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Piante infestanti

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Campanile della Pietrasanta


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Sono capitato per caso, cercando cose in internet, su una tesi di dottorato di ricerca in Conservazione dei beni culturali e ambientali, presentata da una dottoranda della Università di Napoli “Federico II”. Nella trattazione, che ho letto a brani e che mi è parsa ampia e approfondita, ho trovato anche attenti riferimenti al ruolo che muschi, licheni e piante infestanti svolgono in quello che viene definito – non obietto, sono ignorante – “degrado”.
Ripeto: non obietto, non contesto: pur’io capisco bene che cura e la manutenzione sono, o dovrebbero essere, considerate indispensabili e messe in atto con il dovuto scrupolo.
Mi concedo quindi, alla lettura, solo un lieve e irragionevole disagio, e mi spiego.

Non sono un fanatico adoratore della Natura in quanto Madre benevola e giusta; sono stato profondamente colpito e poi convinto dall’idea della “Natura indifferente” che ha attraversato la mente di diversi pensatori, anche se non arrivo fino alla “matrigna” leopardiana, ma lui, Giacomino, teneva qualche comprensibile motivo di risentimento.

L’ultima volta è stato appunto quando ha ascoltato “L’infinito” nella superba e magnetica interpretazione di Elio Germano, nel film di Mario Martone “Il giovane favoloso”: quegli “interminati spazi” e “sovrumani silenzi” e che agghiacciano chiunque provi a mettere il naso fuori dalla porta di casa, cioè la Terra, ne ricordano la condizione di oasi minima nella quale ci muoviamo e che già, a ben guardare, è tutt’altro che incondizionatamente amichevole.

Inoltre, nutrendo interessi naturalistici da sempre ho letto di, e osservato personalmente, innumerevoli prove di come questa Natura possa essere contemporaneamente meravigliosa e terrificante.

Posso sbagliare, ma non mi sembra un caso che il dio Giano, bifronte, “nell’epoca arcaica era semplicemente il dio legato ai cicli naturali” e “era sempre stato, immanente, fin dall’origine di ogni cosa.” – da Wikipedia.

Sicché l’idea “in capa a me” si formò precocemente.

Epperò, io comunque non riesco a contenere una commozione, nel senso etimologico di “muovere con”, muovere insieme: mi sento insieme, nell’osservare le piante spontanee – io così le chiamo, tendenziosamente, invece che infestanti – che vedo crescere negli angoli, anfratti, muri, tetti, minime fessure per tutta Napoli.

Mi viene sempre da pensare, anche se è puerile, che questo posto è appartenuto e appartiene a forze vitali non umane da ben prima che si formasse il primo insediamento antropico. Forze vitali per le quali, nonostante sappia bene di essere a loro completamente indifferente, io nutro una attrazione irresistibile.

Così, constatarne la sempre rinascente presenza e testimonianza, a me fa bene, mi medica, mi corrobora, mi rassicura, mi riequilibra.
Pure se gli sono indifferente: e ch’aggia fa’?

E che ne sarebbe, poi, del Ninfeo di Lucullo a Pizzofalcone, senza la sua gloriosa, ormai connaturata, splendida corona vegetale?
Così cammino contento, spesso guardando in alto, e vedo cose come il tetto del campanile della Pietrasanta, e sono più contento.

Mi perdoni davvero l’autrice della tesi; so’ sincero.

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Autore Giuseppe Starita

Giuseppe Starita nacque a Napoli e la cosa lo colpì moltissimo: ancora oggi e ogni volta, la parmigiana di melenzane lo commuove. Ottenne la maturità scientifica per il rotto della cuffia, frequentò per un po’ l’università, poi diventò lavoratore autonomo e il suo lavoro gli piace. Tiene diverse fissazioni tra cui: le Isole Ebridi, gli artropodi, Johann Sebastian Bach, l’Odissea, le lampade frontali: queste le usa prevalentemente per pulire la cassetta dei gatti e per fare le iniezioni. È piuttosto magro e pesa 70 chilogrammi.