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Il futuro passa dall’ABC

1973
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L’8 settembre si celebra la Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione, costituita il 17 novembre 1965 dall’UNESCO per ricordare alla comunità internazionale l’importanza dell’alfabetizzazione.

Il significato del termine è semplice, ovvero si intende la capacità di leggere e scrivere, eppure tra gli esperti e non solo persiste un intenso dibattito sulla definizione e l’accezione che viene riconosciuta; è una discussione forte e presente anche nei progetti europei, dal momento che, in molte lingue, il vocabolo non ha una traduzione specifica.

Bisogna fare una precisazione: distinguere analfabetismo, non essere in grado di leggere e scrivere, da analfabetismo funzionale, essere in grado di leggere e scrivere, ma non al punto di soddisfare le necessità della vita di tutti i giorni.

Sapersi esprimere, infatti, e saper contrattare con i propri bisogni e le proprie criticità è un modo per evitare che i conflitti si sviluppino in forma aggressiva.

Per questo la parola è così importante perché l’alfabetizzazione e il suo processo evolutivo intellettuale consentono di ragionare con sensibilità e coerenza ai principi etici presenti in noi. Almeno dovrebbe essere così.

Si parte dal presupposto che leggere e scrivere siano competenze basiche: in effetti sono il ponte per il futuro, il piede destro e sinistro che ci consente di camminare nel mondo; ci aiuta a vivere, a sopravvivere e a inserirci nella società.

Anche se oramai si parla più al plurale che al singolare: tenendo conto che le alfabetizzazioni si diversificano per gruppo sociale e professionale, per contesto ed attività. Non ultimo, in questi giorni segnati dalla pandemia si sente sempre più spesso parlare di alfabetizzazione digitale.

Quest’ultima è un processo che definisce un nuovo linguaggio nato con la rivoluzione digitale, affermatosi, con sempre maggiore consapevolezza e responsabilità nell’utilizzo dei nuovi device, nuovi skill e nuove conoscenze, tecniche e sociali.

Si presti attenzione: l’alfabetizzazione digitale non è solo una competenza tecnica, come spesso si tende a confidare, ma è molto di più, in quanto comprende abilità in diversi settori, quali la sicurezza e la comunicazione online, l’alfabetizzazione mediatica e la creatività, oltre che la socialità online.

Senza dubbio lo sviluppo della comunicazione audiovisiva e digitale, strumento prezioso per l’alfabetizzazione, ha già notevolmente contribuito alla diffusione e all’accesso alla cultura di un gran numero di uomini e non soltanto di un’élite.

La scrittura e la lettura restano, per l’uomo, degli strumenti privilegiati per l’educazione alla riflessione e al dominio di sé, come per lo sviluppo delle facoltà intellettuali proprie ad arricchire le comunicazioni di tutti gli ordini tra gli uomini e le donne.

L’alfabetizzazione sembra un fattore di maggiore progresso culturale e anche di promozione professionale, quando una delle cause dell’aumento così inquietante di disoccupazione è la mancanza di qualificazione, gli impieghi esigono un livello sempre più elevato di conoscenze e di formazione generale.

Quanto è confermato in molte ricerche economiche: esse hanno dimostrato che le politiche educative influiscono su crescita e capacità di innovazione della società.

E la scoperta non è certo nuova di zecca.

Già una dozzina d’anni fa in un’analisi compiuta per la Banca Mondiale da due docenti delle Università di Stanford e Monaco, Eric Hanushek e Ludger Woessmann, si poteva leggere:

L’istruzione può alzare i redditi individuali e il livello di sviluppo di un’economia soprattutto attraverso l’accelerazione impressa al progresso tecnologico.

Secondo un’indagine ‘ALL’ dell’INVALSI di qualche anno fa, il 46,1% degli italiani si trovava in condizione di “illetteralismo”, ovvero non riusciva a superare il livello base di comprensione di un brano di prosa: oltre 33 milioni di persone.

Un popolo che non sa né leggere né scrivere, è un popolo facile da ingannare.
Ernesto Che Guevara  

Se la definizione restrittiva può andar bene per migliorare le statistiche, economisti e linguisti sono tuttavia concordi nel sostenere che in una società complessa non si può considerare alfabetizzato chi magari riesce a leggere un testo o a mettere la firma su un modulo, ma non è in grado di fare proprie le informazioni che gli vengono sottoposte.

Il peso crescente che tali aspetti hanno nei processi di istruzione va ricondotto a dinamiche di fondo di natura globale, nonché allo sviluppo, legato alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, di modalità e strumenti di insegnamento – apprendimento diversi da quelli tradizionali, al punto che l’attenzione si è spostata dal contenuto al processo, dal cosa impariamo al come e, soprattutto, al perché.

Ma dietro a queste dinamiche si cela, neanche tanto a malapena, lo stato della cultura oggi. Se stiamo ancora a raccogliere i cocci di un processo dell’alfabetizzazione non ancora completamente evoluto ed uniformato alle urgenze sociali, dobbiamo non cercare i colpevoli ma responsabilizzarci tutti. Dalle Istituzioni alla società civile.

Parliamo dell’anno 2020, eppure ancora ci troviamo di fronte a situazioni di criticità sociale – familiare che non consentono, soprattutto alla fascia più debole, ovvero ai minori, di diventare parte integrante dello sviluppo socio – economico della nostra era.

La cultura è ridotta così male perché non si sono curate, e si continuano a non curare, tutte le periferie, includendo in queste non solo quelle urbane e metropolitane, ma anche e soprattutto, quelle rurali o tutte quelle aree che insistono in territori e regioni ritenute secondarie, specialmente per l’assenza di grandi città.

Ma, come dimostrano i cambiamenti in atto nei Paesi emergenti, anche europei, si pensi ad esempio alle repubbliche baltiche, la loro vera forza propulsiva deriva da due elementi, oltre alla flessibilità economica: l’orgoglio e la rivendicazione culturale e la valorizzazione delle aree, città e territori, periferiche, luoghi piccoli e lontani che diventano motore del cambiamento.

Dobbiamo fare attenzione per capire davvero come la cultura sta venendo affetta dal Coronavirus. Dobbiamo andare oltre l’emergenza e guardare alla fragilità strutturale di cui soffre una parte cruciale del Paese. Una fragilità figlia anche della generale naturalizzazione della mancanza di tutela delle forme di lavoro del precariato, della proliferazione in molti campi delle false forme di lavoro para-subordinato e dal restringimento brutale del finanziamento pubblico alla cultura.

Se è vero che negli ultimi dieci anni ci siamo inventati costantemente nuovi modi per contenere questa erosione – pratiche di innovazione civica e culturale, di condivisione comunitaria, di sostenibilità economica, di sperimentazione mutualistica – è anche vero che, da troppo tempo, l’Italia si rifiuta di guardare dentro le dinamiche di potere dei mondi della cultura.

Perché diciamolo, la cultura è un campo complesso e affollato. C’è chi la fa, chi la distribuisce, chi la finanzia, chi la regolamenta e chi la fruisce.
Su come stanno cambiando le cose per questi ultimi non sappiamo ancora molto; alcune cose sono direttamente osservabili, mentre altre sembrano apparire solo in filigrana.

Con la cultura si impara a vivere insieme; si impara soprattutto che non siamo soli al mondo, che esistono altri popoli e altre tradizioni, altri modi di vivere che sono altrettanto validi dei nostri.
Tahar Ben Jelloun 

L’Alfabetizzazione culturale è anche una sfida, certamente ambiziosa, che consistente nel far acquisire tutti i fondamentali tipi di linguaggio, un primo livello di padronanza dei quadri concettuali, il potenziamento della creatività e delle divergenze, l’autonomia decisionale ed operativa.

Si capisce allora che un filo d’oro lega la prima alfabetizzazione culturale alla convivenza democratica. Ecco che temi delicati come inserimento politico e coscienza civile diventano fondamentali nello sviluppo di una programmazione ad hoc per una gestione della vita socio – culturale di una Nazione.

Non possono divergere ma servono entrambi: da una parte abbiamo le Istituzioni che devono vigilare, organizzare, consentire e manifestare una capacità elevata di fare e distribuire cultura verso la massa e non relegarla ad una élite; dall’altra abbiamo una società che deve imparare a fare i conti con la sua incapacità di seguire il flusso normativo e legale che prevedono certi protocolli e, innanzitutto, di partecipare alla vita culturale del Paese senza mortificare le variabili e le diversità e senza eccedere in oligarchiche prese di posizioni o organizzando party culturali a beneficio di pochi eletti.

La vita democratica passa ineluttabilmente attraverso la gestione culturale e scolastica dei suoi cittadini.

Formare le generazioni future a vivere e a conquistare competenze e conoscenze aiuterebbe fortemente lo stato economico e sociale di tutti. Sarebbe una svolta, sarebbe la cosa da fare.

Investire nell’alfabetizzazione e permettere a tutti di condurre, con spirito libero, un’esistenza degna di essere vissuta.

 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.