Home Rubriche Digito, ergo sum Leggi, leggi molto, leggi di più. E quando hai finito, leggi ancora

Leggi, leggi molto, leggi di più. E quando hai finito, leggi ancora

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Avvertenza: questa sarà una lezione antipatica

Come avrai intuito, oggi parleremo di lettura. Leggere è importante, oltre che un’esperienza bella e arricchente, dal mio punto di vista, ma diventa addirittura fondamentale quando ti metti in testa di voler scrivere. La lettura, infatti, è una vera e propria attività propedeutica alla scrittura.

Quando frequentavo il liceo – non ridere, non è passato poi così tanto tempo – il mio professore d’italiano aveva due caratteristiche principali: era uno sciupafemmine, cioè faceva stragi di cuori fra le professoresse, ma soprattutto ci costringeva a consigliava di leggere dei mattoni terrificanti, roba che se non erano minimo 900 pagine manco li prendeva in considerazione. Tra parentesi, se nelle lezioni precedenti sei stato attento avrai capito che amo impiegare le figure retoriche. Questo breve squarcio nella mia adolescenza va sotto il nome di analessi, un espediente che permette di interrompere il flusso della narrazione in tempo reale per raccontare qualcosa accaduto prima.

A proposito di mattoni e di ricordi: devo introdurre un personaggio mitologico che risponde al nome di Ennio. No, non è il poeta latino, anche se potrebbe esserne coevo, ora che ci penso. Questa persona, che è mio padre, racconta sempre di come ai suoi tempi – e qui puoi anche ridere, c’erano ancora i grammofoni – si usava ballare in casa: discoteche et similaria non erano ancora state inventate.

Per anni mio padre mi ha ossessionato con la storia che c’erano solo due tipi di ballo da fare in casa: il rock and roll e il “lento”, il cosiddetto ballo della mattonella, che si chiamava così perché ci si muoveva stretti stretti senza spostarsi mai da un immaginario quadrato sul pavimento. Era quella, l’unica occasione utile per stringere il/la tuo/a bello/a. Anche perché di solito il padre dei festeggiati, DJ antesignano, oltre a scegliere i dischi aveva il compito di scoraggiare eventuali effusioni amorose con bastone contundente annesso.

Assodato che non sono sbronzo, perché ti sto dicendo tutte queste cose?

La risposta è una metafora: lettura e scrittura sono due amanti, e possono amarsi solo se imparano a danzare insieme. Su questo concetto torniamo subito. Prima, però, voglio darti uno di quei precetti che devi tatuarti a fuoco sul braccio:

Se volete fare gli scrittori ci sono due esercizi fondamentali: leggere molto e scrivere molto. Non conosco stratagemmi per aggirare questa realtà, non conosco scorciatoie.

Sì, sembra la scoperta dell’acqua calda e ora forse starai pensando: “William, basta con queste frasi fatte”. Sappi allora che questa non è una mia frase. L’ha scritto Stephen King nel suo celeberrimo ‘On writing’, una vera e propria Bibbia per chi approccia alla scrittura creativa. Che il Re ti piaccia o meno, si tratta di uno dei più rinomati scrittori contemporanei. Per cui se anche lui è dell’avviso che leggere sia vitale, forse puoi rassegnarti all’idea che sia vero.

La prima conclusione della lezione odierna è questa: se non ami leggere, o conosci qualcuno che non ama farlo, il problema non è la persona in sé. Forse finora ha solo sbagliato approccio alla lettura. Oppure letto i libri sbagliati.

C’è un errore di fondo nel nostro sistema scolastico. Troppo spesso si impongono delle scelte agli studenti, i quali subiscono queste decisioni in modo passivo. Non è nemmeno una questione di insegnanti: le scelte sono imposte dall’alto, ossia dalla tradizione o dai programmi ministeriali. Manzoni? Bisogna leggerlo, diamine! Poi il Manzoni lo riabiliteremo, non ti preoccupare: mi serviva il nome di un autore che susciti a pelle un odio viscerale, figlio dei nostri ricordi scolastici.

Limitandoci alla fattispecie della lettura, gli studenti spesso si sentono obbligati a leggere. E se la vivi come un’imposizione, qualsiasi cosa finisce per andarti in odio. Si crea così un circolo vizioso per effetto del quale si tende a confondere il proprio diritto alla lettura con l’obbligo di leggere.

Invece, bisognerebbe leggere quello che ci va, quando ci va e come ci va. L’approccio alla lettura dovrebbe essere simile a questo corso, che non è imposto come una costrizione, ma invita l’allievo a scegliere di investire del tempo nella propria crescita personale. Leggere per il piacere di leggere, scrivere per il piacere di scrivere. Potrai diventare un autore di best-seller oppure no, ma se ti entrerà in testa il messaggio che lettura e scrittura sono complementari, come due amanti che si abbracciano, come lo yin e lo yang – ciascuno esiste in funzione dell’altro – allora questo corso avrà raggiunto il suo scopo principale.

Un’altra cosa. Io mi arrabbio quando sento che in Italia si legge poco. Non è vero.

Io adoro andare in biblioteca. Mi piace andarci, respirare il piccolo mondo che si muove intorno a me, un mondo abitato da universitari che preparano il prossimo esame, alunni delle superiori che preferiscono studiare lì anziché a casa, gruppi di lettura spontanei, mamme che accompagnano i loro bimbi delle elementari a scegliere dei libretti in prestito. C’è chi non ama leggere, è vero, ma ci sono anche tantissime persone che amano farlo e che amano scegliere cosa leggere. È questione di libertà, se ci pensi.

Pennac, che non è il primo fesso, nel suo saggio ‘Come un romanzo’ affronta proprio questo problema e cerca di aiutare i giovani a trovare l’amore per la lettura. Per inciso una frase di questa sua opera recita “i libri come amici, non come mattoni”. Il libro in questione offre una serie di consigli diretti a chi ha il compito di educare alla lettura: i genitori che leggono le favolette ai figli, ma anche gli insegnanti che hanno il dovere di evitare i soliti testi monotoni e obbligatori.

Anzi, Pennac – e se non è chiaro, questo sì che è un testo che ti consiglio – invita i giovani a ribellarsi e arriva a compilare un decalogo che voglio riproporre qui per intero:

In fatto di lettura, noi lettori ci accordiamo tutti i diritti, a cominciare da quelli negati ai giovani che affermiamo di voler iniziare alla lettura:

1. Il diritto di non leggere
2. Il diritto di saltare le pagine
3. Il diritto di non finire il libro
4. Il diritto di rileggere
5. Il diritto di leggere qualsiasi cosa
6. Il diritto al bovarismo
7. Il diritto di leggere ovunque
8. Il diritto di spizzicare
9. Il diritto di leggere ad alta voce
10. Il diritto di tacere

Questa “tavola dei comandamenti” si trova all’ingresso della biblioteca civica della cittadina in cui vivo affinché tutti, entrando, possano vederla.

Avrai a questo punto compreso le mie idee in merito. Chi odia la lettura, in genere lo fa perché è stato addestrato a leggere male, spesso attraverso l’increscioso metodo della costrizione. Un po’ come uno che detesta il mare perché da piccolo l’istruttore di nuoto pretendeva di insegnargli la tecnica prima ancora che la naturalezza dello stare in acqua.

E, per salvare la memoria del mio vecchio prof, i mattoni che avevo evitato di leggere in gioventù ricorrendo ai Bignami li ho poi letti da adulto. Erano Dostoevskij, Calvino, Carlo Cassola, la Yourcenar, Svevo e tanti altri. Ho imparato molto da loro, ma lui me li aveva fatti detestare. Invece di suggerire quei libri e magari spiegare perché avrei potuto trovarli interessanti, si limitò a dire: «Se non li leggi ti becchi un impreparato.»

Chiusa la parentesi autobiografica. Fin qui abbiamo parlato di leggere in quanto lettore. Perché invece è importante leggere per scrivere? È diverso leggere in quanto scrittore? La lettura di ciò che scrivono gli altri può migliorare il nostro stile?

A tali domande risponde l’ultima parte di questa luuuuunga lezione. Per come la vedo io, la scrittura è comunicazione. Attenzione, ho detto “comunicazione” e non “informazione”. Informare è, stringi stringi, passare delle notizie, dei freddi dati da un soggetto all’altro. Se mando un WhatsApp a mia moglie dicendo: «Arrivo mezz’ora più tardi» non sto comunicando niente, la sto informando di un ritardo. Comunicare invece è “mettere in comune”, “accomunare più persone con un’idea o un pensiero”. E, cosa ancora più rilevante, presuppone uno scambio fra più soggetti, un’interazione. Ritengo che la scrittura sia comunicazione proprio perché somiglia a una danza fra l’autore e il lettore. E qui torniamo alla mattonella di mio padre!

Vedi, sovente ragioniamo per stereotipi. Ad esempio pensiamo che lo scrittore sia gobbo e sfigato – nella versione leopardiana – oppure un poco di buono avvezzo all’uso di chissà quali sostanze – variante bohemién. Chissà che idea ti sarai fatto di me! Allo stesso modo pensiamo che esistano “i lettori”, inteso come blocco unico e omologato, un ammasso informe di pensieri e gusti dettati dalla società. Niente di più sbagliato. Sempre più convinto che ciascuno di noi sia un essere unico e irripetibile, credo parimenti che ognuno sia un lettore diverso dagli altri.

Come scrittore so che non posso scrivere qualcosa che piacerà a tutti, e a tutti allo stesso modo. È folle solo pensarlo. Cerco allora di entrare in simbiosi con un lettore ipotetico. Ciò significa mettersi dall’altra parte del foglio e provare a immaginare le reazioni del lettore. Ti parlavo di danzare. In un ballo si danza in coppia, ed è fondamentale muoversi allo stesso ritmo. È necessario cercare di anticipare i passi, intuire le emozioni dell’altro soggetto che sta ballando insieme a te. Lo scrittore deve essere prima di tutto lettore, mettersi nei panni di chi legge perché altrimenti finisce per trasmettere una serie infinita di frasi che non entreranno nel cuore dell’altro.

Questo lo può fare solo chi è stato ed è un buon lettore. Tutto ciò va sotto il nome di empatia.  Mentre sto scrivendo queste parole sto provando a fingere di essere te. Se sono William mentre scrivo e mentre leggo, posso dire: «Ammazza quanto so’ bravo!» ma poi tu straccerai la lezione. Come si fa a farti piacere la lezione, allora? Come si fa a scrivere qualcosa che resti impresso in chi legge?

Il segreto lo conosci già, ma forse non ne sei consapevole. Lo hai già fatto. Pensa a Facebook, o un altro social. Quando si scrive uno stato, o un tweet, in genere si ha qualcuno in mente. Un destinatario immaginario. Succede per esempio quando scrivi una frase carina senza “taggare” – termine orribile – nessuno, ma sai benissimo che lui/lei la leggerà e capirà fosse rivolta a lui/lei. Per questo motivo dico spesso che tutti i like sono uguali, ma alcuni like sono più uguali degli altri. Orwell mi perdonerà.

Ma facciamo un esempio più classico. Quando a scuola ci assegnavano un tema, esprimevamo le nostre idee ma al contempo cercavamo di “fare bella figura”, di impressionare l’insegnante. In pratica, la nostra testolina si immedesimava in chi avrebbe letto il tema e si poneva mille domande: al prof piacerà? Forse questa parola è un po’ troppo cruda, devo cercare un sinonimo? Se piazzo una citazione di Seneca, penserà che sono uno che legge molto o che l’ho scopiazzata da qualche parte?

Quando si scrive, si scrive per gli altri. Allora bisogna sapersi calare nei panni di chi leggerà. La buona scrittura è in fondo cercare l’equilibrio fra essere se stessi e trovare la chiave per entrare nella testa dei lettori. Leggere ti aiuta in questo, è determinante. Non è un caso se i grandi scrittori del passato, i cosiddetti classici, riscuotano tuttora tanto successo. Se ancora oggi leggiamo Petrarca e sappiamo qualcosa del suo pensiero, forse era proprio bravo a comunicare se stesso attraverso la scrittura.

In ultimo, ma non meno interessante, leggere le opere di scrittori bravi – occhio, non ho scritto “famosi” – ci aiuta a diventare più bravi noi stessi nella scrittura. Dai e ridai, leggi e rileggi, certe strutture mentali, certe tecniche, determinati stili e modalità di costruire una storia iniziano a suonarci familiari. Le facciamo nostre. Per osmosi, le assimiliamo. Ma non è una copia, semmai sono spunti che possiamo prendere e poi rielaborare, arricchire secondo il nostro gusto, secondo il progetto di crescita che vogliamo intraprendere.

Esercizio.

Pensa a un amico, amica, un conoscente o un parente. Magari qualcuno che non senti da parecchio. Chiamalo e, senza dargli troppe spiegazioni, chiedigli di consigliarti un libro. Uno che sia significativo per lui/lei. Se questo libro non l’hai letto, bene, altrimenti fattene consigliare un altro. E poi leggilo.

Non è un’esercitazione a breve termine, ma quando avrai finito compila un elenco di particolari che ti hanno colpito, e che potresti decidere di sfruttare nella scrittura del tuo romanzo. Prova infine a chiedere all’amico che te lo aveva consigliato i motivi del suo amore per quel testo.

Nota bene

Nessun professore o genitore è stato maltrattato per la stesura di questa lezione.

Alla prossima!!!

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Autore William Silvestri

Autore, formatore e direttore editoriale di Argento Vivo Edizioni. Prima di entrare nel mondo dell'editoria ha pubblicato i romanzi 'Divina Mente', 2011, 'Serial Kinder', 2015, e 'Ci siete mai stati a quel paese?', 2017, 'Io e la mia scimmia', 2019, oltre al saggio esoterico 'Chi ha paura del Serpente?', 2015.