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La fabula e l’intreccio

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La fabula e l’intreccio


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Comincia oggi la terza parte del percorso, che s’intitola ‘Scrivere narrativa’ e ha come sottotitolo “I ferri del mestiere”. Perché è questo ciò che ti fornirò nelle prossime lezioni: suggerimenti utili a migliorare il tuo livello di scrittura, frutto del percorso professionale che ho intrapreso e della mia esperienza in questo campo. Tecniche con le quali renderai migliore il romanzo che stai scrivendo.

Spesso torno sull’importanza di un verbo che dovrebbe essere come un mantra per lo scrittore: scegliere. Nella scrittura compiamo delle scelte e, così come nella vita, queste dovrebbero essere flessibili. Chi scrive deve essere libero di ripensare una certa decisione, se dovesse trovarla sbagliata, adattandola a eventuali nuove esigenze emerse durante il suo lavoro.

Esistono però alcune scelte fondamentali quando si approccia alla stesura di una nuova opera e queste, una volta che si è iniziato a scrivere, sono quali impossibili da modificare. Sono come dei tatuaggi, dei “marchi” dell’opera che stai realizzando, per cui è bene ponderare prima di prendere una decisione irreversibile.

La prima scelta che un autore è chiamato a fare riguarda la dicotomia fabula / intreccio. Vediamo di cosa si tratta:

  • Nella fabula gli eventi della storia sono raccontati rispettando l’ordine logico e cronologico;
  • Nell’intreccio è l’autore a stabilire in quale ordine verranno narrati i vari elementi, mescolandoli a piacimento.

La distinzione verte sull’ordine in cui intendiamo procedere durante la narrazione della nostra storia. Domanda spontanea: qual è la scelta migliore? Ti anticipo la risposta e dopo l’approfondiremo. Dipende. Ma vediamo qualche esempio.

Fabula è termine che anche per assonanza ci ricorda la parola “favola”, infatti questo schema narrativo trae origine proprio dalle favole degli antichi e, prima ancora, dalla narrazione orale. Hai mai raccontato una favola a un bambino? Che so, Cappuccetto rosso… in tali circostanze siamo portati a esporre i fatti in maniera cronologica, sequenziale: la mamma incarica Cappuccetto di portare il cestino alla nonna, Cappuccetto va nel bosco, ecc.. Si tratta dunque di storie raccontate utilizzando la scelta narratologica della fabula, anche se non ce ne rendiamo conto perché la fabula è il naturale modo di raccontare le cose. Fa parte delle conoscenze tramandate da uomo a uomo, è il modello narrativo primitivo e, tutto sommato, ancora efficace.

Se ricordi, in precedenza ti avevo parlato delle fasi fondamentali di ogni storia:

  1. Rottura dell’equilibrio iniziale;
  2. Evoluzione;
  3. Climax;
  4. Ripristino dell’equilibrio.

La fabula rispetta queste fasi nell’ordine esatto che vedi qui sopra. Di contro l’intreccio, come dice la parola stessa, ci fa pensare a qualcosa che si annodi su se stesso, come le trecce appunto, o come la trama di un tessuto. Questo schema narratologico complica l’esposizione dei fatti e lo fa di proposito. Perché questa complicazione? Per aggiungere pathos, per creare un effetto suspense. Pensa ai gialli, che di norma si aprono con la presentazione del delitto – quindi già nel pieno della storia – senza alcun preambolo o introduzione. Dopodiché l’autore ci porta avanti e indietro nel tempo della narrazione, ricostruendo il “prima” e raccontando il “dopo”, cioè gli eventi conseguenti alla scoperta del crimine.

L’intreccio può rispettare le quattro fasi nell’ordine corretto come può mescolarle. Non è raro trovare storie che inizino dal climax o addirittura con la fase di ripristino dell’equilibrio, dalla quale poi parte una narrazione a ritroso – spesso tramite i ricordi del protagonista. È bene però sottolineare che, anche rispettando le quattro fasi nell’ordine classico, l’intreccio ci permette di mixare i singoli avvenimenti che li compongono. Proviamo con un esempio e, per comodità, citerò un romanzo che per la sua diffusione ti aiuterà a capire cosa intendo. Quel polpettone de I promessi sposi.

La situazione raccontata è lineare. C’è un equilibrio iniziale che viene rotto, “Questo matrimonio non s’ha da fare”, la normale evoluzione degli eventi, il climax, il rapimento di Lucia e lo scoppio della peste, e, infine, il ripristino dell’equilibrio. Tuttavia il Manzoni, che fesso non era, per rinsaporire una storia un po’ stantia introduce una serie di “salti” logici e temporali, spostando il centro della narrazione su situazioni avvenute in passato, anticipazioni di eventi futuri e anche digressioni come, ad esempio, la storia della monaca di Monza che può essere considerata a tutti gli effetti un romanzo nel romanzo.

Un altro esempio celebre in letteratura è l’Odissea che sì, comincia con la partenza degli Achei dopo la distruzione di Troia, ma presenta libri in cui la narrazione ripercorre gli eventi al contrario – ad esempio quando Ulisse viene accolto dal re Alcinoo e, per ringraziarlo, gli racconta le sue peripezie. In questo caso il racconto dei ricordi di Ulisse costituiscono un espediente narrativo e consentono di intrecciare gli eventi in tempo reale a elementi avvenuti nel passato – di un’ipotetica linea temporale – ma presentati come nuovi.

Lo stesso Omero – sorvolo volutamente sulla questione omerica e prendo per buona l’accezione predominante che considera il poeta autore di entrambi i capolavori – fece ricorso all’intreccio anche nell’Iliade, la quale inizia con l’ira funesta di Achille che ha appena litigato con Agamennone, ma poi l’autore compie un salto all’indietro di una decina di giorni per raccontare quel che era successo prima e le cause del risentimento dell’eroe, ritornando infine “in diretta” per riprendere la narrazione del proseguimento della guerra.

Tra l’altro, breve parentesi, la cosa mi fa sorridere perché Omero è visto, a ragione, come il più grande esponente della tradizione orale greca. Eppure, se è vero che la fabula ha origine ai primordi dell’umanità proprio con la diffusione orale delle opere, come abbiamo visto nell’Iliade e nell’Odissea vi è un uso abbondante di salti narratologici che ci fanno concludere come queste opere siano fra i primissimi esempi di intreccio nella storia della letteratura.

Ora, devi sapere che esiste un termine specifico per definire quelli che io prima ho chiamato “salti temporali”: anacronia. Le anacronie sono discrepanze fra l’ordine degli eventi e la loro successione nella storia. In pratica quando in un romanzo la narrazione live si interrompe per raccontare un evento occorso in un tempo differente, passato o futuro, si ha una anacronia.

Un’anacronia può essere:

  • eterodiegetica quando l’evento introdotto non c’entra con la narrazione principale, es. la storia della monaca di Monza;
  • omodiegetica quando l’elemento raccontato rientra nel tema principale della storia, es. i ricordi di Ulisse.

Un’altra distinzione fondamentale è fra le anacronie completive, che completano una lacuna del racconto, es. quando nell’Iliade scopriamo il motivo del risentimento di Achille, e quelle ripetitive che invece riavvolgono il passato per fornirgli un nuovo significato, portando il lettore all’attenzione su un particolare già narrato e che ora assume un senso diverso. Ok, vuoi un esempio e il primo che mi viene in mente si trova in Alta fedeltà di Nick Hornby, quando il protagonista dapprima afferma di aver lasciato la fidanzata incinta, e noi lettori siamo portati a considerarlo un bastardo, mentre più avanti nella storia è lo stesso protagonista a riprendere la narrazione di quell’episodio, rivelando che al momento della separazione lui non sapeva della gravidanza perché lei gliel’aveva tenuta nascosta.

Detto che l’intreccio è uno strumento col quale puoi mescolare a piacimento gli elementi della storia, e che questo mixing produce delle anacronie, ci resta da sapere quali siano le tecniche per realizzare, in concreto, questi salti. Siamo cioè arrivati ai ferri del mestiere di questa lezione che sono due: analessieprolessi.

Se hai prestato attenzione nei mesi precedenti, avrai riconosciuto il termine “analessi” perché l’ho adoperato varie volte nel corso delle nostre lezioni. La prolessi è il suo contrario. Ma vediamo bene cosa siano. Immagina di possedere una macchina del tempo in grado di spostare la narrazione in due direzioni. L’analessi ti porta indietro nel tempo; la prolessi ti proietta in avanti.

Fra le due figure retoriche è l’analessi quella d’uso più frequente, e anche quella più semplice da realizzare. Nel cinema l’analessi equivale alla tecnica del flashback e permette appunto di fermare la narrazione in tempo reale raccontando qualcosa accaduto in passato: vedi il già citato esempio di Ulisse. La letteratura è piena di analessi ed esistono addirittura romanzi progettati come un’analessi continua: pensa a Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Márquez, il quale inizia col protagonista che, di fronte a un plotone di esecuzione, ripercorre tutta la sua vita.

Come detto la prolessi è l’opposto dell’analessi e permette di compiere un viaggio in avanti nel tempo, fornendo cioè un’anticipazione delle vicende. Nel cinema il suo equivalente si chiama flashforward. Uno degli esempi più noti di prolessi è contenuto nel racconto La morte di Ivan Il’ič di Lev Tolstoj, il cui primo capitolo si apre annunciando che il protagonista morirà. Dopodiché la storia segue la sua normale evoluzione e, infine, nell’epilogo il protagonista muore per davvero.

Altri esempi di prolessi sono presenti in quel furbetto del Manzoni – l’ho già detto che era un furbetto? – e se è per questo anche in poesia: Leopardi era uno dei più innamorati di questa tecnica. Ma gli anche scrittori contemporanei, ad esempio Stephen King, ne fanno un utilizzo abbondante.

Quello che possiamo dire per concludere è questo: di norma, la prolessi crea un’aspettativa nel lettore, mentre l’analessi ha una funzione più esplicativa in quanto viene impiegata per spiegare altri avvenimenti del racconto o per completare la narrazione rispondendo a dei perché.

È assai probabile che anche tu, nel romanzo che stai scrivendo, abbia fatto o farai uso di qualche analessi perché si tratta di uno strumento che usiamo tutti, anche in modo inconsapevole. La vera sfida è introdurre nella narrazione le prolessi. Non è detto che tu debba farlo per forza, ma se ci riesci l’effetto – attaccamento dei lettori alla storia è pressoché garantito.

Anche per oggi abbiamo finito. Ti do appuntamento alla prossima lezione, nella quale parleremo di un’altra decisione fondamentale che gli scrittori son chiamati a compiere: la scelta dell’Io narrante. E questa mia anticipazione, se non si è capito, è una piccola prolessi. Sta’ a vedere che anch’io sono un furbetto come il Manzoni.

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Autore William Silvestri

Autore, formatore e direttore editoriale di Argento Vivo Edizioni. Prima di entrare nel mondo dell'editoria ha pubblicato i romanzi 'Divina Mente', 2011, 'Serial Kinder', 2015, e 'Ci siete mai stati a quel paese?', 2017, 'Io e la mia scimmia', 2019, oltre al saggio esoterico 'Chi ha paura del Serpente?', 2015.