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Notte di mezza estate

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Iperico, erba di San Giovanni


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A Midsummer Night’s Dream è un capolavoro di shakespeariana memoria, ove ritroviamo fate, elfi, folletti e magie in gran quantità, ma la festa di mezza estate ha radici ben più antiche e più profonde. Parliamo del Solstizio d’Estate, dal latino sol stetit, il sole si ferma.

Si assiste a questo effetto quando il polo nord punta verso il Sole, l’asse terrestre ha il massimo grado di inclinazione verso l’astro solare. La stella madre culmina il suo apparente viaggio sul nostro orizzonte, lo splendore è al massimo, è il giorno più lungo e, di contro, la notte più breve, ma già inizia il declino che ci porterà all’inverno.

Il percorso che il Sole sembra compiere nel cielo durante tutto l’anno è una sorta di anello che mette in relazione i punti cardinali formando una croce, est-ovest sono sull’asse orizzontale degli equinozi mentre nord-sud su quello verticale dei solstizi.

I popoli hanno scandito le loro usanze guardando sempre il cielo e accogliendo l’alternarsi delle stagioni con dei riti propiziatori affinché il raccolto fosse abbondante e la siccità non prendesse il sopravvento, ingraziandosi gli spiriti con la costruzione di altari-tempio, siti megalitici, menhir, cromlech e dolmen, disposti in modo che nel giorno del solstizio i raggi li penetrassero quasi a rigenerare il cerchio magico.

Il più conosciuto è sicuramente Stonehenge, dove i Celti celebravano Litha, uno dei sabba minori della ruota dell’anno precristiana, che in tutto sono otto e scandiscono l’incessante scorrere delle stagioni. I festeggiamenti avvenivano facendo rotolare ruote infuocate verso corsi d’acqua e accendendo enormi falò per tutta la notte, il legno usato poteva essere solo rami di vischio tagliato e seccato da oltre sei mesi, i fuochi di Balder.

Per i Druidi il viscum album era sacro, lo si raccoglieva il sesto giorno della Luna solo con un falcetto d’oro; i rami non dovevano essere toccati direttamente e nemmeno posati a terra, ma avvolti in un panno bianco di lino per sottoporli, poi, alla trasformazione da veleno in farmaco, capace di guarire tutte le malattie. Da qui l’usanza, arrivata ai giorni nostri, di porre una fronda di vischio sull’ingresso della casa affinché scacciasse i malefici.

Antiche leggende tramandano il continuo scontro tra il re dell’Agrifoglio e il re della Quercia, pianta a cui si avvinghia il vischio. Entrambi i monarchi vincono la battaglia, a fasi alterne, seguendo l’avvicendarsi delle stagioni; la quercia, che rappresenta la luce, soccombe d’estate, mentre l’agrifoglio, simbolo dell’oscurità, perisce d’inverno. Litha rimane estranea alla lotta, poiché raffigura l’asse sul quale girano le stagioni.

Non solo i popoli del nord Europa hanno venerato il Sole e il simbolo che lo accompagna, il fuoco. Le antiche civiltà lo hanno avuto come centro di tutte le religioni, per i Maya Itzamnà raffigura il massimo regolatore di tutte le attività umane. Per gli Inca la divinità Inti è assimilata al sole, per gli indiani d’America la danza del sole Wi wanyang wacipi è un rituale fisso effettuato a giugno. Anche per i cinesi, anticamente, il solstizio d’estate riproduceva il momento in cui l’energia terrena e femminile Yin si rafforza, diversamente da quella maschile solare, Yang, che si affievolisce. In Indonesia il sole si assimila ad un uccello.

Quanto all’area del bacino Mediterraneo lo ritroviamo presente in tutte le religioni, a partire dalla Egizia, all’assiro-babilonese a quella greco-romana, fino a quando il cristianesimo l’ha soppiantata con il culto di San Giovanni Battista, unico santo, insieme alla Madonna e al Cristo, di cui, oltre a festeggiare il giorno della morte, così detto dies natalis, nascere alla vita eterna, si celebra il giorno della venuta al mondo.

Antiche credenze dell’era precristiana raccontano che in questo giorno particolare il Sole convola a nozze con la Luna e, quindi, comincia il suo declino. Per scongiurare eventi nefasti la sera del 23 giugno si usava elargire offerte e sacrifici animali, mettere dei sacchetti contenenti sale dietro la porta per ostacolare l’ingresso alle janare. Usato per indicare donne che si dedicavano all’occulto, questo termine non ha un’unica derivazione, ma lo si attribuisce a più significati diversi, tutti riconducibili in qualche modo al solstizio d’estate.

La coppia sacra Janus – Jana, ianua, in latino porta, appartiene alla tradizione italica, il primo sorveglia il giorno, la seconda la notte. Di solito viene rappresentata da una figura bifronte, in quanto Giano era fuso con Diana, e legata ai concetti di passato e futuro, visto il presente non è rappresentabile. Ma il dualismo è anche quello di sole e luna.

Inoltre, il solstizio d’inverno è anche conosciuto come la porta degli Dei, la festa del cielo, il principio divino maschile; mentre  il solstizio d’estate è la porta degli uomini, la festa della terra, l’elemento soprannaturale femminile; i loro emblemi erano le chiavi e la navicella.

Nella divisione della coppia sacra ognuno intraprenderà il proprio percorso e D-Jana, la Dea della luce lunare terrestre, diverrà la protettrice degli animali, la signora delle selve, dei torrenti e delle fonti, ma soprattutto la soccorritrice delle donne nel travaglio e nel parto, venerata come divinità trina, personificazione del cielo, perché punto di connessione tra la terra e la luna, in antitesi con Ecate, dominatrice del regno dei morti.

Le sue sacerdotesse ben conoscevano i benefici delle piante medicinali che custodivano con grande cura e che raccoglievano proprio la notte del 23 giugno, perché in questa veglia magica dove tutto accade, finanche gli animali parlano nelle stalle, le loro qualità, oltre quelle medicamentose, si amplificano alla massima potenza e sono usate nel vaticinio e come talismani.

Parliamo di arnica, artemisia, cardo, maggiorana, menta, rosmarino, salvia, valeriana, verbena e soprattutto iperico, che fiorisce proprio nella seconda metà di giugno. Vengono raccolte usando solo la mano destra ed in particolare con il pollice e l’anulare. Le erbe vecchie, ormai secce ed inefficaci, devono essere assolutamente bruciate, perché non debbano mai cadere in mani profane. Tali conoscenze, nella cultura del tempo, trasformano le discepole di Diana in streghe, da qui il dispregiativo Janara.

Per proteggere questo sapere, il culto viene praticato di nascosto, nei boschi. Emblematico il loro ritrovarsi, arrivate in volo, intorno al noce, famoso quello di Benevento nei dintorni del fiume Sabato, dove si bagnavano, usandone l’acqua, da qui il termine sabba. Vano il tentativo del Vescovo Barbato che, nel 665, nella speranza di sradicare il culto, lo abbatte.

Anche la raccolta del mallo rientra in questa ritualità ancestrale, in particolare 13 noci verdi lasciate a macerare per 6 mesi insieme ad alcuni aromi, danno vita al famoso Nocino, un tempo sciroppo medicamentoso.

L’esito dell’unione tra il sole e la luna viene espanso su tutti i campi, la rugiada è copiosa e quindi raccolta con veli bianchi e conservata per tutto l’anno, centellinata all’occorrenza. Le sacerdotesse correvano nude coperte solo con questi impalpabili mantelli sui prati sino all’alba, inzuppandoli di rugiada, appunto. Bagnarsi gli occhi con la stessa il 24 mattina dava la capacità di vedere al di là del visibile; le donne, per invocare la fertilità, usavano accovacciarsi sull’erba affinché i genitali ne fossero intrisi.

Nel tentativo di estirpare queste credenze pagane così radicate, soprattutto legate alla tradizione femminile, i padri della chiesa non potevano che contrapporre colui che doveva diminuire, affinché Egli crescesse. La nascita di San Giovanni Battista è datata sei mesi prima di Cristo; entrambe le ricorrenze susseguono di pochi giorni i Solstizi. Tutti i nomi degli antichi rituali sono stati trasformati e riferiti direttamente al Battista: la rugiada di San Giovanni, lo stesso per i fuochi, l’acqua, le erbe, le noci e finanche le streghe Erodiade e Salomè.

La leggenda narra che Erode avesse imprigionato Giovanni, Erodiade sua cognata, folle di gelosia, desiderosa di vendicarsi perché respinta, spinge la figlia Salomè a circuire il tetrarca. La giovane, che si prodiga nella danza dei sette veli, alla fine della stessa, estorce al patrigno la promessa di ricevere su un piatto d’argento la testa del profeta. Alla vista del volto decollato Erodiade, in preda al pentimento, cerca di baciarlo, ma da quella bocca fuoriesce un vento così forte da scaraventare madre e figlia a vagare in aria. Da allora, nella famosa notte, una trave infuocata illumina il cielo, a cavallo di essa ci sono appunto le due donne che ripetono, alternandosi, quasi come un mantra, la frase “Mamma perché me lo chiedesti! Figlia perché lo facesti”.  

In questo periodo la natura tutta festeggia con estremo rigoglio e pieno vigore il culmine del ciclo solare: ancora poche giornate, tuttavia, e le ombre della notte ricominceranno ad appropriarsi del giorno, riportandoci verso le lunghe tenebre invernali: quando le costellazioni della Lira, del Cigno e dell’Aquila, con il loro triangolo estivo di Vega, Deneb ed Altair, cederanno il passo a Sirio e un altro ciclo della natura sarà compiuto. Questi prossimi mesi sono assimilabili alla riflessione, è il periodo in cui il seme macera nella nera terra per poi germogliare rivivendo nella luce alla prossima Primavera.

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Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.