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Realtà distopica o totalitarismi indotti volontariamente?

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Realtà distopica


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Nel suo ‘1984’ George Orwell narrava un futuro distopico dal quale sembrava volesse mettere in guardia il mondo.

Quel libro pare essersi avverato in più parti, al punto da fare concorrenza alle ‘Centurie’ di Nostradamus.

Fin dalla sua uscita, il romanzo in cui Orwell ha creato il non troppo immaginifico ‘Grande Fratello’, è stato oggetto di analisi per la sua visione profetica e, per molti aspetti, parte dei suoi messaggi sono ancora pesanti avvertimenti contro i pericoli del totalitarismo e della manipolazione, piuttosto che predizione precisa del futuro.

Ma ne siamo proprio sicuri?

Il controllo del Partito nella vita quotidiana dei cittadini attraverso la tecnologia è un elemento centrale di ‘1984’. Attualmente ognuno di noi ha in mano, magari proprio in questo preciso istante, uno strumento che permette a qualcuno di controllare la sua posizione, i suoi gusti, le sue preferenze e, persino, influenzarle.

E tutto ciò avviene – anche se difficilmente lo si ammetterebbe – con il pieno consenso del singolo, che ha demandato la sua esistenza al cellulare.

Le preoccupazioni riguardanti la privacy online, l’uso di tecnologie di riconoscimento facciale e il potenziale abuso dei dati personali sembra siano più di interesse del legislatore europeo che di ciascuno di noi il quale, quotidianamente, regala ai gestori della rete una quantità tale di informazioni che neanche anni di spionaggio avrebbero messo nella disponibilità della CIA o della Stasi.

Nonostante le ormai, peraltro, legittime supposizioni dei vari complottisti, possiamo essere certi che non esista un regime totalitario simile a quello descritto in ‘1984’, anche se ci sono preoccupazioni relative all’autoritarismo crescente in alcune parti del mondo.

La minaccia alla democrazia e alle libertà individuali è un tema ricorrente di discussione, ma sono pochi i regimi dittatoriali in cui la censura e la violenza mettono a tacere ogni forma di dissenso.

Prova ne sono il numero di elezioni a cui possiamo partecipare e che vedono la presenza di più partiti. Possiamo anche scendere in piazza a manifestare e scrivere le nostre opinioni sui social.

Orwell descrive un mondo in cui il Partito controlla l’idioma attraverso una forma di controllo del pensiero, definita ‘Neolingua’. Anche se non abbiamo una situazione simile, ci sono dibattiti sulla manipolazione del linguaggio e sull’uso di parole o frasi specifiche per influenzare l’opinione pubblica, ma, ad onor del vero, dovremmo prestare davvero attenzione alla perdita del lessico tradizionale, al numero di parole che utilizziamo e a quelle che stanno scomparendo, magari a favore di neologismi del tutto inutili.

Ma è allo stesso modo inutile disquisire se sia più corretto usare il desueto temine oblatori invece che donatori, oppure giustificare la supposta invenzione di petaloso, che, pare, fosse stato usato nel 1695 da un botanico inglese nella sua forma latina.

Il vero problema, segnalato a più livelli, è quello dell’impoverimento del linguaggio e dell’uso di sempre meno termini, specialmente da parte di giovani generazioni non abituate a leggere.

Senza dubbio abbiamo assistito a cambiamenti nelle modalità di comunicazione influenzate dalla tecnologia e dall’utilizzo dei social, come l’uso di abbreviazioni, emoticon e linguaggio informale, che ha oggettivamente un impatto sulla ricchezza lessicale e sulla forma grammaticale delle comunicazioni.

L’impiego di abbreviazioni e acronimi nelle conversazioni online e sui social media può contribuire ad una sorta di ‘riduzione’ del vocabolario, in quanto le persone preferiscono espressioni più brevi e immediate.

Inoltre, il ricorrere sempre più pervasivo di algoritmi e dell’Intelligenza Artificiale, anche se, in teoria, dovrebbe ampliare la quantità di informazioni e di fonti disponibili, in realtà, aiuta a veicolare contenuti sempre più selezionati e dello stesso tipo sui nostri device, contribuendo, quindi, a farci focalizzare sugli stessi argomenti.

Potrebbe emergere un rischio della creazione di una sorveglianza di massa mediante tecnologie avanzate per monitorare una popolazione che accetta, volontariamente, di portare con sé gli strumenti di controllo e costantemente li aggiorna per farsi controllare?

Forse la domanda contiene già inquietanti risposte.

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Autore Gianni Dell'Aiuto

Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.