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Il labile confine tra percezione e informazione

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percezione e informazione


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Internet in generale e, in particolare, i social hanno trasformato radicalmente il modo in cui accediamo alle informazioni ma, ancora di più come le percepiamo.

Viene infatti spesso da chiedersi se la rivoluzione digitale abbia anche fatto venir meno il confine tra i due concetti.

Ciò che, comunque, possiamo dare per certo è che tra due contesti così diversi vi sia oggi un limite sempre più labile e che spinge a porsi importanti interrogativi sulla verità, sulla credibilità e sulla manipolazione delle notizie, nonché, di conseguenza, sulla loro successiva diffusione.

Il mondo online offre un’abbondanza di informazioni; addirittura, possiamo ben dire, un eccesso. Ma la sua natura decentralizzata e la mancanza di filtri tradizionali rendono difficile distinguere tra ciò che è vero e ciò che non lo è.

La rapidità con cui si diffondono sui social può portare alla condivisione di comunicazioni non verificate o addirittura false, alimentando la disinformazione e la diffusione di teorie addirittura cospiratorie.

Inoltre, la perdita generalizzata di attenzione da parte della maggioranza degli utenti social, che vengono deviati nella loro percezione, e quindi comprensione, da video, immagini, titoli accattivanti, contribuisce a far diffondere, ancora di più, dati parziali o brandelli devianti di informazione.

In tale contesto, la percezione individuale può essere facilmente plasmata da una vasta gamma di fattori non naturali, tra cui spiccano gli algoritmi utilizzati dai social media, che creano bolle informative, bias cognitivi e manipolazioni intenzionali da parte di attori malintenzionati.

Ciò può portare a una distorsione della realtà e ad una polarizzazione dell’opinione pubblica, minando la fiducia sia nelle istituzioni che nelle fonti tradizionali di informazione che, a differenza del creatore e dei diffusori di fake news, sono costretti a verificare i loro contenuti e hanno dei sistemi di controllo e vigilanza.

Il fenomeno della “post-verità”, in cui le emozioni e le credenze personali hanno maggior peso delle evidenze empiriche, è diventato sempre più diffuso nell’era digitale.

Si tende a cercare e condividere informazioni che confermano le proprie opinioni preesistenti, ignorando o respingendo quelle che le contraddicono.

Ciò alimenta la creazione di “camere dell’eco” online, dove le persone sono esposte principalmente a punti di vista simili ai propri, rinforzando le loro convinzioni e isolandole dall’opinione altrui. Impossibile, in simili contesti, anche solo avanzare dubbi.

I social, non dimentichiamolo, sono ambienti in cui ogni individuo si crea un habitat perfetto e su misura per le proprie idee e il suo modo di vivere e concepire il mondo all’interno del quale, difficilmente, permetterà l’ingresso a voci o opinioni contrarie.

Si dice che Internet e i social media abbiano permesso, tra l’altro, la democratizzazione dell’informazione, consentendo, a soggetti e gruppi, di condividere storie e prospettive altrimenti trascurate dai media tradizionali.

La possibilità di connettersi con chiunque e ovunque e di accedere ad una vasta gamma di contenuti può arricchire la nostra comprensione del mondo e promuovere il dialogo interculturale.

Ma sempre a condizione che questi nuovi diffusori di pensieri scrivano contenuti reali o, come accaduto, qualcuno crederà che i tumori si possano curare con clisteri di caffè, limonata o diete inverosimili.

Per affrontare il labile confine tra percezione e informazione, sarebbe essenziale promuovere una cultura della critica e della consapevolezza online.

Gli individui dovrebbero essere educati sulle competenze digitali necessarie per valutare in modo acuto le fonti e gli elementi online, capire i meccanismi di manipolazione ed individuare la verità attraverso una ricerca accurata e affidabile.

Eppure, fermarsi al primo risultato utile che conferma il proprio credo, sembra sia diventato uno degli sport preferiti dai navigatori medi della rete.

Dovremmo allora sperare in un comportamento etico e diligente da parte delle varie piattaforme e siti?

Sarebbe auspicabile un loro codice deontologico o, quantomeno, che assumano una maggiore responsabilità nella gestione della diffusione di contenuti falsi e dannosi.

L’implementazione di politiche di verifica dei fatti, la promozione della trasparenza e la riduzione degli algoritmi che favoriscono la polarizzazione potrebbero contribuire a mitigare gli effetti negativi della disinformazione online.

Ma in una rete non regolamentata, purtroppo, hanno maggiore visibilità e diffusione i profeti del falso e coloro che si ritengono informati quando si imbattono in un concetto aderente al loro pensiero e, ovviamente, semplice da cogliere.

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Autore Gianni Dell'Aiuto

Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.