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Fenesta ca lucive

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Autore: Anonimo – Vincenzo Bellini
Titolo: Fenesta ca lucive
Anno di pubblicazione: metà 1700

È una romanza di autore anonimo. Il testo è in osco – napoletano, di una bellezza unica, preromantica, formata da cinque sestine in endecasillabi, in rima alternata, la musica è di prima qualità, ricorda la scuola napoletana di fine 1700, composta da un allievo di Nicolò Zingarelli, Maestro del Conservatorio di San Pietro a Maiella, attribuita a Vincenzo Bellini.

Il soggetto è ancora attuale “nell’essenza”, anche se, vista in senso “letterale”, sembra una storia lontana nel tempo.

È stata scritta da un cantastorie, forse il protagonista stesso, a metà 1500, narrata da due personaggi, l’innamorato che ritorna e la sorella che racconta la triste morte della “Nennella”, che in napoletano significa “Mia dolce cara”, “Amore mio”, “Cuore del mio cuore”, ecc., ma non “bambina”, traduzione “letterale”.

Godiamoci questa bella romanza, canzone, poesia, o cos’altro ritenete che sia ‘Fenesta ca lucive’, chiunque sia l’autore, e i suoi versi struggenti e la musica divina.

Nella mia traduzione ho cercato di mantenere la forma ed “il senso” al testo originario.

Fenesta ca lucive Finestra che risplendevi
Fenesta ca lucive e mo nun luce…
sign’è ca nénna mia stace malata…
S’affaccia la surella e che me dice?
“Nennélla toja è morta e s’è atterrata…
Chiagneva sempe ca durmeva sola,
mo dorme co’ li muorte accompagnata…”
Finestra che splendeva, adesso è spenta…
È un segno che la mia bella è ammalata….
S’affaccia la sorella e cosa mi dice!?
“La tua cara Amata è morta e sotterrata…
Piangeva sempre perché dormiva da sola,
ora dorme in compagnia degli altri morti”.
– Cara sorella mia, che me dicite?
Cara sorella mia che me contate?
“Guarde ‘ncielo si nun me credite.”
“Purzi’ li stelle stanno appassiunate.”
“È morta nenna vosta, ah, si chiagnite,
“Ca quanto v’aggio ditto e’ beritate!
– Cara sorella mia, ma cosa dite?
Cara sorella mia, cosa mi raccontate?
“Guarda in cielo, se non mi credete
persino le stelle sono rattristate!
È morta la vostra bella, oh, sì piangete!
Quanto vi ho detto è la cruda verità!
“Jate a la Chiesia e la vedite pure,
Aprite lo tavuto e che trovate?”
Da chella vocca ca n’ascéano sciure,
mo n’esceno li vierme… Oh! che piatate!
Zi’ parrocchiano mio, ábbece cura:
na lampa sempe tienece allummata…
“Recatevi in Chiesa e controllate pure,
aprite la bara, e cosa troverete?”
Da quella bocca da cui uscivano i fiori,
ora escono solo vermi… Oh! Che strazio!
O buon Curato mio, abbi tanta cura: per Lei tieni sempre accesa una lampada!
Ah! nenna mia, si’ morta, puvurella!
Chill’uocchie chiuse nun l’arape maje!
Ma ancora all’uocchie mieje tu para bella
Ca sempe t’aggio amata e mmo cchiu’ assaje!
Potesse a lo mmacaro mori’ priesto
E m’atterrasse a lato a tte, nennella!
Ah! Povera cara mia, morta così per me!
Questi occhi chiusi non li riapri mai!
Ma agli occhi miei tu sei sempre bella,
perché t’ho sempre amata ed ora t’amo ancor di più!
Magari potessi io morire al più presto
ed essere sotterrato accanto a te, Amore!
Addio fenesta, rèstate ‘nzerrata
ca nénna mia mo nun se pò affacciare…
Io cchiù nun passarraggio pe’ ‘sta strata:
vaco a lo camposanto a passíare!
‘Nzino a lo juorno ca la morte ‘ngrata,
mme face nénna mia ire a trovare!…
Addio finestra, restatene, pure, chiusa
ora che il mio Amore non si affaccerà più!
Mai più io passerò per questa via:
piuttosto vado a passeggiare al cimitero!
Fino a quel giorno che la morte ingrata
mi farà ricongiungere alla mia cara.

Commento

Il tema della canzone è il ritorno di un giovane innamorato che scopre la morte della sua amata. Il testo riportato è della seconda metà del 1700, di anonimo, salvo l’ultima strofa, che è posteriore al 1806.

La musica è databile tra il 1822 e 1825 ed attribuita a Vincenzo Bellini, che l’ha composta ascoltando la romanza eseguita alla moda dei trovatori.

Rimando il resto alle considerazioni, commentiamo i versi con la traduzione all’impronta.

L’inizio ci porta subito nel vicolo dove il protagonista vede la finestra spenta e pensa

Feneste che lucive e mo nun luce…
Sign’e’ ca nenna mia stace malata?

Finestra che splendeva sempre ed ora è spenta, significa che la mia bella è ammalata.

Per l’innamorato è l’unico motivo plausibile per cui la finestra non è illuminata, non riesce a pensarne altri.

Bussa, chiama e si affaccia la sorella, che lo rimprovera della sua lontananza e lo informa della morte della giovane innamorata.

S’affaccia la sorella e me lu dice:
“Nennella toia e’ morta e s’ ‘e atterrata.
Chiagneva sempre ca durmeva sola;
mo dorme co li muorte accompagnata!”

S’affaccia la sorella e me lo dice:
“La tua bella è morta e sotterrata… Piangeva sempre perché dormiva da sola, ora dorme con tutti i morti, in compagnia”.

Il protagonista resta di sasso e dice

– Cara sorella mia, che me dicite?
Cara sorella mia che me contate?

Cara sorella mia, ma cosa dite!? Cara sorella mia, cosa raccontate?

È incredulo, addolorato, confuso, non crede alle parole della cognata, che riprende:

“Guarde ‘ncielo si nun me credite,
Purzi’ li stelle stanno appassiunate”.

Guarda in cielo, se non mi credete, persino le stelle ne sono rattristate!

La morte è stata una tragedia vissuta da tutti nel quartiere, anche le stelle sembrano tristi in cielo.

E continua

“È morta nenna vosta, ah, si chiagnite,
Ca quanto v’aggio ditto e’ beritate!”

È morta la vostra bella, oh, sì piangete! Quanto vi ho detto è la cruda verità!

Piangi, povero ragazzo, ormai sapete tutta la verità, rassegnatevi ed affidatevi a Dio.

Quindi prosegue:

Jate a la Chiesia e la vedite pure,
Aprite lo tavuto e che trovate?

Andate in Chiesa e controllate pure, aprite la bara e cosa potete trovare?

Consiglia di andare nella Chiesa del quartiere, nella cui cripta si seppellivano i morti, di aprire la bara, non ancora interrata, ed ecco cosa vedrà

Da chella vocca che n’asceano sciure,
Mo n’esceno li vierme, oh che piatate!

Da quella bocca da cui uscivano i fiori. Ora escono solo vermi, Oh! Che strazio! Da quella bocca, da cui uscivano parole dolci e caste, veri fiori, ora escono solo i segni della morte. Da notare il gusto macabro del 1600 nel discorso della sorella.

Quindi una preghiera

Zi’ Parrocchiano mio, tienece cure,
Le llampe sempre tienece allummate!

O mio buon Curato, abbi riguardo; per Lei tieni sempre accesa la lampada!

La lampada è il simbolo dell’anima che vive oltre la morte, la vita non finisce ma continua in una altra dimensione. È il pensiero sull’aldilà dell’antica cultura osca e greca, ancora oggi presente in Campania, soprattutto a Napoli, e nelle Regioni dell’ex Regno di Napoli.

Il protagonista si allontana con i suoi pensieri tristi e parla alla sua Amata, ormai perduta.

Ah! nenna mia, si’ morta, puvurella!
Chill’uocchie chiuse nun l’arape maje!

Ah! Povera cara mia, morta così per me! Questi occhi chiusi non li riapri mai!

Ma ancora all’uocchie mieje tu para bella
Ca sempe t’aggio amata e mmo cchiu’ assaje!

Ma agli occhi miei tu sei sempre bella! T’ho sempre amata ed ora anche di più!

Ora che la sua Amata è morta, i suoi occhi belli non si apriranno più, la sua bellezza è finita, ma per Lui sarà sempre bella, l’ha sempre amata con tutto il cuore, ora l’amore è divenuto immenso, senza limiti.

Quindi continua:

Potesse a lo mmacaro mori’ priesto
E m’atterrasse a lato a tte, nennella!

Magari potessi io morire presto ed essere sotterrato accanto a te, Dolce Amata! È l’unico futuro che si prospetta, senza la sua amata.

Poi un addio alla ‘Finestra spenta’.

Addio, fenesta; restate nzerrata,
Ca nenna mia mo nun se po’ affacciare;
Io cchiu’ nun passarraggio da sta strata;
Vaco a lo camposanto a passiare

Addio finestra, restatene anche chiusa, ora che la mia Bella non potrà più affacciarsi! Mai più io passerò per questa strada; piuttosto me vado a passeggiare nella via del cimitero!

La strada che ha percorso tante volte, anche nel ricordo, quando era lontano, ormai nella sua mente non esisterà più, tutto è finito!

La finestra potrà restare tranquillamente chiusa, egli non passerà più per vederla, non rinnoverà il suo dolore immenso, per rallegrarsi, passeggerà nella strada del cimitero.

Nzino a lo jurno che la morte ‘ngrata
Mme face nenna mia ire a truvare.

Fino al giorno che la morte ingrata mi farà raggiungere la mia Cara Amata.

Finisce con il pensiero che la sua vita sia inutile, deserta fino al suo decesso, che sarà un varco di luce verso il suo perduto amore.

Il finale esprime fedelmente cosa possa pensare una persona che ha perso tutto, il sogno e la speranza, finiti con la sua Amata.

Considerazioni

Il testo della canzone è precedente alla musica, datata circa nel 1824, se attribuita al Bellini nel periodo in cui visse a Napoli quale allievo di Nicolò Zingarelli.

Il tema della canzone è la morte di una ragazza ancora nubile, mentre il suo amato promesso sposo è lontano da molto tempo. È un argomento antico, caro alla cultura popolare ed alla letteratura, il cui testo più vetusto è la commedia ‘La Fanciulla Tosata’ di Menandro, del IV secolo a.C., in cui c’è il verso ‘Coloro che gli Dei amano, muoiono giovani’ o, in italiano, ‘Muore giovane chi al cielo è caro’.

Il testo originale non si conosce, ma si fa risalire intorno alla metà del 1500. Esistono molte varianti scritte, che si possono datare in base all’evoluzione della lingua osca, di cui quella riportata in questo lavoro, quella la cui musica è attribuita alla scuola Antonio Zingarelli, quasi certamente al Bellini.

La mia convinzione sulla paternità del Bellini è legata ai ricordi d’infanzia, relativi a discorsi di persone già avanti negli anni, veri conoscitori di musica popolare, nonché sulla data in cui è comparsa la partitura, che coincide con la presenza del compositore a Napoli.

Sembra che il Bellini “avrebbe” composto la melodia, prima di andarsene da Napoli nel 1825 per causa del mancato matrimonio con Maddalena Fumaroli, la sua amata partenopea, per il definitivo rifiuto del padre.

Per questo si ritiene autobiografica l’ultima strofa

Addio, fenesta; restate nzerrata…
nun passarraggio da sta strata;

tradotta “Addio finestra, restatene chiusa, ora che Maddalena non si affaccerà più! Mai più io passerò per questa via!”

È il grido di dolore dell’Amante rifiutato senza una colpa, è una sensazione bruciante, dolorosa, che merita una risposta forte, brutale:

Vaco a lo camposanto a passiare!

piuttosto vado a passeggiare al cimitero!

Questo verso fa pensare che la strofa sia stata aggiunta, o ne è stato modificato il testo precedente, perché il Cimitero è stato costruito dopo il 1806, come vedremo dopo.

Inoltre, quando era a Milano, il Bellini litigò con l’editore Di Lucca per la canzone sentita per strada, suonata e cantata da un cantastorie su una partitura edita dal Di Lucca.

È noto che Nicolò Zingarelli invogliasse gli allievi a comporre anche romanze popolari, ma questi erano inclini a disconoscerne la paternità, qualora diventassero canzoni popolari, perché il comporre una canzone era ritenuto una cosa non degna per un buon musicista.

Questo è il motivo per cui gli storiografi “campanilisti” negano la paternità del Bellini.

Altri famosi allievi dello Zingarelli hanno scritto canzoni, tra cui Donizetti, al quale si attribuisce la melodia di ‘Te voglio bbene assaie’, il cui testo è posteriore, improvvisato e scritto nel 1835 dall’ottico Roberto Sacco sulla melodia suonata in una festa in famiglia.

Ritorniamo a parlare solo del testo della canzone con le seguenti considerazioni.

È invalso l’uso di cantare solo la prima e la terza strofa, in parte modificata, come in un’edizione per mandolino o pianoforte dell’editore Bideri, e più raramente anche l’ultima, tralasciando la seconda e la quarta.

Il testo è stato utilizzato molte volte in opere teatrali e simili, come nel film ‘Accattone’ di Pasolini, con ottimo effetto, o in sceneggiati TV, con effetto mediocre. Da ricordare un’opera teatrale, ambientata nel 1911 durante la guerra di Libia, in cui viene cantata la canzone, facendo credere che fosse stata scritta per l’occasione, creando ulteriore confusione nella gente riguardo alla storia, molto lineare, di questa splendida romanza.

È stato anche detto che la canzone (testo e musica) è stata ispirata all’episodio della Baronessa di Carini, ma non vi è alcun riferimento perché, visto che i due amanti, la nobildonna ed il Vernagallo, furono uccisi insieme, lui non sarebbe mai potuto andare sotto la finestra di lei. Inoltre, il testo riportato, in questa tesi, da una verifica linguistica, è databile nella seconda metà del 1800, es. starrà invece di stace.

Il testo della canzone ci riporta in un’epoca ben diversa, quando le notizie di qualcuno lontano arrivavano difficilmente e con forte ritardo, spesso anche dopo il ritorno della persona stessa. Oggi esiste una diffusione di notizie impensabile fino al 1830, prima dell’invenzione del Telegrafo Ottico o a braccia, della Posta ed il francobollo, del Telegrafo Morse e tutto il resto, per cui è difficile capire il dramma della Giovane innamorata morta.

All’epoca un marittimo, un soldato andato in guerra, un individuo che partiva per lavoro, se non fosse tornato dopo un certo tempo, da tre a sei mesi, era considerato morto.

Faccio l’esempio di un napoletano del 1600 andato a Milano, qualsiasi sua notizia poteva giungere alla famiglia non prima di 20 giorni dall’accaduto, sempre se qualcuno la portava.

La mancanza di notizie del promesso sposo lo hanno fatto ritenere morto e il decesso della sua promessa sposa è attribuito al dolore per la presunta scomparsa dell’amato lontano.

Non si sa il motivo della dipartita della ragazza. Potrebbe essere stata una banale febbre o una malattia seria ma, per l’immaginario del quartiere, la causa è solo il dolore per la mancanza di notizie dell’innamorato lontano. È difficile per tutti accettare la fine di una giovane vita, per cui si attribuisce la perdita a motivi irrazionali, quali il malocchio, il volere della Divinità, la pena d’amore per il promesso sposo sempre lontano…
Questa è la mentalità del popolo, fatalista e privo di una razionalità culturale.

Le parole della sorella

Jate a la Chiesia e la vedite pure
Aprite lo tavuto…

Recatevi in alla Chiesa e controllate anche, Aprite la bara…

A noi oggi portano a pensare che sia trapassata da qualche giorno e non ancora seppellita, ma le cose non stanno così.

I cimiteri che conosciamo sono stati costruiti dopo il 1806, a seguito dell’editto di Saint-Cloud, emesso da Napoleone nel 1804, che vietava le sepolture nelle chiese e dentro la cinta delle mura di una città o di un altro centro urbano.

Prima del 1804, i morti in grazia di Dio, cioè i cattolici non suicidi, venivano seppelliti nelle cripte della chiesa del quartiere, ancora oggi visitate dalle donne devote, il lunedì. Basta andare alla Chiesa del Purgatorio ad Arco in via Tribunali a Napoli e verificare quanto dico.

L’edificio è ben individuabile perché, all’ingresso delle due scale laterali, sui mezzi pilastri vi è un teschio con le tibie, in ottone brunito, in vera arte napoletana del 1700.

Nella cripta, che ben conosco, vi sono le sepolture citate nella canzone ed i colombari a vista, in cui sono deposti scheletri ed ossa, tra cui un teschio attribuito alla “Sposa”, una giovane donna, morta prima delle nozze, che le donne devote del quartiere San Lorenzo ritengono santa e, per questo, le tengono accese “‘na lampa”, o “‘na vampa” e le rivolgono anche preghiere per ottenere una grazia. Sarà questa la fanciulla di ‘Feneste ca lucive’?

Le parole della sorella lo invitano a verificare che la “Nennella” è morta e sotterrata, poi può aprire la cassa, lu tavuto, perché la sepoltura avveniva in posizione fetale, cioè rannicchiata e verticale, per ottenere una rapida decomposizione e poter deporre lo scheletro nei colombari comuni e, quindi, liberare il sepolcro che occorreva per altri morti. Nella cripta vi erano anche tombe singole per le famiglie abbienti.

Da notare la descrizione della sepoltura, il gusto macabro del 1600, ricorda i quadri del Caravaggio, tornato poi di moda nel periodo preromantico tra fine 1700 ed inizio 1800.

Strana, invece, è la vita dell’autore, il Bellini, una continua fuga in cerca di un amore. Nato a Catania, ove iniziò a studiare musica, si spostò a Napoli per studiare da Nicolò Zingarelli, dove visse quattro anni felici, anche per l’amore di Maddalena Fumaroli, poi, dopo il rifiuto del padre alle loro nozze, si trasferì a Milano, quindi a Londra ed a Parigi, dove morì all’età di 34 anni.

Napoli è stata la sua vera patria, lo ha accolto bene e lo ha sempre stimato, gli ha dedicato una piazza, con Monumento di fronte al Conservatorio e vicino agli scavi greco – osci, una bella via ed un Teatro importante.

Ho abitato da ragazzo a piazza Bellini, a poca distanza dal Teatro e dall’omonima strada, ne ho sempre sentito parlar bene, tanto che ero convinto che fosse del quartiere, poi, studiando musica, scoprii, con un po’ di delusione, che era nato a Catania, che gli ha tributato onori, ma solo postumi, purtroppo!

Non è mai stato un mito, un simbolo, malgrado le sue opere meravigliose, tra cui la ‘Norma’ e ‘La sonnambula, in cui ritroviamo la melodia di questa canzone.

Anche la Lega Nord, che ha gli ideali espressi nella ‘Norma’, non lo ha considerato quando invece di adottare l’inno ‘Dall’aura tua profetica’, che parla della libertà della Gallia ed incita all’odio “a Roma ed ai Romani”, sembra scritto da un leghista, hanno preferito un Inno verdiano, ‘Va’ pensiero’ dal tema non celtico. La storia si ripete sempre, il mito sconfigge il raziocinio.

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Autore Salvatore Bafurno

Salvatore Bafurno, napoletano ma vive a Piacenza, ex dirigente delle ferrovie italiane, ama la lettura e la scrittura.