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La variante estate

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Estate


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L’estate ammorbidisce le linee che il crudele inverno mostrava.
John Geddes 

È tornata il 21 giugno con il suo solstizio, con il momento in cui il sole si “ferma” più a lungo nell’emisfero settentrionale e raggiunge il culmine del suo percorso ascensionale.

Quando si parla di solstizio, la scienza non è però l’unica cosa che vale e che ci interessa: il fascino che esercita da sempre sull’uomo, infatti, ha dato vita a miti e culti antichissimi, che, in alcuni casi, sono sopravvissuti fino ai giorni nostri.

Per molte civiltà del passato il solstizio d’estate raffigurava un momento carico di significati spirituali. Il motivo era facilmente rintracciabile nell’abbondanza di luce che veniva interpretata come un dono celeste, da ricambiare con la giusta devozione. Gli antichi Greci e le popolazioni precolombiane commemoravano questa ricorrenza con dei riti legati al culto del Sole e della rinascita. I Romani offrivano entrambi i solstizi a Giano, una delle divinità più importanti del loro pantheon, che si credeva fosse il custode degli inizi e di ogni forma di passaggio, quindi anche la transizione da un ciclo naturale a un altro. I Celti erano costanti nell’accendere un falò il primo giorno d’estate, con la convinzione che questo gesto trasmettesse forza al Sole. Nella Cina antica il solstizio d’estate era invece l’occasione per omaggiare lo Yang, l’energia positiva che, secondo la tradizione, raggiunge il proprio picco durante la stagione estiva. Insomma, per alcune civiltà era ed è un Capodanno che mette alle spalle le stagioni fredde ed uggiose per aprirsi ai riti di svago e di radiosa serenità.

L’estate è vista come una celebrazione della natura nel suo equilibrio ciclico. Volgarmente e concretamente come un culto di progresso generato soprattutto dal rito delle cosiddette ferie. La viviamo con un gusto di nostalgia congenita al solo pensiero di attraversala: come se appartenessimo già ad un album di ricordi a volte irripetibili altre volte dolorosi e scontati.

L’estate è un passaggio dell’anima, vige nella nostra memoria con rarefatta atmosfera e pare ordinare sempre una certa ineffabilità fugace alle emozioni. Sacro il suo divenire che si eccita alla spensieratezza e alla leggera oziosità dei comportamenti. Si accende in noi come una piazza a festa, come le lampadine che esplodono sul lungomare, come la luce lunare che scava il suo rotondo mare. Siamo abituati all’idea che deve essere chiassosa, lontana dal parametro dei mesi freddi, abbiamo l’insperata oscenità di farci del male e di godere sporcandoci dentro.

Eppure, l’estate è effimera nel suo presagio di fine che sembra accompagnarla passo dopo passo. Quel claudicante incedere che vuole essere un ballo scatenato ma, col tempo, pare un valzer d’addio. Perché alla fine l’estate si divora la coda voracemente e ne siamo tutti consapevoli di questo defluire lento ma inesorabile. Come un crepuscolo che sfuma i colori e i contorni di tutto e piano piano in noi la speranza e la voglia di cambiare lascia il posto al rimpianto e alla compostezza malinconica.

Eppure, l’estate è il trionfo della luce, dell’inseguimento al piacere. Nella pittura possiamo celebrare Claude Monet con la sua pittura en plein-air. La sua estate è caratterizzata dalle ombre scure e colorate che si vedono alle nostre latitudini, insieme a personaggi che passeggiano godendosi i mesi più belli dell’anno. Il cielo è azzurro e placido così come il mare, mentre i campi sono vitali e colorati.

E poi, se parliamo del giallo sole, il salto al giallo dei campi di grano richiama immediatamente Vincent Van Gogh. Per questo immenso artista l’estate è qualcosa che fa sgranare gli occhi ed il cuore, un momento dell’anno che diventa un’emozione unica. Il cielo ricorda i pomeriggi afosi di luglio, mentre il sole divora tutto ciò che lo circonda in un caso, e alcune nubi temporalesche rabbuiano il panorama, rendendolo improvvisamente fosco. Come, per l’appunto, una visione della fine di ogni cosa.

Ogni cosa era coperta di grano. Le colline, basse, si susseguivano come onde di un oceano dorato. Fino in fondo all’orizzonte grano, cielo, grilli, sole e caldo. Non avevo idea di quanto faceva caldo, uno a nove anni, di gradi centigradi se ne intende poco, ma sapevo che non era normale. Quella maledetta estate è rimasta famosa come una delle più calde del secolo. Il calore entrava nelle pietre, sbriciolava la terra, bruciava le piante e uccideva le bestie, infuocava le case. Quando prendevi i pomodori nell’orto, erano senza succo e le zucchine piccole e dure. Il sole ti levava il respiro, la forza, la voglia di giocare, tutto. E la notte si schiattava uguale.
Niccolò Ammaniti 

È l’estate che ruba la giovinezza e ne diviene la metafora del suo tempo glorioso e arrendevole. Fugace e poco silenziosa continuerà a vivere nella nostra memoria, scagliando ottimismo e frustrazione, illusione e tormento. Questo suo mito che sa essere poliedrico e percettivo, un miracolo innocente e un’evasione vibrante. Nella sua bellezza prosaica e sgargiante crea allegria e inganno.

Che estate sarà questa del 2021?

L’anno scorso abbiamo barattato la nostra anima per godere di una libertà che improvvisamente ci era stata negata. Siamo follemente usciti fuori dai nostri sgusci incuranti di eventuali ricadute e di nuove ondate. Questa estate non è da meno furiosa, non da meno ci incute paura. Il vaccino è un calmante ad un terrore comunque strisciante ma saremmo ipocriti a non definirla l’estate delle varianti. Il virus si sta replicando o creando copie di se stesso che modifica leggermente.

Di queste “mutazioni” sono state identificate in tutto il mondo centinaia di varianti. Sono nove le varianti del Covid, contrassegnate con le lettere dell’alfabeto greco, segnalate in Italia. Lo indica la banca internazionale Gisaid, nella quale vengono depositate le sequenze genetiche ottenute nei Paesi di tutto il mondo. I dati pubblicati non costituiscono un ritratto della situazione nei diversi Paesi, ma si riferiscono esclusivamente alla quantità delle sequenze depositate nelle ultime 4 settimane. In altre parole, non ci possiamo aspettare la leggerezza che speravamo.

Qualcosa continua a gravare intorno a noi come un alone di insofferenza mista a rabbia. La mutabilità degli eventi compromette la nostra stabilità interiore, annullando le illusioni passeggere ma certe che l’estate porta con sé. Nessun divieto a sognare, nulla ci viene contestato in merito alla possibilità di divertirsi ma l’estate che stiamo vivendo è la conferma che questa stagione è una confessione di fallimento, una promessa non mantenuta, un inganno meravigliosamente pavido.

Ci resta la forza di credere, di ricordare la speranza che non fugge, di scrivere sulla pelle il desiderio di essere estremi in ogni scelta. La variante umana può resistere a quella di una nuova estate pandemica solo se riusciremo a coniugare l’equilibrio con la volontà di sognare, andando oltre un cielo stellato e una pioggia di sale sulla pelle, sfruttando la razionalità meglio della negligenza e di quel senso di leggerezza che, per quanto dovuto, potrebbe rivelarsi poco efficace a contrastare l’inquietudine futura.

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.