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Presidente Sergio Mattarella


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Nelle democrazie, tutte le istituzioni, senza eccezioni, possono affermarsi e prosperare solo se sorrette dal consenso dei cittadini.
Sergio Mattarella 

A inizio 2022 si voterà per eleggere il nuovo capo dello Stato. Il mandato di Sergio Mattarella come Presidente della nostra Repubblica è ormai giunto al termine e già da diversi mesi sono iniziati a circolare nomi di suoi possibili successori.

Quella del capo dello Stato è da sempre una figura fondamentale nell’ordinamento italiano. È vista come un architrave indispensabile per il funzionamento delle istituzioni, ma anche come la rappresentazione più alta e, quindi, come un punto di rifermento fondamentale in un momento di grave crisi del sistema partitico.

Non migliora, certo, il quadro sociale che stiamo vivendo, soggetto alla pandemia in corso. Possiamo affermare che potrebbe essere la partita più importante del nuovo anno, ovvero un passaggio politico delicato e rilevante che, giocoforza, avrà rilevanza anche nei prossimi anni.

A partire da metà gennaio il Parlamento potrà essere convocato in seduta comune per l’elezione del tredicesimo presidente della Repubblica. È già iniziato il totonomi, candidature più o meno credibili, spesso utilizzate solo per testare le reazioni e osservare cosa sprigiona il sasso gettato nell’acqua. Ma la tattica fa parte del gioco.

Soltanto in prossimità del voto il quadro si chiarirà e bisogna considerare una variabile: se la pandemia – anche in Italia – non fosse più sotto controllo, l’emergenza potrebbe favorire soluzioni impensabili fino ad ora.

Nulla è scontato, nulla può essere certo. Non entreremo nel gioco delle preferenze, ci teniamo per onestà intellettuale e rispetto verso i nostri lettori, a debita distanza.

Proveremo a raccontare la figura di questo soggetto che, spesso, viene letto in chiave solo di rappresentanza ma che, invece, il più delle volte, è decisivo nelle scelte di gestione amministrativa e non solo del nostro Paese.

Il mandato di Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella scade il 3 febbraio del 2022. L’elezione del Presidente della Repubblica avviene a scrutinio segreto e senza candidature ufficiali.

Nei primi 3 scrutini si ha bisogno di una maggioranza qualificata, 2/3 dei componenti, dal 4 scrutinio in poi c’è bisogno di una maggioranza assoluta, 50% + 1 dei componenti. Art. 83 della Costituzione Italiana.

La persona che ha ottenuto la maggioranza viene eletta Capo dello Stato, poi c’è il giuramento e infine c’è l’entrata in carica vera e propria del nuovo Presidente della Repubblica. I sette anni di incarico previsti dalla Costituzione scattano dal giorno del giuramento davanti al Parlamento riunito in seduta comune. Ricordiamo che per eleggere il Presidente della Repubblica si vota a scrutinio segreto.

Nelle prime tre votazioni serve il quorum qualificato dei due terzi del Parlamento in seduta comune: cioè 703 elettori su 1008. Dal quarto scrutinio è prevista la soglia della maggioranza assoluta: 503 elettori su 1008. I Presidenti Camera e Senato non partecipano al voto.

Il Parlamento, fino ad oggi, ha eletto in seduta comune, per l’appunto, 13 Presidenti, tenendo conto anche del secondo mandato di Giorgio Napolitano.

Sono solo tre i Presidenti che sono stati nominati già al primo turno: De Nicola nel 1948, Francesco Cossiga nel 1985 e Carlo Azeglio Ciampi nel 1999.

Ben quattro quelli che sono saliti al Colle alla quarta votazione, ovvero quando il quorum scende dai due terzi alla maggioranza assoluta: Luigi Einaudi nel 1948, Giovanni Gronchi nel 1955, Giorgio Napolitano nel 2006 e Sergio Mattarella nel 2015.

Ricordiamo che la nostra Carta costituzionale non presume divieti di rielezione al Colle dopo la fine del mandato. Come scritto sopra, però l’unico caso finora è stato quello di Giorgio Napolitano che, concluso il settennato nel 2013, fu rinominato e restò in carica fino al 2015.

La Costituzione non esclude neanche che il Presidente della Repubblica in carica si dimetta dal suo incarico. Già nel 1947, il Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola rassegnò le dimissioni per motivi di salute: in quei giorni, però, l’Assemblea Costituente stava terminando i lavori e la Costituzione non era ancora entrata in vigore, quindi i padri costituenti lo persuasero a rimanere, e il giorno dopo le dimissioni venne ex novo rieletto.

De Nicola rimase in carica un altro anno, divenendo Presidente a tutti gli effetti con l’entrata in vigore della Costituzione il 1° gennaio 1948 secondo la prima disposizione transitoria, ma dopo le elezioni del 18 aprile e l’insediamento del primo Parlamento repubblicano passò la mano e venne così eletto Luigi Einaudi.

Altre dimissioni ma di natura più traumatica furono quelle di Antonio Segni. I rumors a riguardo sono di natura “oscura”: nel 1964, in carica da due anni circa, venne colpito da trombosi durante un incontro con Giuseppe Saragat e Aldo Moro. Sembrerebbe che i tre stessero parlando del famoso “Piano Solo” un progetto di golpe militare di cui il Presidente sarebbe stato a conoscenza: Saragat e Moro avrebbero pressato per le dimissioni di Segni. Dopo aver accertato l’impedimento, Segni decise di dimettersi, quanto comportò poi l’elezione di Saragat.

E ancora: Giovanni Leone: a sei mesi dalla scadenza naturale del suo mandato, a giugno del 1978, il Presidente decise di dare le dimissioni a seguito dello scandalo Lockheed – tangenti per l’acquisto di velivoli della Difesa – e di una violenta campagna di stampa con accuse poi rivelatesi immotivate. Amintore Fanfani diventò Presidente supplente per quasi un mese, fino all’elezione di Sandro Pertini.

In ultimo ci sono state le dimissioni di Francesco Cossiga, che le diede con un mese di anticipo rispetto alla scadenza naturale, dopo un annuncio televisivo il 25 aprile ove polemizzò con quasi tutti gli schieramenti politici dopo che il suo settennato si era trasformato in un susseguirsi di esternazioni e dopo che alcuni partiti avevano chiesto che fosse messo in stato di accusa.

All’epoca le funzioni di Presidente vennero svolte dal Presidente del Senato Giovanni Spadolini per oltre un mese, fino all’elezione di Oscar Luigi Scalfaro, mese durante il quale avvenne la triste e orrenda strage di Capaci, che diede un impulso decisivo nella nomina del nuovo Capo dello Stato, visto il vuoto di potere che si era creato.

Sono molte le competenze che la Costituzione italiana conferisce al suo ruolo. Un compito delicato a cui, specie negli ultimi anni, cittadini e addetti ai lavori hanno guardato con sempre maggiore attenzione e, dobbiamo dirlo, con ossequio e speranza.

Tra le sue prerogative maggiori vi è indubbiamente quella di nominare il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di quest’ultimo, i Ministri, articolo 92 Costituzione. Inoltre, ha il potere di promulgare le leggi. Può sciogliere le camere e indire nuove elezioni, articoli 87 e 88. Presiede, infine, due organi rilevanti come il Consiglio Superiore della Magistratura, CSM, e il Consiglio Supremo di Difesa.

Cosa resta dei sette anni di Mattarella? A mio avviso molto. È stato un Presidente che non ha cercato l’acclamazione ma l’ha ricevuta spontaneamente, un Presidente che non si auto-definito di tutti ma che tutti abbiamo vissuto come un pater familias che vigilava e osservava senza scivolare in autoritarismi sterili o tenerezze nefaste.

È stato attento al dialogo, rispettoso delle istituzioni, ma è stato anche deciso, puntiglioso e mai remissivo verso i giochi dei vari gruppi politici.

Uomo dotato di visione pragmatica, accademico ma non refrattario allo spirito culturale nazionale che spesso sfocia nel folklore, serio ma non serioso, capace di rimandare al mittente con composto e determinato ingegno ogni battuta infelice.

A riguardo ne sa qualcosa Boris Johnson, che si era concesso giudizi poco lusinghieri sul nostro attaccamento ai valori di libertà, a cui rispose con arguto senso di appartenenza:

Anche noi italiani amiamo la libertà, ma abbiamo a cuore pure la serietà.

Ecco, Sergio Mattarella è una di quelle figure che non passerà alla storia per un gesto, una frase o un’azione politica sorprendente o decisiva, ma è entrato nella storia della nostra Repubblica perché ha attraversato uno dei momenti più difficili della intera storia del mondo.

L’ha fatto con rispetto verso chi soffriva e verso chi stava aiutando, l’ha fatto con intelligenza e cultura. Evitando polemiche, placando le farneticazioni e le frustrazioni di alcuni politici, facendo leva sul suo carisma e su un ruolo che, oggi più che mai, non è più di rappresentanza ma di collante e di vigilanza.

Bene, auguri Signor Presidente per il suo futuro e grazie per aver reso questo nostro Paese un poco più credibile agli occhi di tutti.

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.