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Parcelso e Grisebach protagonisti a confronto

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La rosa di Paracelso


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Due visioni contrapposte ne “La rosa di Paracelso” di Borges

Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim detto Paracelso, medico, alchimista, filosofo fu sicuramente un personaggio considerato alquanto “eccentrico” per i suoi tempi, inizio del XVI secolo, uno di quelli che “pranzava con principi e dormiva nei fossi, impersonando e nel contempo sfidando la follia del mondo al quale apparteneva”.

Non apparteneva alla colta élite universitaria dell’Europa cinquecentesca pur frequentandone gli ambienti ma fiero delle sue umili origini, secondo C. M. Wieland, scrittore tedesco del XVIII secolo, “…andò incontro al destino di tutte le persone straordinarie: essere lodate stupidamente e stupidamente criticate”. Fu avversato nei suoi rapporti istituzionali dal suo carattere definito come una “miscela di orgoglio, intransigenza, presunzione, indipendenza e dignità ferita”.

A dimostrazione di ciò si racconta che nel 1527, appena dopo aver accettato l’offerta della Cattedra di Medicina all’Università di Basilea, fu definitivamente allontanato dall’Università ed escluso dal mondo accademico in seguito alla decisione di far bruciare pubblicamente dai suoi studenti, insieme ad una bolla papale, i testi di Galeno ed Avicenna da lui accusati di essere ignoranti in medicina. A tal proposito ed in seguito Paracelso sostenne che ognuno possiede dentro di sé le doti necessarie per esplorare il mondo ed è la propria esperienze che ne fornisce gli strumenti e non il cieco nozionismo.

Nella sua attività scientifica Paracelso contrapponeva proprio allo studio pedissequo e nozionistico dei classici il progresso, inteso come slancio verso lo studio e la ricerca nella natura in cui, sosteneva, risedesse la cura per ogni sorta di malattia, concezione ippocratica della “vis medicatrix naturae”.

Come spiegato nei dieci libri degli Archidoxa, nella natura esistono delle forze guaritrici chiamate Arcana, portate alla luce dall’arte alchemica e nelle loro forme principali indentificate come prima materia, il lapis philosophorum, il mercurium vitae e la tintura. Paracelso rifiutava però l’interpretazione metallurgica del sapere alchemico e la sua ricerca della produzione di metalli preziosi da quelli più vili, concentrandosi, invece, sulle sue ricadute medicinali e sviluppando il concetto di elisir.

Nel sistema filosofico di Paracelso, scienza e ragione non erano in conflitto con misticismo e magia, ma si fondevano dando origine ad un mondo che appare al tempo stesso meraviglioso e bizzarro in un universo ricco di segni e simboli occulti.
Lo sviluppo della scienza moderna, mosso dall’interesse nei riguardi di ciò che era considerato “occulto” nel senso che oggi in parte daremo di “ignoto”, accolse e formalizzò quelle che riuscì nel tempo a svelare, ad es. magnetismo e gravità, relegandone altre, telepatia, telecinesi, ad un cumulo di nozioni fuori moda che, mantenendo l’etichetta di “occulto”, resero poi spregevole il termine.

Oggi il termine “occulto” viene associato a superstizione, irrazionalità, ciarlataneria.
Ma in un’ottica rinascimentale, analizzando cioè l’oggi con gli occhi dell’uomo rinascimentale, gran parte della scienza contemporanea è occulta in quanto é “nascosta” ai nostri sensi coerentemente con il significato letterale della parola; atomi o micromolecole, campi elettromagnetici, campi quantici, fotoni sono tutti invisibili.

Secondo i criteri rinascimentali, questi fenomeni non sono meno occulti delle influenze astrologiche esercitate da una stella o dell’intervento attribuito a demoni. La scienza moderna avrebbe incontrato notevoli ostacoli senza questa fede “nell’occulto” e nella volontà di svelarlo. In medicina, Paracelso considerava la sua azione rivolta a manipolare con metodo le forze magiche invisibili e le “virtù” della natura ed inserì questa “nuova medicina” in un più vasto sistema di filosofia naturale, devotamente cristiana.

Tale inclinazione, secoli dopo, gli ha valso la definizione di antesignano anche della “Medicina Omeopatica”. In base al suo “spirito scientifico”, Paracelso era fermamente convinto che le cose accadono per una ragione precisa, che la natura è meccanicistica e segue regole ben determinate che l’uomo può comprendere e dedurre mediante l’osservazione e la sperimentazione.

Dio non guida il mondo tramite un controllo costante, ma stabilisce delle regole, comprensibili allo studio degli uomini, lasciando che funzioni autonomamente. Per queste ragioni rifiutò il luteranesimo, che considerava le strade di Dio imperscrutabili in eterno, e, di conseguenza, blasfemo tentare di decifrarle.

Gli adepti alla magia, come lo era Paracelso, si distinguevano dagli accademici delle università perché questi ultimi pensavano che le regole universali fossero state dedotte dagli antichi grazie alla forza del pensiero e alla logica.
Paracelso invece era un “vero mago” ossia un esploratore di quelle che venivano definite le “scienze occulte” dell’epoca e quindi, secondo la concezione di “mago” data in generale da Marsilio Ficino, “un contemplatore della scienza divina e di quella celeste, un attento osservatore ed espositore delle cose divine”.

Johann Jakob Griesbach, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo fu Professore di filologia e studi neotestamentari all’Università di Jena e la sua fama deriva dal fatto che fu il primo ad indicare con il termine “sinottici” i vangeli di Marco, Matteo e Luca.
Tramite il suo lavoro di esegesi del Nuovo Testamento, Grisebach propose una sua soluzione al cosiddetto problema sinottico mediante una sua ipotesi formulata in pieno illuminismo e che diede inizio ad una nuova era per questi studi.

I Vangeli sinottici sono così chiamati perché confrontando il testo di Marco, Matteo e Luca su tre colonne parallele, sinossi, è possibile rilevare somiglianze nella narrazione, disposizione degli episodi e frasi simili. Il Vangelo di Giovanni usa una diversa cronologia rispetto ai Vangeli sinottici, illustra l’aspetto più profondo degli eventi descrivendo e sviluppando pochi episodi e non riporta l’istituzione dell’Eucaristia.

Il problema sinottico fu individuato ma non definito fin dal II secolo d.C. da Tazzano il Siro e la questione, affrontata anche da Sant’Agostino nel trattato De consensu evangeliorum, è ancora oggi molto dibattuta nel definire quindi se qualcuno ed in questo caso quale degli Evangelisti sia stato il primo a scrivere un Vangelo.

Johannes Grisebach fece stampare nel 1774-75 un’edizione critica del Nuovo Testamento in tre volumi nel 1774-75, in polemica contro il textus receptus e la complutense con una ricostruzione minuziosa della tradizione testuale seguita attraverso gli scrittori ecclesiastici e le traduzioni, filosseniana, armena, gotica, l’individuazione di tre famiglie di codici per il Nuovo Testamento, alessandrina, occidentale e costantinopolitana.

Nel terzo volume pubblicò per la prima volta i primi tre vangeli disposti in modo sinottico con una valutazione critica del materiale che li accomunava. Fu poi durante un discorso tenuto all’Università di Jena in occasione delle celebrazioni della Pasqua del 1783 che Grisebach enunciò i principi della sua ipotesi.

L’Ipotesi di Griesbach, successivamente pubblicata, si fonda sulla presenza di coincidenze/prove della consonanza e dipendenza trai Vangeli di Matteo e Luca e, quindi, sull’idea che il Vangelo secondo Marco sia stato estratto dalle due precedenti narrazioni.

La sequenza temporale o di “influenze” riconosciuta dal filologo sulla composizione dei Vangeli dovrebbe quindi essere stata la seguente: Matteo poi Luca e quindi Marco.
Oggi l’ipotesi di Griesbach è sostenuta da pochi studiosi, ma il ruolo svolto dal nostro Autore nella storia degli studi evangelici è ancor oggi considerato di grande importanza.

La scelta dei due protagonisti dell’incontro e del dialogo narrato da Borges ne “La Rosa di Paracelso” non poteva essere più decisa e netta nella differenza dei caratteri.
La scelta di un personaggio in grado di opporsi allo strapotere costituito nel nostro immaginario da Paracelso dev’essere importato dietro nel tempo di quasi trecento anni.

Il paradosso creato da Borges non è solo questo.
Il vero Paradosso è nella possibilità di riconoscere in Paracelso una figura più viva ed attuale rispetto a quella del Grisebach vissuto, forse anacronisticamente, in età illuministica.

Paracelso è lo scienziato di un nuovo secolo che trai suoi alambicchi, formule e teorie e con i limiti dati dalla scarsa conoscenza per scienze non note, definite negativamente “occulte”, affronta la conoscenza della natura in cui sa di trovare la cura ad ogni sorta di malattia.
La natura è espressione non vincolante del volere Divino che ne stabilisce le regole, ma lascia l’uomo libero di vivere e di operare la sua ricerca interiore ed esteriore.

Si contrappone allo studio pedissequo dei classici e all’idea che le strade divine siano imperscrutabili e che interpretarle sia blasfemo. Ovviamente queste posizioni costarono a Paracelso la carriera accademica e la già vacillante reputazione, non trovandosi al riparo né della Chiesa Cattolica né della Riforma Luterana.

Ma è negli aforismi di Paracelso, più che nella descrizione del suo variegato agire e nei suoi innumerevoli scritti, che risiede la possibilità di concepire autonomamente alcuni spunti del pensiero che ne sottolineano la differenza con altri intellettuali coevi e successivi e, se desideriamo, di Grisebach.

Tra questi studiosi la mia scelta si è limitata a quelli che ho considerato più significativi nel definire il carattere del nostro Alchimista nel contesto del racconto di Borges:

  • “Ho osservato tutti gli esseri: pietre, piante e animali e mi sono sembrate come lettere sparse rispetto alle quali l’uomo è parola viva e piena”
  • “Vi è nell’uomo un duplice potere attivo: l’uno che agisce invisibilmente, o potere vitale, e l’altro che agisce visibilmente o forza meccanica. Il corpo visibile ha le sue forze naturali, e il corpo invisibile ha le sue forze naturali egualmente; i rimedi di tutte le malattie o lesioni che possono colpire la forma visibile sono contenuti nel corpo invisibile”
  • “Un medico non avrà cattiva fama, non sarà un carnefice, né un apostata, né apparterrà sotto qualsiasi forma a chi esercita funzioni sacerdotali”
  • “Il tempio si trova nel cuore e non fra le mura”

In un iniziale ed impossibile parallelo trai due personaggi si potrebbe notare come Paracelso venga espulso dall’Università di Basilea a seguito delle sue idee contrarie ad uno studio nozionistico, mentre le tesi di Johann Griesbach, basate su uno studio più vicino al nozionismo, sono accolte con favore ed interesse circa duecentocinquant’anni dopo all’Università di Jena.

Si potrebbe quindi dire, in modo forse eccessivamente semplicistico, che il reverendo Johann Griesbach sia l’antitesi di quanto scritto a proposito di Paracelso.
Una rigida formazione dettata dagli studi religiosi ne aveva forgiato la rettitudine ed il sapere cedendo ben poco a ciò che non aveva origine e non terminava nel Dio cristiano, muovendosi sempre negli angusti spazi dell’ortodossia cattolica e nei binari della sua scienza teologica.

In quel campo la ricerca, le indubbie capacità del nostro professore di filologia e gli studi neotestamentari rifulgono di valore soprattutto analitico. Analisi dei vangeli da lui definiti “Sinottici” tenendo a debita distanza il Vangelo secondo Giovanni, il Vangelo esoterico e diverso dagli altri, il vangelo che comincia con “In principio era il Verbo/ il Verbo era presso Dio/ ed il Verbo era Dio” che Borges quasi gli fa quasi beffeggiare con una impropria affermazione nel corso del suo racconto.

Gli studi neotestamentari di Grisebach mettono in discussione quanto detto precedentemente ma senza compiere rivoluzioni, senza atti di palese ribellione al sistema come invece accade a Paracelso che brucia libri e bolla papale.

La sua è una proposta misurata e cauta di una visione diversa di ciò che è e resta nell’ortodossia. È evidente anche la differenza tra il “fare” e “esperienza” richiesta dal medico, naturalista ed alchimista Paracelso e l’idea che abbiamo del Grisebach immerso tra volumi e citazioni dotte, probabilmente le stesse citazioni ed il “pedissequo e nozionismo dei classici” rifiutato dal nostro medico alchimista.

Grisebach, da parte sua, doveva interpretare le ricerche e gli studi compiuti da Paracelso come una realtà lontana ed avulsa dalla sua e dal mondo che lui concepiva, una palese eterodossia mistificata con velleità di presunta scienza.
Benché nulla risulti, nei suoi scritti, in riferimento al grande alchimista, Paracelso doveva apparire a Grisebach proprio come un operatore di “scienze occulte” intendendo, con questo termine, la mistificazione sul concetto di “scienze ancora ignote” operata dalla Chiesa a proprio vantaggio nel corso dei secoli. Opera semplificata dal pessimo carattere Paracelso che nulla concedeva alla possibilità di disporsi in modo tale da rendere più fruibile e accettabile ai dotti di allora quanto affermava. Considerata la sua opera, è probabile che al Grisebach mancasse, forse, la curiosità intellettuale che gli consentisse l’ardire ed il coraggio di spingerlo ad esplorare altri campi del sapere.

La figura di Grisebach, nel racconto di Borges, appare “non-moderna” e reale nella paura di investigare, di andare oltre i confini comodi della conoscenza teologica accettata.
Il suo tentativo di penetrare i segreti del Maestro appare come un tentativo disperato volto a confermare le sue credenze ed a porre al sicuro i propri assunti, i propri dogmi, le proprie certezze.

Alla scienza moderna, che nasce proprio da quell’alchimia e dalle scienze occulte, forti delle proprie ragioni ed estesi orizzonti, da una visione più ampia che non esclude un Principio Creatore a prescindere dal nome che gli viene dato, questo tipo di confronto interessa fino ai limiti in cui la discussione può considerarsi aperta, non assiomatica né pregiudiziale e scevra da richieste di particolari artifici.

Discutere, ancora oggi, per avere ragione dell’altro è solo esercizio di accademia di chi parla lingue diverse. Assurdo ancora appare poter auspicare che una delle due visioni possa assoggettarsi o partecipare dell’altra.

Tuttavia, proprio in questa epoca di intolleranza, per chiunque si riconosca nel folle visionario e precursore delle scienze Paracelso o nel severo custode della Tradizione Cattolica Grisebach, è necessario avere il coraggio e la consapevolezza di accettare il prossimo, consci della diversità ideologica e formativa, e di ascoltarlo.

Dobbiamo essere consapevoli che la porta dell’Officina di Paracelso, chiusa al possibile adepto, sia sempre aperta al dialogo ed al confronto, perché è solo in questo modo, è solo influenzandoci e condividendo le idee del fare, che la nostra civiltà non sprofonderà nel baratro di nuove intolleranze e di nuove crociate.

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Autore Alfonso Oriente

Alfonso Oriente, nato a Napoli il 13/06/1965, è Professore di Reumatologia e Riabilitazione Reumatologica presso l'Università Federico II di Napoli. Ha compiuto ricerche in campo immunologico per diversi anni presso la Johns Hopkins University negli Stati Uniti. Appassionato di esoterismo, letteratura, musica rock e jazz, considera il suo vero hobby riuscire a scrivere di queste cose insieme.