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Il papà di domani

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Devo lasciare un biglietto a mio nipote: la richiesta di perdono per non avergli lasciato un mondo migliore di quello che è.
Andrea Zanzotto 

Da bambino mi chiedevo, se un giorno fosse mai accaduto, che tipo di figura genitoriale sarei stato. Severo, educatore, distaccato, attento, morboso o libertario. Oggi non riesco a giudicarmi, ma so che ci sono enormi margini di miglioramento nella gestione familiare e nel rapporto che sto costruendo con le mie figlie. Non sono un perfezionista, ma vedo errori quotidiani nell’approccio, nella comunicazione e nel confronto.

Fatta questa premessa, doverosa o meno che fosse, appartenendo già ad una generazione “superata”, guardo a chi sarà padre, ai millennial, i nati tra la metà degli anni Ottanta e i primi anni del Duemila.

Li possiamo immaginare come quelli che, una volta diventati padri, sono bramosi di essere presenti nella vita dei loro eredi, che vogliono diventare uomini migliori grazie alla paternità. Rientra nel curriculum di tutti. Ci sono quelli che sanno essere disponibili e coinvolti e, così facendo, sorreggono la crescita dei loro figli in modo importante e affettuoso.

La paternità oggi è «contaminata» da bisogni emotivi nuovi per il mondo degli uomini. I «papà millennial» si accreditano presso i loro propri discendenti e vivono accanto a loro in modo totalmente differente rispetto ai padri da cui sono nati. Non più solo «padri della legge», ma anche emotivi, affettivi, teneri, sensibili, complici e, spesso, più Peter Pan della loro stessa prole.

Passano più tempo a casa con loro e, abitualmente, sono più implicati nella genitorialità, tendendo a vederla come una parte integrante della loro vita e identità. Questa che possiamo definire come la “rivoluzione dei papà” si è concretizzata tra le mura domestiche.

Nel tener conto della loro data anagrafica, possiamo affermare che già in quei tempi era considerata abbastanza superata la “vecchia” divisione netta di ruoli con la donna a casa e l’uomo al lavoro per mantenere la famiglia.

Non si tratta più solo di provvedere ai bisogni finanziari della famiglia, i papà di oggi vogliono essere presenti nelle decisioni di tutti i giorni. Splendere e far splendere.

Non solo sono più entusiasti riguardo all’educazione dei figli, ma tendono anche ad aiutare di più le loro partner con le faccende di casa. Non più solo preoccupati di dar loro sicurezza, norme e protezione, attraverso il proprio lavoro, ma anche fermamente convinti del loro ruolo affettivo e educativo.

Un asettico ma profondo “carpe diem” che scolasticamente ha fatto trasognare e dal quale si abbeverano per giustificare l’urgenza di mettere davanti a tutto la voglia di vivere fino in fondo e in primis la famiglia.

L’occupazione maggiore è la famiglia, ma senza stress: i papà millennial sono infatti più ottimisti delle mamme, ma anche meno ansiosi riguardo al futuro e più felici al lavoro. Ciò nonostante, per la maggioranza delle persone sono egoisti, assillati dai social e in continuo bisogno di compiacimenti. Se è vero che ciò dipende dal contesto culturale e tecnologico in cui sono cresciuti, una parte di responsabilità è dovuta all’educazione ricevuta.

Ecco che la ruota gira e ci ritrova al punto di partenza: si è il frutto del mondo in cui si è cresciuti e formati ma, anche e soprattutto, dell’insegnamento donato tra le mura domestiche. La famiglia, in questa logica, diviene quasi il tutto: la gioia e la colpa, la costruzione e l’elevazione così come la distruzione e l’abisso.

Spesso, un genitore si dimentica del ruolo preciso che ha all’interno della comunità: egli sta preparando il cittadino e l’uomo del futuro. Se manca questa capacità di attenzione e di riconoscimento, pare evidente e banale che le conclusioni a cui arriveremo saranno gravemente soccombenti per chi resta e per chi se ne andrà.

Essere genitori è una missione non un ruolo a cui va la nostra accettazione o il nostro congedo e comporta dei cambiamenti. In generale, tutti i millennial sentono di dover fare scelte nella vita – d’altronde non sono più adolescenti: nel 2020 rappresenteranno la metà della forza lavoro – ma per i papà questo senso di responsabilità è più alto.

Vista l’evoluzione della quotidianità e questa sua frenetica persuasione, l’urgenza di essere in tempo per questo tempo, le vite dei figli dei millennial sono più organizzate che mai.

Il ritmo della vita moderna obbliga a pianificare non solo le loro ore di lavoro ma anche il tempo libero e l’intera vita familiare, creando un fenomeno di programmazione che fa invidia ai manager di una grande azienda. È una rivoluzione costante e silenziosa.

Basti pensare che esistono dei veri e propri brand che si occupano di infanzia e creano nuove campagne marketing a misura dei nuovi papà, il cosiddetto “dadavertising”.

Oggi, rispetto al passato, i nuovi papà sono più presenti nella vita dei figli e trascorrono più tempo con loro: otto ore a settimana secondo una ricerca specializzata, il triplo rispetto al 1965. Altra storia, diciamolo: da Mary Poppins a Mrs. Doubtfire il passo è breve.

Per molti di loro l’esempio migliore è rappresentato dalla Rete, allontanandosi quindi dalla figura paterna ereditata. Sono digitali e sfruttano le potenzialità, anche relazionali, offerte da Internet. Tablet, PC e smartphone sono strumenti con cui hanno a che fare ogni giorno nell’interazione con la progenie.

Sono la prima generazione a misurarsi con questa sfida globale, ovvero individuare l’equilibrio educativamente perfetto tra il buon uso e il non abuso, mettendoci passione e disponibilità, provando a sfruttare le proprie zone di confort e brandendo a malapena l’arma della disciplina.

Sfidano l’autorità con l’autorevolezza, facendo l’occhiolino ad una sana complicità. È una trasformazione che ci riguarda e che impatterà le prossime future generazioni.

Dove sta l’inghippo, allora?

Forse questo troppo rigetto ad addossare ai figli certe responsabilità, forse un’educazione che potrebbe non abituarli all’ordine e alla concentrazione sull’obiettivo, forse potrebbe mancare in futuro una doverosa umiltà nel raggiungere gradualmente traguardi o ambizioni.

Sono parole che traggono ispirazione da una visione semplicistica e ancora fortemente legata a certi miei modelli, sia chiaro. Siamo speranzosi che i padri millennial si dimostrino più fortunati di chi li ha preceduti nel far coltivare ai propri figli l’intelligente necessità di creare un mondo migliore.

E poi un altro passo falso potrebbe essere la ricerca disperata di essere perfetti: abituando chi verrà dopo a pretendere solo il meglio e il massimo senza fare conti con le bruttezze, le criticità e la noia che sopravvivranno sempre a tutto e tutti.

Far capire a chi educano che tutti sono speciali ma nessuno è unico, che bisogna sapere oziare e vivere con pazienza, rispettando l’autorità valorizzando la disciplina che mette comunque ordine e consente a tutti di essere uguali e coerenti.

Evitare, dunque, di restare intrappolati in un eterno presente: bisogna sapere invecchiare crescendo, forse questo alla generazione millennial non è chiaro del tutto, perché quello che stanno vivendo è un presente frammentato ed insicuro, con minore resistenza alle pressioni esterne e alle disuguaglianze.

Quanto basta per capire che per essere padre bisogna comunque sempre diventare un uomo completo nella sua eterna lotta tra la magnifica imperfezione e la paurosa bellezza di imparare a vivere.

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.