolare il suo favorito.

Questa vicenda, agli inizi del ‘900, ispirò il conte Fersen, che, nella notte del 25 agosto, indusse il suo amante, Nino Cesarini, nella stessa caverna, a vestire i panni di Hỳpatos; scoperto fu costretto ad abbandonare l’isola.

Qualche anno più tardi, prima dello scoppio della I guerra mondiale, Gustavo Giulio Ottone Dobrich, monaco eremita conosciuto come Miradois, decise di adibirla come propria casa, avendo l’ardire di farne dono al Comune, quando decise di lasciare Capri, con tanto di atto scritto contenente l’inventario degli oggetti.

La grotta di Matermania, per incanto, si trasforma e diventa scenario di giovani innamorati capresi che, dopo aver officiato il matrimonio convenzionale, vi si recano, rinnovando la promessa, affinché la Grande Madre si mostri benevola e renda fertile e longeva la sposa.

Foto Rosy Guastafierro

La caverna della Magna Mater a Capri (NA) - foto Rosy Guastafierro

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Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.