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Il comportamento dei personaggi

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Il comportamento dei personaggi


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Da oggi cominceremo a entrare nel personaggio. Quando parlo di “personaggio” sappi che intendo in realtà “nei personaggi”, non uno in particolare. Il fatto è che – non mi stancherò mai di dirlo – ci sono tante analogie fra la letteratura, il teatro e il cinema.

Specie per quanto riguarda i personaggi, che in tutti quei casi sono gli “attori” di una storia: scritta nero su bianco, o su un palcoscenico, oppure dietro a una macchina da presa. Con la solita differenza che ormai dovresti conoscere: scrivere è molto più difficile, perché tutto – la presenza fisica degli attori, la loro mimica facciale, la loro voce, gli oggetti di scena, la fotografia e la scenografia – dipende al 100% dalle parole che scriverai. Le tue parole saranno gli occhi, le orecchie, il naso, la bocca e le mani di chi legge.

Ti dirò subito una cosa: quello che hai fatto finora, e lo hai fatto bene, è facile. Ma il difficile viene ora, perché scrivere non è descrivere. Le descrizioni sono importanti, ma con un po’ di pratica e tanto spirito di osservazione chiunque può essere in grado di farle.

La faccenda si complica quando devi scrivere, in particolare scrivere una storia. Ma non per la questione che forse immagini, cioè di trovare la storia “giusta” e saperla raccontare. Questo è importante, certo, ma mai quanto costruire dei personaggi reali.

Quante volte hai visto un film che aveva una trama a dir poco noiosa, ma l’interpretazione di questo o di quell’attore ti ha ripagato delle due ore perse a guardare il film?
La questione è proprio in questi termini: se la tua storia è debole, ma hai creato dei personaggi di spessore, il lettore apprezzerà il libro; viceversa puoi architettare la miglior trama del mondo: ma se i personaggi sono piatti, avrai soltanto sprecato un’ottima storia. In un certo senso la storia, ricordalo bene, la raccontano i personaggi.

Come si fa a costruire un personaggio che sia questo portento che ti sto descrivendo?
La ricetta è una sola ed è la stessa cui Stephen King accenna a proposito del mestiere di scrivere nel suo saggio ‘On writing’: leggere molto, e scrivere molto. Questo perché leggendo molto – per darti un’idea del molto: almeno un libro a settimana. Anche se è poco – prima o poi scattano nella tua testolina dei meccanismi che impari a riconoscere: ti accorgi che quel gesto, quell’azione, quel comportamento di quel determinato personaggio è stato proprio voluto dall’autore e ben studiato a tavolino.

Ricorda che se è vero che la scrittura è un fluire incessante, un liberare l’estro creativo, questo non vuol dire che sia qualcosa di casuale. Non c’è niente di casuale nello scrivere. Immagina di essere a teatro, anzi a un balletto. C’è una ballerina che è di una spanna più brava delle altre, è una libellula, non hai mai visto tanta perfezione nel ballo. Hai idea però di quanto lavoro ci sia dietro quell’esibizione? Quanti pomeriggi in cui quella ragazza non ha fatto altro che ripetere, annoiarsi, ripetere e annoiarsi, e poi ancora ripetere e annoiarsi ripetendo sempre gli stessi movimenti? La stessa cosa vale per il calciatore che trascorre anni a calciare la palla contro un muro, colpendola in un certo modo. Poi una domenica segna un gol colpendo il pallone proprio in quel modo.

Il discorso vale per la scrittura, come per ogni altro ambito. Il romanzo che scriverai, sarà il frutto e il figlio delle ore, dei mesi, degli anni che hai dedicato a migliorare il tuo livello di scrittura.

Torniamo ai personaggi. Leggere molto e scrivere molto sono le due regole auree, ma non è che poi finisca lì. Ci sono delle tecniche, degli approcci alla costruzione del personaggio che puoi imparare. E qui entro in gioco io. Prima di tutto devi sapere che un personaggio, qualsiasi personaggio di qualsiasi libro, deve avere SEMPRE due caratteristiche:

  • Verosimiglianza;
  • Coerenza.

Cosa significano questi paroloni? In breve, che qualunque personaggio deve essere verosimile, cioè credibile, e mantenere un atteggiamento coerente lungo l’arco della storia.

Delle due, la caratteristica più facile da riprodurre è la verosimiglianza. Attenzione che qui non parlo di errori grossolani, come un vassallo del Medioevo che chiama la moglie al cellulare: la plausibilità di un personaggio si gioca su un terreno più infido, più sottile.
I bravi lettori spaccano il capello in quattro: se il tuo personaggio è un avvocato non può confondere l’usucapione con la prescrizione; se stai presentando una nonna settantacinquenne non può scrivere un SMS in bimbominkiese: “ke fai? Io sn andata a lvr ma nn mi sn sentita bn”.

La credibilità si vede nei piccoli dettagli, come il diavolo. Facciamo un esempio. Immagina stia leggendo un racconto in cui a un certo punto la protagonista, una bella ragazza, va al mercato rionale e si avvicina al banco del pesce. Le senti le urla degli ambulanti? Lo senti il tanfo dell’acqua di pesce nelle pozzanghere putride accanto alla pescheria? Le vedi le foglie di lattuga disseminate qua e là per terra? Lo senti quello che vende le mutande “solo roba italiana” imprecare contro il venditore di caciotte perché con il vento che c’è l’odore dei formaggi sta mandando via tutti i clienti? Ecco. Arriva la ragazza e chiede del pescespada. Il pescivendolo, mentre la serve, per far colpo su di lei inizia a citare una poesia di Catullo. In latino. ‘Vivamus, mea Lesbia, atque amamus’. Tutto molto bello, tutto molto romantico. Tutto molto poco credibile! Certo, potrebbe essere che in tempi di crisi quello lì sia un professore di latino con un debole per le ragazze giovani, il quale per necessità si sia messo dietro a un banco dei mercati generali.

Invece, stando attenti durante la scrittura e rapportandosi sempre alla realtà – ricordi la mia vecchia lezione sull’importanza di uscire, di vivere? -, non è difficile plasmare dei personaggi verosimili.

Al contrario, la coerenza è proprio una brutta bestia. Cosa significa, anzitutto? Beh, in soldoni vuol dire che il personaggio mantiene un atteggiamento coerente lungo tutta la storia. È fedele a se stesso.

Altro esempio. Immagina che un autore debba presentare al suo pubblico uno dei personaggi, che è un grande fifone. Uno dei più grandi fifoni della storia, uno che ha paura pure della sua ombra. Lo scrittore alle prime armi dice:

Giorgio era un grandissimo fifone. Un codardo di prima categoria, uno che aveva paura di tutto. Una volta, da bambino, dovette intervenire sua sorella (che era più piccola) per evitare che i compagni di scuola continuassero a prenderlo in giro.

Cosa c’è di stonato in questa presentazione del personaggio? Semplice: l’autore ha dichiarato che Giorgio è un fifone. Poi, a sostegno della sua tesi, ha raccontato un breve aneddoto della sua infanzia. Ma adesso leggi qua:

Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo; e girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse.

Che succede qui invece? Abbiamo un personaggio non meglio identificato che sembra preoccupato, o spaventato. Da qualcosa, o da qualcuno. Mentre cammina, di tanto in tanto si gira all’indietro per timore che arrivi “qualcheduno”. Non lo conosciamo ancora bene, ma ti assicuro che questo personaggio è davvero un gran codardo e il suo autore ce lo sta dimostrando fin dai suoi primissimi gesti. Questo personaggio di chiama Don Abbondio, della cui viltà non penso ci sia da sindacare.

È il famoso show, don’t tell: nel primo caso, inventato su due piedi, ho dichiarato che Giorgio è un fifone, ma non l’ho dimostrato; nel secondo, Manzoni ci mostra segni della codardia del personaggio fin da subito. E, cosa più importante, Don Abbondio resta fifone per tutta la durata del romanzo. Questa sì, che è chiama coerenza!

Tuttavia, ti invito a prestare attenzione a una criticità: la coerenza non esclude l’evoluzione del personaggio.

Amleto è dubbioso per natura, ma poi prende le sue decisioni; Achille è orgoglioso, però poi va a combattere contro i troiani. Se ricordi, in passato parlammo del viaggio dell’eroe come tema dominante di tutte le storie di successo. Molto spesso questo viaggio è metaforico: i protagonisti lo compiono dentro di sé. Evolvono. Pur mantenendo una certa coerenza. Ed è proprio in questo delicato equilibrio fra coerenza ed evoluzione personale, crescita, che si gioca la partita della consistenza dei personaggi.

Ma torniamo per un momento alle descrizioni. Senti cosa dice Camilleri:

Il personaggio non lo descrivo, come sia lui si desume dopo, da come ha parlato. Questo è un modo di scrivere assolutamente teatrale. Ecco perché i dialoghi hanno un certo valore nei miei libri.

Si sente sempre più spesso la frase: ogni personaggio deve avere una sua voce. Ed è vero, è un comandamento che devi inciderti sottopelle. Significa che ogni personaggio deve avere una maniera di parlare e agire diversa da quella di tutti gli altri personaggi di quel libro.

Spesso gli autori alle prime armi tendono a omologare il linguaggio dei personaggi: parlano cioè tutti allo stesso modo, magari anche in maniera ineccepibile, e quindi poco aderente alla realtà. Ciò comporta un rischio che devi imparare a riconoscere e a evitare con tutte le tue forze: quello di trasformare i dialoghi in un monologo. Te ne accorgi perché, leggendo o rileggendo, non riesci a capire chi ha detto cosa. Perché? Perché hanno tutti la stessa voce.

Ricorda che per “voce” intendo non solo il modo di parlare, ma anche le azioni di un personaggio. In una parola, il suo comportamento. Nel comportamento di un personaggio si riflette tutta la sua personalità, tutto il suo carattere. Anche nelle persone vere: noi non siamo il nostro corpo, ma il modo in cui ci comportiamo.

Nel comportamento dei personaggi rientrano tutti i livelli descrittivi che abbiamo studiato nelle lezioni passate: la descrizione antropologica, ad esempio, cioè le interazioni di Tizio con gli altri; la descrizione sociologica o culturale, per effetto delle quali il pescivendolo difficilmente citerà Catullo; la descrizione psicologica, quella ideologica… e perfino lo strato più superficiale, cioè la descrizione fisiognomica: ricorda che il linguaggio del corpo spesso parla più di quello verbale. Se per strada incontri un pezzo d’uomo tutto tatuato, con le lenti a specchio, i capelli lunghi e il giubbino di pelle con le borchie, sta’ sicuro che da qualche parte c’è la sua Harley Davidson.

Alla prossima!

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Autore William Silvestri

Autore, formatore e direttore editoriale di Argento Vivo Edizioni. Prima di entrare nel mondo dell'editoria ha pubblicato i romanzi 'Divina Mente', 2011, 'Serial Kinder', 2015, e 'Ci siete mai stati a quel paese?', 2017, 'Io e la mia scimmia', 2019, oltre al saggio esoterico 'Chi ha paura del Serpente?', 2015.