Home Rubriche Lo sguardo altrove Chi non lavora…

Chi non lavora…

1047
Lavoro


Download PDF

Sottomettersi o dimettersi.
Edouard Gambetta

Nel secondo trimestre del 2021 si è censito un aumento del numero di contratti terminati a causa della decisione di dipendenti di chiudere il rapporto lavorativo.

Tra aprile e giugno si contano 484mila dimissioni, di cui 292mila da parte di uomini e 191mila da parte di donne, su un totale di 2,5 milioni di contratti cessati con un +786mila unità, rispetto allo stesso trimestre del 2020.

Secondo alcune fonti, l’aumento del numero di dimissioni, se dovesse essere temporaneo, potrebbe essere solo conseguenza di un mercato del lavoro che definiremmo “congelato” per molti mesi.

Se, invece, il tasso di dimissioni dovesse rimanere su livelli alti per un tempo prolungato, potrebbe essere l’effetto di un fenomeno di ricollocamento della forza lavoro con lavoratori che, da un settore in crisi, preferiscono spostarsi in uno in crescita.

Per una tale valutazione, però, bisognerebbe indagare su chi sono i dimissionari, che tipo di lavoro lasciano e quale altra occupazione trovano. Insomma, le analisi sono in corso ma, già a questo stadio, ci consentono di confrontarci con una realtà fino a circa due anni fa impossibile da immaginare.

L’effetto Covid sul lavoro sta avendo forti strascichi anche sulla sfera emotiva che, salvo alcuni aspetti e interlocuzioni di merito, non viene mai ad essere fonte di approfondimento e di confronto ampio e doveroso su una tematica che, giocoforza, viene da sempre collegata alla mera sopravvivenza.

La pandemia sembra aver messo al centro la salute e avrebbe fatto cambiare visione ad una moltitudine di lavoratori che ora sembrano avere nuove aspirazioni.

Sembra essere arrivato il tempo in cui, per una serie di fattori, tutti sospinti dal furore post pandemico, si è giunti ad una convergenza collettiva nella quale il valore dell’urgenza dell’impiego è stata declassato da quello di cercare un lavoro coerente alla propria dimensione umana.

L’addio alle sicurezze, l’addio agli accrediti certi alla fine del mese è figlio di un burnout che richiama disagio, ma anche voglia di rinascita. Come se il lockdown e lo smart working avessero influenzato la vita di tutti, facendo crescere la volontà di indipendenza e, quindi, l’allontanamento dal lavoro subordinato nell’era del post Covid.

‘Great Resignation’ è il termine che ha usato Anthony Klotz, professore di Management alla Mays Business School del Texas, per raccontare quello che sta succedendo soprattutto negli Stati Uniti con un record di dimissioni registrate a marzo 2021. Per intenderci, colossi come Amazon e Mc Donald hanno anche aumentato lo stipendio del 10% ma, nonostante tutto, faticano a trovare personale.

Alla deriva, quindi, vanno pure le grandi aziende: un’analisi di Microsoft afferma che il 40% della forza lavoro globale sta pensando di dimettersi entro l’anno. Sempre più persone, infatti, si stanno accostando alla Yolo  (you-only-live-once) economy, con il consequenziale picco di aperture di nuove partite IVA nel secondo trimestre del 2021.

Sintomatico di chi vuole individuare, nella libertà e nell’autonomia, la svolta alla sua vita professionale e non. Magari rischiando ma provando ad acquistare maggiore consapevolezza del proprio tempo e della propria esistenza, come se fosse esplosa una ricerca più cosciente di equilibrio.

La gente vuole ritrovare una maggiore armonia nel rapporto tra vita e lavoro, evitando stravolgimenti che, spesso, si sono rivelati inutili e infelici nel raggiungimento di obiettivi fuori portata o penosamente non retribuiti per quello che meritavano.

Molti motivano la volontà di dimettersi pur restando nel proprio ambito professionale, accettando una modalità di lavoro full remote, soprattutto nell’area tecnologica e digitale. Altro punto da non sottovalutare: i talenti e gli ingegni interessanti potrebbero diventare le future “pepite”.

Già oggi le grandi aziende sono in difficoltà nel reclutarle, figuriamoci un domani in cui questi avranno l’agio di muoversi nel confort di un ambiente dimensionato alle loro esigenze personali, con la possibilità di concentrarsi comunque su un’attività di loro favore e con un buon guadagno da neanche tanto inseguire.

Altra faccia della medaglia: per molti potrebbe essere la fine di ogni conflitto con il collega di turno. Sappiamo bene quanto incida in certe decisioni anche questo aspetto, ovvero l’evitare lo scontro quotidiano e il confronto ossessivo basato sulle performance individuali.

Dogma degenerativo di molte società che hanno basato la loro compulsiva crescita e il loro costante modellarsi a schemi vincenti anche sulla competizione interna, sfruttando la paura e l’orgoglio e smuovendo le più arcaiche emozioni, che sono ancora annidate nella nostra anima.

Oggi, per molti, è giunto il momento di guardarsi allo specchio e di farsi scivolare di dosso questi feroci input aziendali che auto-determinavano l’assenza di positive e genuine sensazioni di benessere e confluivano in un auto-isolamento bellicoso e faticoso da contenere.

Una vera e propria dipendenza che diveniva e diviene ancora lotta alla sopravvivenza. Perché sembra chiaro che anche nel nostro Paese il mercato del lavoro non è vitale come quello americano e i salari aumentano con una lentezza inconcepibile rispetto all’atteso e al dovuto.

Ciò nonostante sembra evidente che anche da noi i cambi vita ci sono: spesso dovuti, come scriviamo sopra, ad ambienti tossici, all’orario o l’assenza di giornate di lavoro in smart working.

Ecco che le aziende devono affrontare questa criticità con un nuovo piglio e senza sottovalutarla. Sfruttando la flessibilità sia legata al tempo sia all’ambiente, creando maggiore spazio alla formazione consolidando le competenze, offrendo un piano di welfare più invitante e costruendo percorsi di carriera ambiziosi e legittimi.

E con la pandemia diventa importante analizzare nuovi modi di pensare e concepire la produttività. Perché il virus ha fatto emergere il nero del lavoro: ambienti di lavoro non più tollerabili, orari di lavoro nevrastenici e tempi di spostamento casa – lavoro non più accettabili.

Ora va detto che se questo incremento del fenomeno “dimissioni” si mostrasse soltanto temporaneo potrebbe essere identificato come il risultato di un mercato del lavoro “freezato” per molti mesi sia per motivi di andamento del ciclo economico, variabile conosciuta, sia per le politiche pubbliche scelte per fronteggiare la crisi, come è stata la cassa integrazione.

Ora possono essere dimissioni già programmate e poi rimandate durante il periodo Covid, ma la leggiamo come ad una forzatura, oppure possono essere dimissioni che definirei coercitive, perché forzate dagli stessi datori per fronteggiare la contrazione delle attività economiche.

Ultima chiave di lettura è, per l’appunto, quest’opera di risveglio interiore di chi cerca di rispondere alle nuove esigenze esistenziali, abbandonando il ruolo da carrierista o da impiegato accetta tutto stile Fantozzi.

Qualora questo tasso dovesse restare su livelli elevati o quanto meno in linea con questi ultimi per un tasso di tempo non banale, ci troveremmo di fronte ad un fenomeno destinato a modificare lo stile e le abitudini della nostra società.

La crisi generata dall’emergenza sanitaria potrebbe infatti aver affrettato una manifestazione di ricollocamento della forza lavoro, delineando le condizioni affinché i lavoratori scelgano di – o siano costretti a – migrare da settori in impervia difficoltà – ci riferiamo alla ristorazione e al turismo – a settori in crescita – come quelli relativi alla salute e alle nuove tecnologie.

Una sorta di arte dell’arrangiarsi che sta cambiando o, quanto meno, ci sta offrendo una finestra nuova su una realtà fino a qualche anno fa impensabile. E che ancora ci porta a pensare che questa pandemia ci ha cambiato e continua a cambiarci dentro e negli scenari della nostra quotidianità.

Nulla sarà più come prima e chi un tempo si lodava di lavorare per fare l’amore, oggi potrebbe beatificarsi di essersi ripreso la propria vita magari per una scelta proprio di amore. Verso se stessi.

Print Friendly, PDF & Email

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.