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Uzzai, Uzzai, Uzzai

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Uzzai, Uzzai, Uzzai


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La vite è una pianta dai profondi significati. Da essa si ricava il vino, presente in molte culture con il proprio apparato simbolico sin dall’antichità.

Pensiamo, ad esempio, ai Latini, che proclamavano “In vino veritas”. Già da allora erano noti gli effetti di questa bevanda, che, come si suol dire, fa cantare e raccontare tutto ciò che passa per la mente.

La verità, al di là degli sproloqui di chi ha alzato troppo il gomito, è una virtù tra le più importanti. Dire il vero e rifuggire dalla menzogna è una prova di saggezza. Grazie a questi potenti simboli la vite arriva a rappresentare la vita stessa. Non a caso ne condivide la stessa etimologia

Rappresenta un’esistenza abbondante e la gioia che da essa scaturisce. Rispecchia il desiderio di fertilità e bellezza. È un segno di devozione per i frutti dello spirito e di protezione dal male.

Pienezza, saggezza, giovinezza, maturazione, prosperità, sono tutte immagini associate a questa pianta e al meraviglioso nettare che ne scaturisce. Sacrificio, fede e buona volontà sono le qualità richieste perché dia frutto.

Non c’è modo migliore di raccontarne il simbolismo che attraverso i miti delle culture antiche.

L’Uva e il Vino sono elementi inscindibili tra loro. Entrambi sono ricchi di significati archetipici profondi che toccano argomenti inerenti al ciclo della Vita stesso.

Ampelo diviene la Vite che porta agli uomini l’ebbrezza, ed il Vino inonda di gioia l’universo. Il vino è simbolo di Vita, il mezzo con cui si sconfigge la nostalgia e la morte.

La tradizione ellenica fa risalire l’origine della Vite alla morte di Ampelo, giovane amato da Dioniso.

Egli era di una bellezza disarmante, sguardo luminoso e voce di miele. Il dio ne è sedotto al punto che ne diviene ossessionato, pur non conoscendo la sofferenza è sopraffatto dal timore di perdere il suo amore.

In preda all’apprensione, inizia a dare al ragazzo suggerimenti per evitare i peggiori pericoli.

Un giorno gli dice di fare attenzione alle corna del toro. Ed ecco che Ate, personificazione divina dell’errore, lo convince ad accarezzarne uno, giocarci e cavalcarlo. L’animale viene preso dalla furia, disarciona il ragazzo, che viene poi incornato fatalmente.

Dioniso è distrutto, da che non sapeva piangere lo fa adesso; e impara a soffrire. Eros tenta di consolarlo, invitandolo ad innamorarsi di nuovo e narrandogli storie di morte e rinascita, ma non esiste nessun rimedio.

Le lacrime divine, bagnando il corpo senza vita di Ampelo, lo trasformano nella Vite; e le stesse, fuse con il sangue del suo amato si mutano in vino, un nettare dolcissimo capace di confondere la memoria, sovvertirla e riplasmarla.

Ed ecco la grande verità iniziatica: il vino è una bevanda arcana, che può essere usata soltanto con cura e discernimento. Dioniso è un dio della vegetazione selvaggia che insegna però come imbrigliare la natura: e la coltura della vite è, nel senso pieno e profondo di questa parola, una “cultura”.

Da un lato, il vino, in particolare il rosso, simboleggia sangue e sacrificio, dall’altro, la gioia ed estasi divina, paragonando l’uomo con la gioventù eterna e la beatitudine.

Si può interpretare come segno della liberazione dell’individuo dalle preoccupazioni mondane, non a caso Dioniso aveva il dono della profezia e il potere di riempire l’anima di verità!

Questo indica la mediazione tra il mondo umano e quello divino.

Per quanto attiene a noi Massoni, il vino compare ai banchetti rituali, alle Agapi, con lo scopo di consolidare l’amicizia e la solidarietà tra i Fratelli della nostra grande Famiglia; come l’amore che ci unisce e che ognuno di noi sente per chi gli siede accanto.

Questo affetto è suggellato dalla polvere forte rossa o bianca, così viene chiamato il vino, nei sette brindisi che vengono, appunto, fatti durate questa conviviale.

Non si sa però quando essi abbiano avuto origine, né, di preciso, quando siano entrati a far parte delle usanze nei brindisi a carattere massonico, né, tantomeno, perché ognuno di questi vanga accompagnato dalla parola “Uzzai”, pronunciata con “forza e vigore”.

Quello che possiamo dedurre è che tale parola, anche se desemantizzata, cioè utilizzata a prescindere da un significato, si è ammantata, nel tempo, di un valore sacrale proprio per il fatto che la Tradizione Massonica l’ha consacrata, togliendola dagli ambienti marinareschi in cui era nata, per utilizzarla in particolari e significativi momenti della vita comunitaria dell’Officina e non solo di questa.

Uzzai è termine divenuto simbolo fonico, dotato di una particolare espressività, di una propria, inconfondibile forza evocativa: augurio, soddisfazione, invocazione tripudiante di Fratellanza si mescolano insieme e ne fanno un quid ben determinato e significativo al di là di un’univoca e certa interpretazione.

All’oscurità dell’origine fa riscontro la chiarezza psicologica dell’uso, e tutti percepiscono il risultato che l’esclamazione ottiene, a livello emotivo e spirituale, all’epidermide e nel profondo.

È una scarica positiva di energia, la cui caratteristica principale non sta nel suo dissolvimento dopo la scintilla, come corrente elettrica che venga “scaricata” a terra, ma nel suo immediato rientro in circolo, ripercorrendo ed elettrizzando gli animi di quanti abbiano partecipato ad una Catena d’Unione, ad un brindisi eseguito in un’Agape.

Di sicuro, ne rimane l’insondabilità, come insondabili sono le vibrazioni arcane e sottili di un oggetto magico o di certe parole che “fanno accadere qualcosa”, la cui pronuncia deve essere calibrata in un impiego che non le sprechi, ma le ottimizzi per il bene dell’Umanità intera.

Con l’immagine di un calice colmo di vino rosso porpora, rivolto in alto, al G.A.D.U. e con i versi del ‘The Tyler’s Toast’, ‘Il Brindisi del Guardiano’, brindo a tutti voi Fratelli miei.

Cari Fratelli della Catena Mistica,
la notte sta rapidamente svanendo:
Il nostro lavoro è terminato,
la festa è finita,
questo è l’ultimo brindisi.
Ed ora per ordine del Maestro Venerabile,
vi propongo il Brindisi del Guardiano:
A tutti i Fratelli poveri e afflitti,
ovunque siano dispersi sulla faccia della terra e sui mari,
augurando a loro una pronta ripresa dalle loro sofferenze,
ed un felice ritorno al loro paese natio,
se così è nei loro desideri.
Buon Fuoco, Fratelli!

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Autore Rosmunda Cristiano

Mi chiamo Rosmunda. Vivo la Vita con Passione. Ho un difetto: sono un Libero Pensatore. Ho un pregio: sono un Libero Pensatore.