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Le difficoltà di Venere, dea dell’Amore e Bellezza, nel mondo moderno

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La Venere di Venafro esposta al Museo Archeologico di Venafro (IS)
La Venere di Venafro esposta al Museo Archeologico di Venafro (IS)


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Esistono infinite speculazioni su cosa sia la Bellezza: è nell’occhio di chi guarda o è negli oggetti osservati?

È un mero frutto dello Zeitgeist, lo “Spirito del tempo in cui si vive”, e dunque ciò che appare bello oggi non lo sarà più domani?

È possibile percepire la bellezza solo grazie all’impermanenza, che rende ogni cosa precaria? – e quindi il volo di una farfalla o un arcobaleno appaiono splendidi proprio perché legati a un istante fugace?

O dipende dall'”autorità” di un oggetto, dalla sua storia e unicità?

Forse la percepiamo grazie al rapporto d’amore che ci lega a ciò che osserviamo?

Esistono criteri “oggettivi” che ci consentono di riconoscere la bellezza?

Probabilmente l’immagine più evocativa è quella offerta dal mito della cintura di Afrodite, dea della bellezza, che rende abbacinante e degno d’amore tutto ciò che essa avvolge. È il potere dell’artista di vincolare la luce, il senso, l’eros a una forma creata dal nulla. È il miracolo che ci fa amare le persone a cui vogliamo bene.

Venere dispensa capricciosa i suoi doni, l’ingannevole bellezza esteriore, ma anche la capacità di conferire bellezza, di avvolgere nella sua cintura magica parole, opere d’arte, azioni, armonie tra le cose. Non ultima, la capacità di scorgere la bellezza.

Secondo l’antico libro de I-Ching, invece, la bellezza scaturirebbe piuttosto da un’armonia tra gesti, azioni, forme e il Tempo, l’ordine cosmico che ci si rivela attraverso i 64 esagrammi del libro, come se la vita fosse una danza e dovessimo scorgere la partitura invisibile della musica sottile che pervade l’universo per poter danzare secondo il ritmo che essa ci indica. Scorgere e assecondare quel ritmo: questa sarebbe la vera Bellezza taoista.

Mi limiterò qui ad enumerare quattro aspetti, ognuno dei quali potrebbe indurci a dichiarare “bello” un oggetto, un volto, o un’opera d’arte.

L’armonia delle parti

Lo storico dell’arte dispone di uno sterminato inventario di criteri attraverso i quali valutare la fattura di un’opera, la sua realizzazione tecnica, la sua “armoniosità”. Ne citerò uno tra tutti: il rapporto di proporzione aurea.

Il numero aureo irrazionale φ = 1,618033… che la esprime non solo è infinito e aperiodico, ma richiama moltissimi rapporti geometrici che hanno a che fare con la bellezza e l’armonia. Regola la crescita e la forma nei tre regni della Natura (cfr. ad es. D’Arcy Thompson, Crescita e forma) e la proporzione tra le parti in pittura, architettura e scultura, appare in molte leggi matematiche che descrivono fenomeni naturali (cfr. anche Matila Ghyka, Il numero d’oro).

Leonardo Da Vinci illustrò un libro, il De Divina Proportione di Luca Pacioli, che apparve tra il 1497 e il 1509, dedicato ad esaltare le proprietà del numero aureo e della sezione aurea, gli egiziani se ne servivano per le loro piramidi – Osireion, Tomba di Petosiri, la Piramide di Cheope – e Fidia e Prassitele lo utilizzarono per il Partenone e l’Afrodite Cnidia. Charles Bouleau nel suo libro La géométrie secrète des peintres dimostrò che molte grandi opere pittoriche si avvalgono del numero aureo e della sezione aurea.

Ritroviamo questo numero in matematica, in geometria, in architettura, nella storia dell’arte, più e più volte, nelle leggi della Natura. I numeri di Fibonacci, caratterizzati dal fatto che il rapporto tra il numero successivo della serie e quello precedente tende al numero aureo, come lo stesso numero aureo, tornano nella dinamica della crescita di molti vegetali, nel rapporto tra le spirali di alcune conchiglie, come il Nautilus, nelle proporzioni di moltissimi animali – delfini, farfalle, nelle corna, zanne e artigli di molti mammiferi, e persino della doppia elica del DNA. Questo rapporto viene così definito: la sezione aurea di una grandezza è quella sua parte che è media proporzionale tra l’intera grandezza e la parte restante.

Il nome “divina proporzione” è giustificato da ciò che ne dice Platone nel Timeo, che la considera la chiave per misurare il cosmo e per risalire da una parte al tutto, dal mondo visibile e sensibile a quello invisibile delle Idee, considerando i tre termini le parti di una proporzione divina – la più grande (l’intero segmento), quella di mezzo (il segmento più lungo, medio proporzionale) e la più piccola (il segmento più corto) – questi rapporti, egli scrive, sono “tutti di necessità gli stessi, e poiché sono gli stessi, non sono che uno”.

In una progressione di divine proporzioni, ogni parte è un microcosmo, o modello minuscolo, di tutto l’insieme. In sostanza per Platone, e per Pacioli, la sezione aurea è uno strumento per misurare la parte come la parte misura il tutto, e passare così da ciò che è presente e visibile attorno a noi a ciò che è invisibile e lontano, dal visibile al trascendente. Questa, in effetti, è una qualità sublime della bellezza.

Lo Zeitgeist, lo “spirito del tempo”

È molto difficile cogliere lo Zeitgeist, lo Spirito del Tempo della propria Epoca, e ancor più difficile è interpretarlo consapevolmente. Occorrono molti anni, forse cinquanta o cento, anche solo per acquisire la prospettiva giusta per comprenderlo, e in campo artistico per discriminare le opere destinate a diventare immortali da quelle destinate a cadere nell’oblio. Chi è connesso con lo spirito del proprio tempo e trova i mezzi per comunicarlo agli altri, questi ha talento. Ciò vale per la pittura, la musica, il cinema, ma anche per la scienza e per le creazioni del pensiero.

La proprietà di una creazione umana di esprimere lo Zeitgeist del suo tempo è una “brillantanza” che poche persone contemporanee (e a volte addirittura nessuno), riescono a scorgere, e la cui consapevolezza spesso emerge solo nelle generazioni successive; è una connessione segreta e irrazionale che lega le persone di talento al manifestarsi dello Zeitgeist, le “possiede” e le induce ad esprimerlo attraverso la loro opera. È un’altra qualità della bellezza: comprendere l’essenza di un periodo storico attraverso le opere artistiche che ha prodotto.

L’autorità, l’unicità, la storia, con cui un oggetto ci viene incontro

Cosa distingue la Gioconda conservata al Louvre da una sua copia su un manifesto di carta? È il problema che, nell’epoca in cui ogni opera d’arte può essere riprodotta indefinitamente e su qualsiasi supporto, a volte virtualmente indistinguibile dall’originale, si pose Walter Benjamin nel suo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, proponendo l’idea di aura per descrivere il valore aggiunto che un oggetto o un’opera d’arte traggono dalla loro storia e unicità, dal fatto stesso di venirci incontro in un modo per noi memorabile e irriproducibile.

Un cimelio storico, un quadro di Van Gogh, un oggetto che ci lega a una persona cara o ci ricorda un viaggio o un’esperienza per noi preziosa, possono avere queste caratteristiche. Gli oggetti prodotti in serie, le riproduzioni di opere d’arte o di cimeli storici, non possono averle. Eppure, ci sono delle eccezioni: i cosiddetti status symbol. Essi funzionano, infatti, come specchi rovesciati, pur essendo spesso prodotti in serie, pur non avendo una storia, se non la somma di danaro con cui sono stati acquistati, nell’immaginario sociale essi elevano lo status del loro possessore agli occhi della comunità e viene loro attribuita una forma di “bellezza”. È comunque indubbio che, a volte, siano la storia e l’unicità delle opere d’arte a farcele apparire “belle”.

Il rapporto di amore che ci lega all’oggetto o all’opera d’arte

La cintura magica di Venere di cui parlavamo all’inizio ha a che fare con la capacità di suscitare amore. In campo amoroso siamo dei veri analfabeti, se facciamo un paragone con le civiltà che ci hanno preceduto, ad esempio con i Greci.

Non c’è alcun dubbio sul fatto che, parlando di amore, il nostro linguaggio e la nostra cultura si siano enormemente impoveriti negli ultimi duemila anni. Per i Greci esistevano infatti otto diversi tipi di amore e otto differenti contesti nei quali il dio Eros poteva lanciare le sue frecce. Questo dio, che alcuni ritenevano un demone a metà strada tra divino ed umano, era figlio di Afrodite ed Hermes e il fuoco implacabile delle sue frecce non lasciava scampo a coloro che ne venivano colpiti. Nel De vinculis in genere Giordano Bruno lo definisce “cieco e di acutissima vista”.

Gli antichi ritenevano che l’uomo fosse costituito da più corpi, sia materiali che sottili, e credevano che le produzioni dell’immaginazione umana potessero divenire reali, se sufficientemente “nutrite” dalla volontà. Eros poteva allora lanciare le sue frecce e colpire uno dei corpi dell’uomo, o una forma-pensiero, o addirittura collegare un essere umano a un eggregore. Di qui la tassonomia greca delle differenti manifestazioni di Eros; questo senza il Logos è spesso distruttivo per chi vive questo squilibrio e per le persone a lui/lei legate, a volte diventa persino ridicolo.

Ma il Logos senza l’Eros può rivelarsi ancora più pericoloso: nella storia dell’umanità ha causato stragi di massa, discriminazioni, fanatismo, superbia, mancanza di umanità e generosità verso il prossimo. Satana può perdere i singoli individui e chi ha a che fare con loro, ma Lucifero può annientare intere civiltà.

E non sempre si tratta di amore per altri esseri umani: l’amore per la filosofia, per il sapere, o la fedeltà a un’idea o a una credenza religiosa è innamoramento per un eggregore. L’amore può essere invece rivolto al corpo, all’anima o allo spirito di un altro essere (Eros), secondo la legge del pieno e del vuoto, può essere unilaterale o ricambiato (Anteros), riguardare la missione della vita di un essere umano più che la sua persona (Thelema), può consistere nell’impulso a donare noi stessi e condividere tutto ciò che possediamo (Agapé), può riguardare i fantasmi della nostra mente, proiettati indebitamente sugli altri (tale poteva essere il Photos), può essere ricerca del piacere fine a se stesso o del desiderio desiderato, vissuto come prova del nostro essere al mondo (ancora Thelema), può derivare dalla voce del sangue (Storgé), o scaturire da un impeto panico destinato a dissolversi nel qui e nell’ora (Himeros).

Infine, può scaturire dal vibrare all’unisono di due anime, che sono sintonizzate su una stessa frequenza al di là del linguaggio e della ragione (Philia). Potremmo allora dire che una delle cause del percepire la bellezza è l’aver stabilito con un oggetto, o un volto, o un’opera d’arte, una delle forme di amore di cui sopra.

Non affronterò qui il tema della soggettività nell’applicazione di questi quattro criteri, che possono indurre alcuni a ritenere “belle” rappresentazioni aberranti o kitsch…

Nel mondo moderno la dea Venere è in grave difficoltà, perché ognuna delle forme di percezione della bellezza che abbiamo fin qui esposto, rischia di svanire nel nulla. Si confonde infatti l’autorità e la storia di oggetti e opere d’arte, l’armonia delle loro parti, lo Zeitgeist che esse esprimono, con il desiderio che esse suscitano in noi, desiderio per lo più evocato da pubblicità, influencer, mode culturali, parole d’ordine sui social. Ma le indicazioni della pubblicità, le mode culturali, i suggerimenti di influencer e social conferiscono alla Bellezza la durata di una rosa, giudichiamo cioè “bello” qualcosa soltanto per l’espace d’un matin.

Sopravvivono inalterati nella nostra epoca gli status symbol, ma essi servono solo a nutrire la nostra immagine, non dicono nulla su se stessi e molto sul nostro narcisismo.

Ci si può esercitare a stabilire quale, tra le forme di amore che abbiamo sopra elencato, ci leghi alle cose che ci appaiono “belle”, ma troppo spesso si tratta di un amore di marinaio, lo stesso celebrato da Pablo Neruda con questi versi:

Amo l’amore dei marinai, che baciano e se ne vanno. Lasciano una promessa. Mai più ritornano. In ogni porto una donna attende: i marinai baciano e se ne vanno. Una notte si coricano con la morte, nel letto del mare.

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Autore Alessandro Orlandi

Alessandro Orlandi (1953) matematico, museologo, curatore per 20 anni dell'ex museo kircheriano, musicista, saggista ed editore della Lepre edizioni, è autore di numerosi articoli e libri riguardanti la matematica, la museologia scientifica, la storia delle religioni, la tradizione ermetica, l’alchimia, le origini del Cristianesimo e i Misteri del mondo antico.