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Massoneria: il simbolismo dell’Aquila e del Pellicano – Parte I

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Il Maestro è dunque colui che arriva a sacrificarsi, donando il suo essere in offerta per la felicità dei suoi discepoli, e, allorché si comprenderà il simbolo del Pellicano e la legge misteriosa, l’Iniziato ucciderà l’Iniziatore.
Gerarde Encausse

Si può parlare solo di quello che si sperimenta direttamente. Sulla via di Ermete o si diventa laboratorio di sé stessi e primo oggetto della conoscenza, o non si è.

Il resto, ben che vada, è solo intuizione, intenzione, testimonianza della dottrina, livello ancora iniziaticamente valido, pseudo conoscenza mnemonica o, peggio, copia-incolla e millantato credito spirituale.

Un esercizio para-rotariano di chi, irraggiato dal mendace riflesso di sciarpe e alamari, ripete a vanvera verità di altri travestite da un sedicente lessico massonico.

Oggetto di questo approfondimento è il tema simbolico/ermetico del simbolismo del 18° grado del RSAA ed in particolare del gioiello in cui sono effigiati l’Aquila ed il Pellicano.

Premesso che il simbolo è sempre un allusione, un dito che indica la luna, ed il significato, il senso nascosto nella forma, spesso è ‘distratto’ dal suo guscio, il cosiddetto ‘significante‘, e che nessuna via iniziatica può essere esaurita o contenuta in un’analisi sistematica o enciclopedica, è altrettanto vero che l’analisi dell’evoluzione storica ci permette di dissotterrare e decifrare, come in uno scavo archeologico, il continuo morphing del simbolo che in realtà afferma una verità inascoltata continuamente ribadita in Massoneria: la progressività della ricerca iniziatica ed il continuo bisogno di aggiornare senso e significato di riti e di simboli in funzione storica dell’evoluzione umana o, ahimè, della sua caduta involutiva.

Prima di calarmi in modo vivente, e soprattutto personale, nella percezione e decodifica intima dei due simboli, mi sembra opportuno ricapitolare il senso dei gradi che precedono l’ascensione al centro della Croce del XVIII grado. È un esercizio difficilmente esauribile in termini verbali, ma ci proverò.

IV GRADO

Essenza: Obbedienza, Fedeltà e Segreto.
Esoterismo: obbedienza e fedeltà non ad un’organizzazione, ad un Maestro, a Salomone o ad una Gran Loggia, MA A SE STESSI.

Nella vita si ricomincia sempre. Parti di sé muoiono e rinascono in continuazione. Il maestro è morto e nessuno ci salverà. Bisogna farcela da soli, anche se questo sentimento angosciante, cosmico è temperato dall’amore dei fratelli. Da qui, oltre il concetto di salvezza, inizia un nuovo cammino di liberazione che per il massone ha un solo nome: costruzione del tempio di Salomone e rettificazione di se stessi, e conseguentemente della società umana, per la realizzazione della libertà personale e collettiva.

Ci si sente smarriti, di fronte un’urna del Sancta Sanctorum dove è racchiuso il corpo del Maestro, ovvero il segreto della conoscenza perduta. I Maestri che lo custodiscono sono al corrente di ciò che l’urna racchiude, ma non in grado di accedervi, poiché la chiave per aprirla è spezzata.

Qui la realtà iniziatica ci spoglia da illusioni ed idealizzazioni. Nella vita ora si cammina soli, in una valle di lacrime che, apparentemente, nemmeno la presenza amorevole dei fratelli, anch’essi sperduti e in lacrime, può temperare e illuminare.

I lavori della costruzione del Tempio non si possono fermare. L’antitesi deve essere superata da una nuova sintesi. Ancora una volta per vivere dobbiamo trasformarci. Per riuscirvi il grado ci indica una via d’uscita: la via dell’Obbedienza, in Silenzio, e della Fedeltà. Nel silenzio, straordinaria è l’analogia con quello dell’Apprendista, dovremmo ascoltare la voce del maestro interiore, confidando che ci possa guidare nelle tempeste materiali ed emozionali della vita.

Il silenzio ci aiuta ad affrontare integri le battaglie con l’imprevedibile, con l’assurdo, con l’impossibile, di fronte al quale si può solo tacere e proteggere la propria intimità. Di contro, in senso ermetico, il silenzio è una cavità muta, segreta, dove risuona l’ineffabile. Ciò che sta oltre i limiti verbali e non verbali, oltre l’esprimibile e tocca quasi il sovrumano. Il nucleo stesso della Vita. Se non si può articolare la Parola perduta, si può, si deve, preparare la cassa armonica del cuore alla pronuncia del Nome. Il cammino dell’esule e dell’eremita è iniziato.

IX GRADO

Essenza: pur possedendo lo status di Maestro, non siamo al riparo da scivolamenti o ricadute. La vendetta verso chi ha ucciso Hiram si deve trasformare in giustizia. Hiram è il maestro interiore. Hiram è dentro di noi.
Esoterismo: il tema segreto e non proiettivo del grado è l’Ego. La vendetta si deve trasformare in azione: l’uccisione non efferata ma graduale e trasformativa del nostro io inferiore. Dobbiamo ‘decapitare‘ il nostro orgoglio luciferino, la nostra superbia: un nucleo cosmico e primordiale. Lo stesso che ci ha precipitato nella Caduta. Questo nuovo salto d’ottava richiede di essere coraggiosi ed inesorabili contro le nostre debolezze. Ed altrettanto impavidi nel difendere la Verità.

Il nono grado del Rito Scozzese Antico e Accettato parla dell’ignoranza, dell’errore e dell’intolleranza che avviliscono e ostacolano l’evoluzione del genere umano. Il simbolismo del grado grida vendetta per la morte di Hiram. L’arredo simbolico del Tempio trasmette dolore, solitudine e smarrimento.

Il Rituale, attraverso la voce del Potentissimo, recita:

Noi non sappiamo da dove veniamo, né ciò che siamo, né ciò che la morte farà di noi. Nulla comincia, nulla finisce, tutto si trasmuta incessantemente.

Ecco che in Oriente riecheggia il Sutra del Cuore buddista a confermare l’unità trascendente delle diverse vie:

Così penseremo questo mondo fuggevole: come una stella all’alba una bolla d’aria in un fiume, un lampo in una nuvola estiva, un lume tremulo, un fantasma o un sogno.

Gli fa da controcanto una parabola Zen:

Non c’è nessuna mente, per cui non puoi metterla in nessun stato particolare. Non c’è nessuna verità, per cui non puoi esercitarti a cercarla.

Al discepolo smarrito che non riesce più a seguire e a capire l’insegnamento, il Maestro risponde:

Neanche io riesco a capirmi.

Hiram è morto, forse per sempre, o forse non c’è mai stato, vittima dall’immemorabile conflitto ancestrale tra coloro che vessano gli uomini e coloro che, viceversa, tentano di liberarsi e liberarli. Ma il segreto è che tutto ciò avviene eternamente, oltreché nel macrocosmo, prima e soprattutto, dentro noi stessi.

Lo Straniero è la nostra natura divina, riconosciuta facilmente da Salomone come guida per portare i Cavalieri Eletti alla rivelazione legata all’assassinio di Hiram.

Lo Straniero è uno stato di coscienza, l’apertura all’ascolto della guida interiore che innesca l’opera di risveglio e poi misteriosamente ‘scompare‘.

Mi duole sottolineare che nell’intermezzo del salto quantico che corre tra il IX ed il XVIII grado, non venga più praticato il XIII grado, Cavaliere dell’Arco reale, la cui trama esoterica è fondata sul reperimento di un tempio ancestrale ed ipogeo costruito da Enoch sotto le rovine del distrutto tempio di Salomone. In altri riti ‘paralleli‘ allo scozzese, in particolare in quelli egizi, si fa riferimento alla cosiddetta ‘leggenda dei Magi’.

A differenza della versione scozzese, i nove nomi di Dio incisi su nove archi diventano i nomi delle Sephiroth della Qabbalah e i tre Maestri Architetti, Guibulum, Johaben e Stolkin, sono sostituiti da tre Magi, un Maestro e due discepoli. Ritengo questo grado un anello mancante, specie nella più esplicita versione ‘Memphis‘, non solo perché introduce un tema a mio avviso illuminante in quanto porta sul palcoscenico del Tempio, pur limitatamente ad una mera elencazione, le Sephirot dell’Albero della vita, ma perché ci sconvolge e ci ammonisce sui limiti e sui rischi della ricerca, sul bisogno assoluto di gradualità e sul pericolo involutivo di sprofondamento nel ‘cono d’ombra‘ infraumano di un cammino vietato che non osserva le leggi ed i limiti tracciati dal Principio Divino per la creatura uomo.

La leggenda si svolge in un tempo successivo alla morte di Hiram e di Salomone, dopo la distruzione del Tempio da parte di Nabucodonosor. Tre Magi iniziati, provenienti dalla terra di Babilonia, si recano in pellegrinaggio sulle rovine di quello che fu il centro di ogni saggezza. Nel corso del sopralluogo scoprono, sotto un muro diroccato, un’apertura oscura e profonda. Dopo averla allargata, grazie all’ausilio del sole che brilla allo zenith, scorgono sul fondo il luccichio di un oggetto misterioso.

I Magi, guidati dal Maestro più anziano, si calano nelle profondità della terra, legandosi in cordata l’uno con l’altro. Una volta toccato il suolo il Maestro raccoglie il gioiello triangolare con inciso il Nome ineffabile, lì gettato da Hiram prima di cadere sotto i colpi dei compagni assassini. Lo indossa con la scritta rivolta verso l’interno. Da lì in poi gli Iniziati intraprendono un viaggio nel grandioso tempio sotterraneo attraversando 10 porte, che riescono ad aprire, una dopo l’altra, pronunciando i nomi delle Sephirot dell’Albero della Vita e apprendendo, via via, conoscenze sempre più stupefacenti e profonde. Poi il Maestro trova una pietra d’agata, simbolo della ‘concezione suprema‘.

I Magi più giovani, un attimo prima di pronunziare ‘il Nome‘, vengono zittiti dal Maestro che intima loro di non pronunciare la parola ineffabile. A questo punto il vecchio Magio rivela che la pietra fu collocata in quel luogo non da Hiram, ma da Enoch, il primo iniziato-iniziatore, che non morì mai e che sopravvive nei suoi figli spirituali. I due Magi, distolgono l’attenzione dalla Pietra, si dirigono davanti a un’undicesima porta accuratamente dissimulata e chiedono l’assistenza del Maestro per aprirla.

Il vecchio Magio si rifiuta perentoriamente di farlo, spiegando che la porta deve restare chiusa in quanto nasconde un mistero terribile. Ciò nonostante i due incauti iniziano a pronunciare tutte le parole che vengono loro in mente. Infine, già sul punto di rinunciare, uno dei due commenta ad alta voce: “ma non si può continuare all’infinito”. A questa parola, in ebraico En Soph, la porta si spalanca con violenza e si leva un vento furioso che spegne le lampade magiche. Con immane difficoltà i tre riescono a chiuderla.

Come sottolinea il Fratello Hermeticus nel libro ‘Le dieci porte‘ pubblicato da Venexia editrice:

Questa leggenda rappresenta evidentemente un viaggio sotterraneo sulle tracce di una Tradizione perduta. Il tempio ormai ridotto in rovina simboleggia infatti le vestigia di tale Tradizione, che l’Iniziato deve faticosamente esplorare per rinvenirne brandelli di Verità; ma gli insegnamenti più preziosi non sono andati perduti e una mano divina li ha sottratti alla distruzione, perché gli uomini di buona volontà di ogni tempo possano sempre ritrovarli. Non ci si stupisca del fatto che la dimensione della verticalità sia affrontata verso il basso invece che verso l’alto: tutte le tradizioni iniziatiche affermano che occorre prima scendere per poi risalire (l’esempio più noto è rappresentato dalla Commedia dantesca, il cui protagonista deve discendere fin nelle profondità più oscure dell’Inferno prima di uscire a riveder le stelle e poter accedere ai mondi più elevati). Il viaggio termina con il ritorno sulla terra: per quanto si approfondisca la conoscenza di sé stessi e ci si immerga negli abissi misteriosi dell’Universo, si dovrà sempre ritornare al mondo terreno e portare nella vita di tutti i giorni i tesori spirituali scoperti, sempre che si riesca a sopravvivere.

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Autore Hermes

Sono un iniziato qualsiasi. Orgogliosamente collocato alla base della Piramide. Ogni tanto mi alzo verso il vertice per sgranchirmi le gambe. E mi vengono in mente delle riflessioni, delle meditazioni, dei pensieri che poi fermo sul foglio.