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Il microcosmo presepiale: allegoria di un viaggio

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Presepe - ph Rosy Guastafierro
Presepe - ph Rosy Guastafierro


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La patina del tempo nulla risparmia, anche le tradizioni non sfuggono alla regola e, soprattutto nei passaggi generazionali, rischiano di perdere forza nella loro funzione sostanziale, quella di rimandare ai valori fondanti della cultura che le ha generate.

Alcune, tuttavia, sono così profondamente radicate da perpetuarsi con rinnovato vigore nei racconti e nei gesti da assumere una valenza rituale. Il presepe, nella sua costruzione, è una di queste.

Sembra una rappresentazione scenica, quasi una fotografia tridimensionale della Notte Santa, ma, guardando l’intero contesto con occhi capaci di vedere, ci si rende conto che la staticità è solo apparente e, ogni anno, riscopriamo il miracolo di un dinamismo intrinseco.

Con il trascorrere del tempo, con il passare dei giorni, registriamo mutamenti profondi, a partire dalla mangiatoia, che, inizialmente vuota, si riempie, ma, si badi bene, non mediante una semplice azione meccanica, non si pensi che il sacro pastorello venga preso dalla scatola e posto tra il bue e l’asinello.

In realtà, resta protagonista per tutto l’anno, in quel cantuccio sopra al secrétaire, insieme alle immagini dei cari estinti, un altarino non proprio improvvisato, messo a protezione della casa e dei suoi abitanti, dove non manca mai una piccola lampada votiva.

Allo scoccare della mezzanotte del 24 dicembre, la padrona di casa preleva il bambino e, secondo alcune tradizioni familiari, lo affida nelle mani dell’ultimo nato fra i presenti, affinché venga portato in processione per ogni angolo della dimora e giungere davanti alla grotta, dove viene deposto dopo aver ricevuto l’omaggio di tutti con un bacio sulla fronte.

Resterà nel trogolo per le 13 notti sante sino al 6 gennaio, che secondo alcune ricerche storiche, corrisponderebbe alla reale epifania di Cristo.

Non è l’unica metamorfosi che è possibile cogliere, perché questo microcosmo, in realtà, non è altro che la raffigurazione del viaggio allegorico, con tutto il suo alto valore simbolico, che si esplicita attraverso gli incontri effettuati, i pericoli affrontati, il sottrarsi ai tranelli, ma soprattutto le scelte compiute ad ogni bivio.

Emblematico è il corteo dei Magi, inizialmente collocati sulla prima collina, dal lato orientale più estremo, statuine in groppa a splendidi cavalli, bianco, rosso e nero, che indicano, rispettivamente, l’alba, il mezzogiorno e il tramonto, metafora del processo alchemico.

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori in ‘Quanno nascette Ninno’, primo canto religioso in lingua napoletana e precursore della ben più nota ‘Tu scendi dalle stelle’, riporta:

Maje le stelle lustre e belle
Se vedettero accussì
La cchiù lucente
Jette a chiammà li Magge a l’Uriente.

Ma chi sono costoro in realtà?

Personaggi realmente esistiti o semplice frutto della fantasia popolare per rappresentare l’incontro tra le tradizioni culturali orientale e cristiana e la vocazione ecumenica di quest’ultima?

In effetti, di loro vi è accenno nel Vangelo di Matteo, che afferma

Alcuni magi giunsero da Oriente a Gerusalemme…

senza specificare altro, mentre nel libro ‘La Caverna dei Tesori’, il più antico testo, probabilmente siriano, giunto a noi e a sua volta tratto da un manoscritto ben più datato, si racconta che erano tre sovrani e figli di monarchi: Hormizd, re di Persia, Yazdegerd, re di Saba, e Peroz, re di Seba.

Nel vedere apparire in cielo una strana stella con al centro una vergine e in grembo un bambino incoronato, si recano sul monte Nud per prendere dalla Caverna dei Tesori i doni da portare al Messia deposti lì da Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso.

Questa leggenda siriaca ha ampia diffusione in tutte le terre del Mediterraneo con traduzioni in varie lingue e con l’unica variante nei nomi, mentre rimangono immutate la provenienza dai domini dell’Impero persiano, l’appartenenza ad una delle sei tribù dei Medi, ovvero la casta sacerdotale detentrice di conoscenze magiche ed astronomiche, la conseguente capacità di interpretazione dei segni premonitori e il fasto del loro seguito.

Melchiorre, la cui traduzione corrisponde a “il mio re è luce”, è un vecchio con una lunga barba che offre in dono uno scrigno pieno di oro, a ricordare il suo essere regale.

Gasparre, il cui significato è “colui che splende”, è un giovane dalla carnagione scura e senza barba e reca in omaggio incenso per esaltare la sua divinità.

Baldassarre, che in arabo vuol dire “Bel protegge il re”, dalla pelle color dell’ebano e una folta barba nera, porta infine la mirra, un olio dal profumo persistente con il quale si ungono le salme, in memento della futura morte.

Si racconta anche di un quarto re, Artaban, che rapito e rapinato, seppur lacero e malridotto, riesce in ogni caso ad arrivare alla mangiatoia e porge l’unica cosa a lui rimasta: il suo cuore!

In questo ricco corteo, nella riproduzione settecentesca, viene esaltata una figura femminile: una donna bellissima, dai tratti eleganti e dalla pelle luminosa, che indossa un ricco vestito esotico, sul cui capo spicca un turbante con pietre preziose incastonate.

Le sue origini regali sono sottolineate dal fatto che è posta su di una portantina sostenuta a braccia da quattro schiavi. Viene chiamata la Re Magia o, anche, la Giorgiana.

Osservando da un’ottica simbolico – esoterica la realtà raffigurata nel presepe, questo personaggio altri non è che la rappresentazione della Luna dopo aver completato il percorso intrapreso incarnando la dea Diana, dispensatrice di sovranità, nell’identificazione e sovrapposizione con ulteriori divinità femminili orientali.

Da non trascurare che a Napoli la Chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, prima basilica consacrata alla Vergine Maria, nel 525, insiste proprio sul tempio dedicato alla protettrice delle partorienti.

La peregrinazione dei Magi, cominciata nel punto estremo dove sorge il Sole, ha una meta specifica: l’incontro con la Luce Divina, ovvero la Rinascita intesa in senso iniziatico.

Abbandonare le cavalcature e, con infinita umiltà, prostrarsi dinnanzi al Maestro, riconoscendo la sua spiritualità, comunica l’intento e la forza di animo di colui che, malgrado il proprio lignaggio, ha la predisposizione ad apprendere.

Per cogliere nella sua pienezza il messaggio del mondo presepiale è necessario evitare di ridurlo ad un racconto fiabesco, quasi fuori dal tempo; al contrario, occorre ricordare che tutti i suoi personaggi incarnano sia le debolezze che le virtù umane.

Un’autentica presa d’atto della propria condizione intrinseca, dove ognuno si identifica riuscendo a scegliere l’esempio da emulare o, di contro, respingere, nell’affannoso tentativo di giungere alla Verità.

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Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.