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Dal confinamento sanitario degli esseri ai confini salvifici dell’essere

1997
Confinamento


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L’autore di questo articolo non è un massone.
Abbiamo scelto però di pubblicarlo in questa rubrica perché costituisce un esempio di quanto auspichiamo per la Massoneria: la capacità di confrontarsi con le sfide del presente non sul piano sociale o politico, ma partendo da una visione iniziatica della realtà e della Storia.
Questa lettera è rivolta a credenti e non credenti, perché fa appello all’istanza spirituale insita in ogni essere umano. È in questo senso che noi intendiamo i riferimenti alla Pasqua, interpretata come momento fondamentale di Risveglio e reintegrazione nell’ambito di un percorso iniziatico autentico.

“Éric Coulon, ex docente di filosofia, è fondatore e direttore dall’Università Libera della Conoscenza https: //universitelibreconnaissance.fr e fondatore del Cabinet Cura (inventore della logoprassia)” https://cabinetcura.fr” Ringraziamo l’autore di aver accettato la traduzione e la ripubblicazione dell’articolo, apparso per la prima volta sul numero 2/4 del 2020 della rivista culturale francese ‘La Lettre du Crocodile’, pochi giorni prima della Pasqua 2020. Sul sito di questa rivista potete trovare la versione integrale, in francese, della lettera.
Hermeticus

Estratto

Ai vicini, al prossimo e ai lontani,
Che sono sottoposti alla prova di questa reclusione forzata,
Questo viatico di una parola attenta alla chiarezza,
Che apre la prospettiva di un viaggio immobile
E benefico ai fertili confini dell’intimo.

Cari,
eccoci rinchiusi in casa, confinati come si suol dire, da diverse settimane. È stato improvviso e durerà, si annuncia, ancora qualche tempo, un tempo che, per noi altri, i non decisori, non esperti, possiede, bisogna ammetterlo, una dimensione indefinita – l’indeciso e l’instabile sono più che mai il nostro destino in questi tempi che corrono, accelerano e si oscurano.

Come testimoni o parti in causa, di fronte a situazioni piuttosto eccezionali, noi francesi a volte ricorriamo, su questo punto sarete probabilmente d’accordo con me, ai proverbi; questa chiamata in causa serve, secondo i casi e gli stati d’animo, per fare luce su queste situazioni, riassumerle, giustificarle, denunciarle ma anche accusare il colpo, sollevarsi il morale o sapere come comportarsi.

Meditando sulla nostra sorte attuale, ce n’è uno che mi è subito venuto in mente, come a molti di voi; questo proverbio – provvidenziale? – è il seguente: faire contre mauvaise fortune bon cœur (in italiano “far buon viso a cattivo gioco”).

Si presenta sotto la forma di un consiglio da seguire indicando una condotta da adottare.

Durante la ricerca che ho quindi intrapreso per scoprire la saggezza e il buon senso di cui, in quanto proverbio, dovrebbe essere portatore, mi è parso che esso contenga effettivamente qualche luce rilevante quando si decide di applicarlo ad eventi contemporanei ma, ancora più importante e decisivo, che esso catalizzi e cristallizzi numerose riflessioni, problemi e paradossi fondamentali – riguardanti questioni sia teoriche che etiche – che da diversi anni mi si impongono sul significato del nostro tempo e sulla crisi che sta attraversando. Così ho deciso che questo proverbio, su cui avrei dovuto lavorare intensamente raccogliendone e allo stesso tempo neutralizzandone le evidenze, nel costante rispetto della sua integrità, mi sarebbe servito come punto di partenza, fulcro e filo conduttore per questa lettera che vi mando.

Per cogliere e trarre vantaggio dalla verità di esperienza profonda detenuta da questa locuzione proverbiale, parola, lo rivelo senza indugio, profondamente istruttiva, per non dire iniziatica, per ciascuno di noi riguardo a ciò che stiamo vivendo attualmente, vi propongo di scomporla in tre poli significanti; tuttavia questa divisione operativa non arriva mai a rompere l’unità e l’articolazione semantica che esiste tra di loro.

Ho chiamato questi tre poli: azione (“faire contre“, fare contro); situazione (“mauvaise fortune“, cattiva sorte); risorse (“bon cœur“, letteralmente buon cuore, spirito positivo). Il proverbio così ridotto alle sue tre principali componenti formali può essere riformulato come segue: di fronte a una situazione specifica che ci viene imposta, è necessaria la mobilitazione di una risorsa che ci è propria, affinché una determinata azione richiesta venga avviata e portata a termine.

Cercherò, attraverso ogni parte di questa lettera e la sua interezza, di trasmettervi il significato, i valori, la poste in gioco e le conseguenze concrete e globali di ciò che sta avvenendo oggi. Il mio obiettivo è in definitiva quello di mostrarvi, a partire da questo proverbio che la dice lunga, dove siamo ora a livello globale, ma anche ciò che ognuno di noi può fare e sperare di essere e, infine, l’impatto che questo impegno e questa trasformazione personale possono avere sulla nostra esistenza e, a certe condizioni, sullo stato attuale delle cose. Spero anche di convincervi che questa reclusione sanitaria a cui siamo costretti possa diventare, se la verità del proverbio si realizzasse in carne e ossa per ciascuno, una salutare esperienza individuale.

 È con una situazione eccezionale che abbiamo a che fare, gli uni e gli altri, individui e comunità, ne converrete. La situazione in questione è soprattutto la pandemia che si è abbattuta e diffusa rapidamente sul pianeta, generando in ultima analisi una crisi sanitaria globale, di cui una delle conseguenze subite da popolazioni e individui, noi compresi, è di trovarsi soggetti a un regime, più o meno rigido a seconda dei casi, di reclusione. Questo è ciò che, a prima vista, possiamo qualificare come “cattiva sorte” per noi. In ogni caso, questo è il “contro” a cui dobbiamo reagire.

Quanto alla causa di una tale situazione, ma anche di questa (dis)misura governativa assolutamente senza precedenti di un confinamento di tale portata, ci è ormai nota: si tratta di un virus.

Il virus incriminato viene quindi designato quasi all’unanimità, almeno dalle voci ufficiali e dominanti, come nostro nemico e, di conseguenza, i paesi aderenti a questo consenso si sono più o meno rapidamente messi in ordine di battaglia. “Siamo in guerra” è stato anche più volte martellato, col tono dell’evidenza più sicura e legittima, dal nostro capo supremo degli eserciti francesi.

In generale, segnaliamo innanzitutto che l’uso, in relazione al virus, dei termini “nemico” e “guerra” è, secondo il nostro approccio al corso delle cose, fondamentalmente sbagliato; solo un cambiamento del punto di applicazione lo renderebbe adeguato.

Per far luce sul giudizio che abbiamo espresso sull’uso, errato ai nostri occhi, dei termini “nemico” e “guerra” in relazione al virus, agirò ora e per il futuro come avvocato, non del diavolo, ma di questo stesso virus, la cui esistenza e la cui attività diventano la causa che difenderò. Correndo il rischio di sconvolgervi e farvi così abbandonare questa lettura, io avanzo, come argomento principale a mia difesa, il fatto che, lungi dall’essere nostro nemico, il virus in questione è in realtà il nostro alleato invisibile, certo involontario.

In effetti, la misura del confinamento che ha provocato a causa della sua espansione è per noi, voi ed io, anche se alcuni lo ignorano, anche se per certi versi fonte di difficoltà o di tragedie terribili, una benedizione. Sia chiaro, non è il virus o la sua azione di per sé che diventino potenzialmente benefici per noi, ma proprio questo effetto sociale rappresentato dal confinamento.

Quindi, eccoci massivamente confinati. Questa prova è vissuta individualmente, all’interno della sfera privata, e ciò è importante. Chiediamoci allora che cosa comporta concretamente questo stato di cose senza precedenti. In quanto situazione assolutamente eccezionale, sia per la sua ampiezza che per la sua durata, non possiamo ovviamente prevedere tutti gli impatti attuali o le conseguenze a venire.

Peraltro, si possono isolare due elementi importanti per l’essere umano e per le società: da un lato, l’estremo rallentamento, o anche in certi casi, l’arresto più o meno totale, del movimento in avanti, inerziale e cieco, delle mode e delle tendenze di vita contemporanee; dall’altra, la rarefazione, e anche qui in alcuni casi l’interruzione pura e semplice, di molti consueti riti sociali.

 Il primo corrisponde a un vero e proprio sconvolgimento / capovolgimento delle dinamiche umane contemporanee, sostituendo – non del tutto, è vero – a un movimento centrifugo (individui e popoli trascinati nell’irresistibile marcia in avanti dello sviluppo economico) un movimento centripeto (il ritorno e il mantenimento delle persone in casa, la chiusura generale delle frontiere e l’immobilizzazione di flussi di ogni tipo); passando da un’espressione generalizzata a una compressione massiva, da un riversamento esibizionista all’esterno a un misurato ripiegamento interiore, da un nomadismo frenetico e spudorato a un sedentarismo drastico e regolato, da un’economia spendacciona a un’economia di guerra, da un’accelerazione esponenziale a un rallentamento improvviso, da uno spreco energetico a un risparmio (di tutte le energie, naturali e umane), da un’agitazione sfrenata a una staticità carica di tensioni, da un’espirazione smodata e da una saturazione critica a un’ispirazione febbrile e un’asfissia critica, dall’invasione dello spazio pubblico all’occupazione dello spazio privato.

Quanto al secondo elemento, si manifesta con l’impossibilità per le persone di incontrarsi e fare società, con lo strappo degli individui dai loro ruoli sociali, con la limitazione della loro partecipazione al grande carnevale sociale, con la comparsa di uno spirito di pesantezza e di diffidenza al posto di un clima di festa e di fiducia, in verità già molto artificioso e superficiale perché contaminato da un clima di guerra di tutti contro tutti.

In che modo sarebbe positiva per noi questa nuova configurazione psicosociale, direte voi? Ma forse cominciate già a intravedere dove voglio arrivare. Sapete già probabilmente che la maggior parte delle pandemie che siamo stati in grado di registrare storicamente fino ai giorni nostri sono sorte durante squilibri maggiori dovuti a grandi sconvolgimenti in campo sociale e/o ambientale, in particolare nei campi dell’agricoltura, della guerra, del commercio, dei viaggi migratori, delle grandi scoperte, dell’urbanizzazione, del lavoro, della colonizzazione o anche della globalizzazione del commercio. è proprio uno di quei momenti di crisi eccezionale ma anche, lo affermo a rischio di farvi sobbalzare, di soglia tra civiltà, che la nostra epoca sta attraversando, con l’unica e notevole differenza che il nostro mondo contemporaneo presenta una tale complessità e interdipendenza sistemica da rendere difficile circoscrivere un unico ambito a cui attribuire questo stato di cose. Quello che è certo per me è che la crisi che stiamo vivendo, inclusa la pandemia, proprio perché globale, va pensata come un Pharmakon, come un momento farmacologico, cioè sia come veleno che come rimedio.

 Mi concederete che conosciamo già estesamente molti dei suoi lati dannosi (per l’uomo e per la natura) per soffermarci su di essi. Piuttosto, vorrei concentrarmi sul versante potenzialmente salutare di questa crisi, soprattutto attraverso ciò che ci sta accadendo ora.

La rottura che stiamo vivendo e il confinamento che l’accompagna, rispettivamente il primo e il secondo elemento visti sopra, ci offrono effettivamente due possibilità congiunte per agire in direzione di una trasformazione positiva dei nostri comportamenti. Per questo meritano, credo, di essere studiati e presentati.

Dapprima la rottura. Questa sospensione duratura delle attività, delle prestazioni e delle inerzie utili alla macchina socio-economico-politica è favorevole all’apertura di un tempo riscoperto, da dedicare a una riappropriazione riflessiva e operativa delle grandi questioni chiave dell’umanità (Chi siamo? Da dove veniamo? Dove stiamo andando? Che cosa significa abitare il mondo? A cosa aderiamo? A cosa vogliamo aderire? Dove siamo? Su cosa dovremmo concentrarci? Kant ha proposto: che cosa devo fare? Che cosa posso sperare? Che cosa possiamo conoscere?), così come a un riorientamento concertato e radicale dei nostri interessi, del nostro investimento e del nostro impegno nei confronti di questioni e valori relativi alla formazione, all’autonomia, alla dimensione spirituale e alle aspettative essenziali dell’essere umano, al rispetto dell’uomo e della natura, alla verità, alla bellezza, alla giustizia, alla creazione, all’ecologia, all’armonia tra esseri e popoli.

Quanto al confinamento, come non vedere che dietro all’obbligo di restare a casa si nasconde, o meglio diviene possibile, una situazione favorevole a una conseguente rivoluzione personale? Perché essere a casa diventa potenzialmente, in questo momento, per ciascuno, un essere vicino a se stesso, modalità identificabile non con una fuga psicologica nell’intimo ma con un’apertura fenomenologica e metafisica all’interiorità, cioè alla Presenza universale, fondatrice e regolatrice.

A questo livello di esperienza, capirete, non ci troviamo più in presenza del solo piano individuale ma anche del mistero dell’interiorità che gli appartiene, livello che noi crediamo essere l’unico importante perché, molti sono i pensatori o gli uomini di cuore e di spirito ad averlo sottolineato in precedenza, è cambiando prima se stessi che si può sperare di cambiare profondamente e in modo duraturo il corso e la natura delle cose.

Assicuriamoci quindi, anche se non si tratta più di volontà, come vedrete, che ciò che subiamo e che tende a mantenerci nella passività e nell’attesa, si trasformi in una prova iniziatica di conversione.

Questo ritiro imposto dal mondo della frenesia e delle preoccupazioni mondane può infatti essere vissuto come un ritiro inaspettato che favorisce la manifestazione di questa tonalità affettiva fondamentale, non psicologica, che è la preoccupazione ontologica per il sé, l’unica che consenta di prendersi finalmente cura di sé in maniera coerente.

Questo ritorno in se stessi è facilitato dall’abbandono forzato di rituali, abitudini e scambi sociali, dall’emersione improvvisa dal campo degli obblighi e dei discorsi sociali, in una parola dall’estrazione e dal mantenersi, manu militari, a debita distanza dal cerimoniale imposto dalla matrice sociale. Un possibile effetto benefico è allora la riduzione della presenza del socius in noi, quella componente sociale del comportamento e della vita mentale di un individuo che molto spesso diventa la fonte nascosta di un condizionamento pervasivo e di un conformismo saliente.

Ma affinché tutte queste potenzialità operative si attuino, affinché l’assalto delle forze virali e la reclusione si trasformino in una prova salvifica, perché la “cattiva sorte” si trasformi in “buona sorte”, ma anche perché coloro che sono morti a causa del virus non siamo morti invano, è necessario che rompiamo con le nostre abituali inerzie, che evitiamo di importare e riprodurre a casa le nostre cattive abitudini, che freniamo la nostra dipendenza e il nostro attaccamento al sociale (in particolare diminuendo drasticamente e diventando vigili e critici nei confronti del nostro uso delle tecnologie di comunicazione, cavallo di Troia del socius), che non trasformiamo le nostre case in grotte alienanti come quelle descritte da Platone e che superiamo l’ansia del nulla che generalmente ci fa fuggire dalla prova essenziale della liberazione.

In particolare, è proprio questo rapporto distorto con l’angoscia, a un tempo sconfitta e distrazione, a costituire la fonte del nichilismo, che annienta il nostro fondamento ontologico-spirituale, che ci fa preferire allo stato di libertà quello del divertimento, alla luce il calore, allo sforzo la comodità, alle esperienze di risveglio ed edificazione i palliativi e gli espedienti di una pace alienante, che ci schiaccia in permanenza sul suolo pesante, ma rassicurante per molti, delle evidenze immediate e degli impegni mondani.

Il rispetto di questi imperativi etici è il prezzo da pagare se vogliamo rinascere, crescere e maturare, se vogliamo fiorire personalmente e, infine, se aspiriamo a riconquistare (alla fine, dopo, a un certo punto, attraverso un lungo, lento, progressivo e ragionato ritorno all’esterno, attraverso un movimento animato dallo spirito) l’altro e la natura.

Non si tratta quindi più di accontentarsi di “fare contro”, occorre anche svolgere un’opera alchemica di trasmutazione, un’azione salutare che riguarda prima tutto questa carne-materia (unità corpo, affetto e spirito) che noi stessi siamo.

Ho finito per usare il termine “spirito”, dato che l’espressione proverbiale di origine latina faceva in realtà riferimento allo spirito. Raccogliendo questo termine, lo userò, per il bene della nostra causa, secondo due diversi significati: spirito nel senso di facoltà, o ragione, da un lato, e, dall’altro, spirito nel senso di questo modo di essere fondamentale che è l’essere spirituale. Le due realtà così designate devono essere percepite come intimamente legate tra loro, anche se solo molto raramente ci rendiamo conto di questo legame, ossia ne prendiamo coscienza e lo compiamo.

Ciò che ci insegna dunque, in un primo tempo, la seconda parte della locuzione avverbiale è che, di fronte a ciò che ci accade, la nostra condotta deve essere posta sotto il comando della ragione, che occorre comprendere sia da un punto di vista razionale che ragionevole. Dobbiamo innanzitutto, alla maniera degli stoici, discernere ciò che dipende da noi e cosa no, accettare in tutta coscienza che si compia il secondo e lavorare lucidamente sul primo. In tal senso bisogna conservare la ragione, in particolare anche per non perdere la direzione e lo spirito di fronte alla gigantesca ondata di affermazioni e commenti che sommerge Internet e la televisione, fenomeno che non fa che confermare l’esistenza di questa fase delirante nella quale è entrata la civiltà occidentale.

Poi, si tratta di non lasciarsi scoraggiare, andando oltre le reazioni puramente psicologiche e attivando, facendo un passo indietro e verso l’alto, un lavoro di riflessione sulla situazione, la sua origine, la sua natura ma anche il suo futuro. In fondo è questa risorsa primaria che va implementata affinché si attuino e siano portati a compimento, con la speranza non di successo ma di mantenimento della rotta e della posta in gioco, i cantieri, siano essi politici, etici o spirituali, evocati nella parte precedente.

Andiamo ora più lontano, anzi più in profondità, alla ricerca di altre risorse da cui trarre vantaggio e interessiamoci a questo spirito, di cui non solo bisogna far prova, come abbiamo appena visto, ma che, a rischio di diventare infedele al proverbio, dobbiamo mettere alla prova.

Essere spirituali non è possedere una facoltà, che la si chiami ragione o spirito, non è attualizzare una proprietà o una caratteristica possibile, non è agire in questo o quel modo, compiere questo o quel rito, appartenere a una confessione o all’altra, a una religione o a un’altra; è rispondere, nella propria carne e nella propria esistenza, di una dimensione fondamentale propria di ogni essere umano, di un modo d’essere singolare, che gli preesiste e che eredita ricevendo l’essere in generale, che gli spetta come un destino e del quale ha la responsabilità finale. Essere spirituali è, singolarmente da parte di ciascuno, aprirsi al di là del materiale, del bisogno, dell’immediato, dell’utile e dell’efficace, è andare oltre le particolarità, trascendere le proprie condizioni e mirare all’universale, è far ritorno a se stessi e superare se stessi (verso e in un altro se stesso, verso gli altri o verso l’Altro), è assumere la nostra filiazione e la nostra destinazione spirituale, è amare ogni cosa incondizionatamente, è interrogarsi sull’origine, la ragion d’essere, il senso e lo scopo dell’esistenza, è cercare misura, bellezza e verità, è costruire dei valori morali, estetici, intellettuali e spirituali, è creare opere e cultura, è costituire un sapere operativo, è meditare e praticare esercizi spirituali.

Essere spirituali è entrare nel cammino spirituale che si apre allora a noi stessi e che ci mette in contatto e in cammino verso ciò che ci supera e ci eleva: l’Essere Supremo, l’Essere dell’essere situato oltre l’essere – ancora una volta non un essere particolare, ma la fonte donatrice di Vita, l’origine di ogni manifestazione, di tutto l’apparire e di tutti i modi di essere, la Presenza luminosa che si illumina e si glorifica di ciò che è presente.

La crisi che la nostra epoca sta attraversando, e più in particolare il confinamento di cui facciamo esperienza, sono condizioni appropriate, senza peraltro essere sufficienti, lo avete capito, perché non solo si manifesti ma anche si esprima l’essere spirituale. Tuttavia, attenzione, perché ci sono risposte e reazioni a questa crisi e questo isolamento che possono solo bloccare questa manifestazione dell’essere spirituale e rinchiuderci nel circolo vizioso dell’immanenza nichilista.

Forti di questa osservazione, e al fine di sfuggire ai vicoli ciechi nichilisti, mostriamo “spirito positivo”, cioè agiamo secondo lo spirito dell’essere spirituale; facciamo in modo che lo straordinario della nostra situazione denunci e respinga lontano dietro di noi l’ordinario dei giorni precedenti, con le sue abitudini deleterie; facciamo che questa condizione straordinaria ci faccia uscire definitivamente, almeno individualmente, da questo ordinario malsano che riempiva i nostri giorni prima; facciamo, infine, che questa situazione subìta diventi una stazione acquisita sul cammino dell’essere e del divenire spirituale, la stazione di una sorta di Pasqua personale.

La potenziale risorsa è lì, che vibra nel cuore dell’essere, irradia ai confini misteriosi del nostro essere, situata in un luogo nascosto ai profanatori e inaccessibile a tutti i virus, eternamente in osservazione dei nostri punti di forza e di debolezza, pronta fare la sua opera di trasfigurazione e trasformazione, come un essere divino che, in guardia, attende, imperturbabile ai capricci degli uomini, l’ora imprevista, l’ora improbabile, l’ora provvidenziale, in cui scaturire prontamente per penetrarci con le sue frecce numinose. Allora avverrà improvvisamente lo straripamento salvifico dell’invisibile (lo spirito), evento reso possibile grazie al precedente straripamento dell’invisibile (virus); saremo allora sopraffatti dall’amore, dalla gioia e dalla luce che non sono di questo mondo e che trasformano coloro che penetrano e invadono.

Per prima cosa approfittiamo, per chi può, della calma, del tempo, della quiete, della solitudine, del silenzio che ci offrono per mettere in atto un certo numero di pratiche ed esperienze che chiameremo con un solo nome: esercizi spirituali. Il concorso di opere, qualunque esse siano, libri, musica, canto, danza, documenti e scambi culturali è vantaggioso, a condizione che tutto ciò non diventi rifugio o divertimento, ossia nuove presenze invadenti e distraenti.

In linea generale e ideale, supporremo che gli esercizi spirituali, qualunque sia la loro forma, debbano portarci a rinunciare alle armi delle false guerre contro i falsi nemici; a smobilitarci dalle campagne mondane; a non insistere più nel volere e nel voler volere; ad andare oltre le scelte e le non scelte; a prendersi il tempo per superarlo e accedere all’eternità; a diventare il più umile possibile; a lasciar essere e accadere il mistero; a spogliarci mentalmente di tutto ciò che ci lega alle preoccupazioni, alle priorità e alle questioni mondane; a distaccarci da noi stessi, dagli obblighi che ci vengono imposti e dalle azioni che proiettiamo nel mondo; a ricentrarci e concentrarci non su noi stessi e su una certa interiorità psicologica, ma sulle richieste di significato e di ragion d’essere che possono sorgere; ad accogliere le emozioni forti e inquietanti della bellezza, della malinconia, dello stupore; a sperimentare l’angoscia e il panico, queste disposizioni affettive fondamentali che aprono al problema del senso e della ragion d’essere; a resistere alle fascinazioni; a disintossicarci e svezzarci dagli espedienti; a non trattenere ciò che ineluttabilmente, necessariamente, deve partire; a non aggrapparsi alle illusioni, ai palliativi, al transitorio; a non astenersi dal cedere alla gioia, all’amore, alla bellezza, alla fragilità; a usare la ragione e l’intelletto per analizzare e comprendere i misteri, le altezze, le profondità e le leggi metafisiche, ontologiche, fenomenologiche, estetiche ed etiche dell’essere, del divenire, dell’origine e della fine.

Così preparati per il viaggio immobile, per la trascendenza immanente, per il sorpasso/inversione, così armati e disarmati allo stesso tempo, saremo pronti, preparati e determinati a compiere la traversata, il passaggio al limite, questo famoso passaggio a nordovest, un vero salto liberatorio ed edificante nell’essere spirituale segnato dal sigillo dell’Arkhè originale.

C’è un effetto cruciale che non posso ignorare e di cui dovete assolutamente prendere coscienza perché fa parte di questa buona/cattiva sorte che è oggi il nostro destino quotidiano; è dunque una specie di buona notizia – spero che ne converrete – che vi sto portando. Eccola. Poiché determina una messa fra parentesi e una certa distanza – non è ancora questione di rottura totale – dal lavoro-fatica, dal campo sociale, da quello politico, dalla società dei consumi e dal numero di obblighi e abitudini sociali, la misura di contenimento adottata dai governi è gravida di una potente carica sovversiva, tanto più sovversiva dal momento che questi stessi governi, come i cittadini e gli stessi individui, ne ignorano la natura e la portata. Ma è soprattutto ciò che essa rende possibile, attraverso il confinamento stesso, che è eminentemente sovversivo, ovvero questa grande Passività operativa e liberatrice che è la cura spirituale che abbiamo appena descritto.

Un tempo si credeva che gli dei mandassero agli uomini, individui o gruppi, delle maledizioni la cui giustificazione non era sempre ovvia e sfuggiva talvolta anche alle vittime. Se gli scopi del Signore sono, si diceva allora, impenetrabili, non sono necessariamente assurdi e animati dalla malvagità o dalla crudeltà. Dietro la maledizione doveva nascondersi, si credeva, una lezione illuminante che doveva essere scoperta e sperimentata per crescere spiritualmente.

Non siamo più a quella visione, il crepuscolo degli dei ha intanto fatto la sua parte. Tuttavia, so che tutto ha un senso e che esiste un ordine delle cose – che chiamiamo religioso, spirituale, metafisico – che comanda, giustifica e finalizza gli eventi. Ecco perché vedo e dico – è il motivo e il senso di questa lettera che vi invio – che l’attuale crisi sanitaria, qualunque sia la sua origine, ha la sua ragion d’essere spirituale e che è per me e per voi benefica.

Difendo l’idea che sia una benedizione, che occorre estrarre e parlarne bene: la situazione farmacologica, l’azione operativa e le risorse richieste. Questo è ciò che, qui e ora, è “fare buon cuore contro la cattiva sorte”. Avrete capito che c’è bisogno di un rimedio radicale per la malattia dell’Occidente, un rimedio che, lavorando al livello delle radici del male, scopre al tempo stesso, ai confini dell’essere, le radici spirituali del bene e viceversa.

Siamo a un certo crocevia dei cammini e del tempo. Soprattutto, dovete ricordare che questa intersezione avviene oggi acutamente nelle nostre case e nelle nostre teste. Questa crisi (krisis) sanitaria è un momento spiritualmente e salutarmente opportuno (kairos) aperto nel cuore stesso della crisi generale, essa stessa spiritualmente feconda, che l’Occidente sta attraversando. È certamente tragica, non in senso morale ma in senso metafisico; la vorremmo anche apocalittica, in altre parole, da un lato, rivelatrice a tutti di una Grande Salute possibile, e, dall’altro, ponendo fine a un mondo disastroso (privo di ogni stella illuminante e direttrice, nonché di ogni mistero regolatore e ordinatore) – sono piuttosto pessimista su questo punto perché due guerre mondiali, cioè due crisi formidabili, nonostante i “mai più!” e i “Dobbiamo trarne insegnamento!”, non ha reso gli uomini e le società più ragionevoli, più intelligenti e più spiritualmente avanzati… ma forse non poteva essere altrimenti, perché l’accrescimento e l’intensificazione di queste qualità richiede all’essere umano, secondo una legge che sfugge alle ragioni troppo umane, di continuare a superare nuove prove.

In attesa dei frutti a venire, è a una veglia dell’anima che vi invito.

Tolosa, nella Settimana Santa 2020

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Autore Éric Coulon

Éric Coulon, scrittore e filosofo, diplomato in filosofia e organizzatore dei Rencontres Abellio che hanno luogo ogni anno attorno all’opera e al pensiero di Raymond Abellio, dedicati fra l’altro alla comprensione del senso dell’essere e del divenire così come alla questione del senso della conoscenza.