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La colonnetta

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La colonnetta


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Ogni tanto mi gratifico con un piatto di spaghetti a vongole, seduto in una piccola trattoria a conduzione familiare, la quale può essere benissimo definita anche come famiglia a conduzione trattoriale. Oltre ai meravigliosi spaghetti là dentro, per le singolari circostanze, mi delizia la straniante sensazione di stare su una specie di palcoscenico accessorio, mentre sul principale si sta rappresentando “Natale in casa Cupiello”.

Poi, appagato, saluto, esco sulla via Solitaria e in quattro passi sto sulla via Egiziaca a Pizzofalcone. Che nome formidabile! Io so’ contento anche solo di trovarmi a camminare su una strada co’ ‘sto nome. È in un posto preciso che sto andando, come tutte le volte che vengo da queste parti per gli spaghetti: vado al Pizzofalcone appunto, o Monte Echia.

A parte l’apertura improvvisa, ventosa, panoramica, con vista sul Vesuvio e su Capri che apre il cuore alla fine di questa strada, c’è un motivo particolare che mi spinge qui: è la colonnetta.

Sta incastonata in una nicchia del reperto archeologico chiamato “Ninfeo di Lucullo”, il quale fa parte di un complesso assai più vasto. Si presenta, posta all’estremità prima della discesa lungo la rampa, come una parete giallina (forse “giallo di Napoli”?), che a me pare quasi di arenaria per l’aspetto stratificato e nella quale sono ricavate quattro nicchie maggiori, vuote, e una minore, in cui è ancora miracolosamente conservata una colonnetta scolpita, aderente a un angolo della nicchia stessa.

Meno male, pure stavolta sta là, nessun segno di oltraggio. Sopra il grande blocco, stupenda vegetazione spontanea e cespugliosa, che mi appare perfetto compendio e spero nessuno tocchi mai.

Intorno, neanche un cartellino informativo: solo un traballante, parziale, basso steccato di legno malmesso. Niente altro. La strada sfiora l’antichissimo muro. Dall’altra parte dell’asfalto, un grande cantiere giace abbandonato da anni.

Mi è capitato di osservare turisti esterrefatti a contemplare la negletta meraviglia, con aria interrogativa: forzando il mio povero inglese sono riuscito a farmi capire abbastanza, ma sto meditando di investire una piccola somma per sistemare clandestinamente un cartello da esterni, ben preparato, recante qualche informazione scritta migliore del mio esotico eloquio e perciò compilata con l’aiuto di qualcuno.

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Autore Giuseppe Starita

Giuseppe Starita nacque a Napoli e la cosa lo colpì moltissimo: ancora oggi e ogni volta, la parmigiana di melenzane lo commuove. Ottenne la maturità scientifica per il rotto della cuffia, frequentò per un po’ l’università, poi diventò lavoratore autonomo e il suo lavoro gli piace. Tiene diverse fissazioni tra cui: le Isole Ebridi, gli artropodi, Johann Sebastian Bach, l’Odissea, le lampade frontali: queste le usa prevalentemente per pulire la cassetta dei gatti e per fare le iniezioni. È piuttosto magro e pesa 70 chilogrammi.