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L’Etica e il Viaggio

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10 luglio 2015

Il turismo, così come lo conosciamo oggi, ha nel 5 luglio 1841 la sua data di nascita e un padre, Thomas Cook, che quel giorno programmò il primo viaggio di massa. Furono 570 le persone a spostarsi in treno da Leicester a Loughborough, in Inghilterra. Il successo fu inaspettato e spinse Cook ad organizzare pacchetti di viaggio sempre più vari e articolati. Nasceva, così, l’industria del turismo.

Fino a quel giorno il viaggio era ancora ad appannaggio di pochi, sia per i costi elevati, sia per i pericoli a cui si andava incontro. Fino a quel giorno esistevano solo il Grand Tour e le grandi esplorazioni.

Il Grand Tour, che per i giovani borghesi e nobili, gli intellettuali e gli avventurieri era una sorta di iniziazione per una nuova vita, la maggior parte delle volte non si spingeva oltre Napoli. Le vie di comunicazione non erano affatto confortevoli e lungo questi cammini tortuosi, isolati e deserti si aggiravano personaggi poco raccomandabili.
Stendhal e Goethe forse furono tra gli ultimi viaggiatori del Grand Tour.

Le importanti esplorazioni che segnarono i secoli XVII e XVIII e che aprirono la strada al colonialismo erano narrate come avvenimenti lontani e i protagonisti erano personaggi semi leggendari che attraversavano mari e terre sconosciute.

Le epopee di Willem Janszoon, di James Cook, di Abel Tasman, di James Bruce che risalì il Nilo fino alle sue sorgenti, erano racconti d’avventura che facevano sognare.

La stampa iniziò a seguire con vivo interesse queste imprese leggendarie dedicando ampio spazio, ad esempio, a Livingstone o Stanley in Africa. I resoconti accurati di spedizioni avventurose appassionavano i lettori e scrittori come Verne trovarono in tutto questo terreno fertile per la propria fantasia.

Nell’800 una serie di fattori favorevoli contribuì a segnare l’epoca di passaggio da viaggiatori a turisti e fece sì che Cook intuisse la possibilità di sviluppare una nuova fetta di mercato: la maggiore disponibilità economica dei lavoratori, l’aumento delle conoscenze a disposizione della popolazione, il progredire veloce della tecnologia e il conseguente calo dei costi di trasporto, il moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione.

Dal viaggio avventuroso e di scoperta, quindi, al viaggio di solo piacere organizzato da terzi e fruibile per la massa. L’industria del turismo ha visto così incrementare, anno dopo anno, i propri introiti, al punto di spingersi oltre mettendo a rischio le culture, i popoli, l’ambiente, gli equilibri naturali di zone del mondo prima incontaminate. Ed oggi, c’è sempre più necessità di ritrovare la dimensione del Viaggio, di fare in modo che esso sia etico, responsabile, sostenibile.

In Kenya, nel 2003, incontrai i Turkana, un gruppo di quattro persone vestite in abiti tradizionali. Chiesi loro di poter fare una foto e subito tesero la mano perché volevano essere pagati. Mi spiegarono, poi, che ormai campavano di questo. Stesso episodio si verificò con un gruppo di Samburu che inscenarono per dei passanti una loro danza tradizionale. Prostituivano la loro cultura, le loro tradizioni per il turismo.
Secoli e secoli di tradizioni tramandate da generazioni buttate su quelle strade di terra battuta per pochi spiccioli. Come degli animali allo zoo o meglio, nei parchi safari.
Dove sta il viaggiatore in tutto questo, il turista rinchiuso in una bolla che lo rende estraneo a ciò che accade al di fuori?

La povertà indotta dal turismo che è entrato a pieno titolo nelle multinazionali che rubano pezzi di terra per creare resort, alberghi, villaggi in cui il denaro entra, ma esce in altri paesi. Buchi neri che risucchiano ricchezze economiche e culturali.

L’Etica del Viaggio deve evitare proprio questo. La sua mancanza è più evidente nei paesi così detti “in via di sviluppo”. A volte mi chiedo come possa una persona andare in Kenya o Tanzania o India come turista chiuso in quella bolla! Come può una persona stare in un resort a Malindi o a Cancun quando quei luoghi sono proibiti alle popolazioni locali, quando intorno la povertà, l’indigenza, la fame sono la realtà quotidiana?

La responsabilità del Viaggiatore sta anche e soprattutto nel diffondere l’ideale del viaggio etico che rispetti l’ambiente, gli ecosistemi, i popoli, che fa della cultura, dell’arte, della società che lo accoglie i tesori da scoprire.

Spesso ho sentito persone lamentarsi di dover indossare la kippah in una sinagoga o il velo per entrare in una moschea o ancora che fuori ad alcune chiese dessero veli per coprire spalle e gambe scoperte.
Questi lamenti in cui molti turisti sono rappresentati sono assurdità. Come coloro che cercano ristoranti italiani a Phnom Phen.

Il turismo selvaggio e incontrollato della bolla di ricchezza immersa nella povertà più assoluta; il turismo che visita le piantagioni di thè in Sri Lanka, dove le foglie sono raccolte dai Tamil portati con forza dagli inglesi nel XIX secolo a questo scopo, che non si chiede chi siano quelle donne dai sari malandati che trasportano le ceste con le preziose foglie.
Tutto è uno spettacolo da guardare, da fotografare, da raccontare a parenti ed amici.

Il turismo dei pacchetti dove ti portano in giro mostrandoti lo spettacolo di paesaggi che il paese offre, senza raccontarti di chi vive lì e dei finti contratti con le etnie che lì fanno scena, come alcuni gruppi Masai che i governi locali “invitano” a vivere nelle abitazioni e con gli abiti tradizionali per il piacere dei vacanzieri, in cambio di poco o niente; dei pacchetti che hanno incluse le “escursioni” a veri villaggi indios dove il turista può dare le caramelle ai bambini e poter dire “che pena! Poveri bambini!”.

Stiamo vivendo l’evoluzione del colonialismo, di quelle scoperte che, dal XV fino ai primi anni del XX, hanno portato alla sottomissione di popoli, all’estinzione di animali e culture, allo sfruttamento delle terre altrui e che rende partecipe ora tutti noi. Senza rendercene conto, continuiamo a prosciugare quelle genti e quelle terre semplicemente facendo acquisti non responsabili, viaggiando, considerando e vedendo, da turisti, il mondo non come opportunità di crescita ma come una grande Wunderkammer.

Siamo abituati al mondo racchiuso in un monitor, quello delle cartoline di atolli incontaminati, di acque cristalline in cui ci si tuffa tra gli squali o si nuota con i delfini; peccato che sia una realtà finta, fatta di illusioni, di pacchetti viaggio di cartone.
Immagino cosa potrebbero diventare i Paesi delle coste africane o sud americane se avessero governi capaci di cacciare queste multinazionali, non solo del viaggio organizzato, se fossero in grado di gestire, sviluppare, reinvestire nel proprio territorio le ricchezze che possiedono, fosse anche solo quelle culturali o paesaggistiche. Sarebbe un mondo completamente diverso! Invece la cecità impostaci rende tutto questo pura utopia.

Il viaggiatore, allora, deve imparare ad entrare lentamente nel mondo e nella realtà che lo accoglie, in silenzio, a piedi nudi, un passo per volta. Deve essere responsabile e, fosse solo per un giorno, deve essere parte integrante del sistema socio-culturale in cui si trova a muoversi. Solo così riuscirà a percepire il tesoro che ha davanti.

Perché andare in Messico e non soggiornare in strutture a gestione familiare? Perché girare per la Cambogia e non mangiare nei locali con le tavole di plastica coperti da incerate rattoppate dove al centro un bicchiere aspetta di essere riempito di thè?
Dobbiamo renderci conto che le nostre azioni, per quanto possano apparire normali, innocue o dettate da abitudini apparentemente sane, possono entrare in meccanismi nocivi per l’ambiente in cui ci troviamo ad essere.

Il visitatore in luoghi dove la povertà la fa da padrona, dovrebbe collaborare con associazioni, locali e non. Anche il semplice soggiornare piuttosto che rendersi partecipe a piccoli progetti di sviluppo sarebbe un modo per rendere il proprio viaggio diverso e non fine a se stesso. Non solo per scattare qualche foto!

Il viaggio non può che essere etico! È il solo modo che abbiamo per aprire la mente, per scoprire nuove culture, nuove società, nuovi paesaggi e nature da preservare il più possibile.
Occorre rispettare ciò che ci circonda, predisporci alla conoscenza, alla consapevolezza, alla capacità di immaginare, creare e vedere attraverso l’incontro con altri popoli, altre ottiche e percezioni del mondo, attraverso la lettura diversa che altri danno alla nostra stessa realtà.

Il 9 ottobre del 2005, a Cervia, l’AITR, Associazione Italiana Turismo Responsabile, ha adottato questa definizione:

Il turismo responsabile è il turismo attuato secondo principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture. Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio.
Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori.

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Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!