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Arianna: oltre il labirinto e l’abbandono

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Castellammare di Stabia (NA) - Villa Arianna


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In situazioni particolari mio padre era solito affermare che un maestro sceglie sempre la via maestra, ma io, da umile indagatrice del recondito, attratta da tutto ciò che mi circonda, spesso seguo sentieri tortuosi, allontanandomi troppe volte dalla direttrice per poi farvi ritorno dopo intime peregrinazioni.

Quando rifletto su questo modo di perseguire la conoscenza, mi viene da pensare che sia dovuto ad una mia insaziabile curiosità per tutto ciò che rimane a latere. Tale mia preferenza si manifesta anche nell’amore della scoperta di quei siti che non godono degli onori della ribalta, ma che custodiscono antichi saperi, sicuramente fonti ristoratrici per lo spirito cercatore di luce.

Tra questi ha attirato la mia attenzione l’Ager Stabianus, quel territorio residenziale che, nell’antichità, si estendeva da Lettere a Sant’Antonio Abate, passando per Gragnano, governato da Castellammare di Stabia, e che, da meno di un secolo, costituisce il complesso archeologico dell’antica Stabie.

Considerate in epoca romana residenze di villeggiatura, le Domus che insistevano su tale territorio erano strutturate e decorate in modo da favorire la contemplazione, il calarsi nella dimensione ritenuta sacra per il mondo antico, praticando l’otium. Era fondamentale potersi prendere il tempo necessario per alimentare il pensiero, coltivare le virtù, ammirare le bellezze della natura.

In questa dimensione di indissolubilità tra benessere fisico e spirituale, su almeno una delle pareti del triclinio si poteva godere della vista di disegni a grandezza quasi naturale, che allietavano lo spirito dei commensali, inducendoli alla riflessione.

Molte di queste abitazioni prendono il nome proprio dalle gigantografie principali, è il caso di Villa Arianna, che si trova sull’estremità occidentale della collina di Varano. Il solo nome evoca ineluttabilmente l’archetipo della simbologia esoterica: il labirinto.

Il primo ritrovamento, del 1749, effettuato attraverso cubicoli, in cui fu rinvenuto il famoso dipinto Leda e il cigno risalente alla prima metà del I d.C., nonché ulteriori raffigurazioni femminili come Diana, Flora e Medea.

Avendo subito razzie e danneggiamenti, fu nuovamente interrata per ritornare in luce, nel 1950, con gli scavi effettuati per volere del preside Libero D’Orsi. Sulla parete di fondo della sala da pranzo polarizza lo sguardo la superba rappresentazione di Dionisio con una corona di edera sul capo nel mentre trova Arianna.

La dolce e determinata fanciulla, figlia di Minosse, re di Creta, e della regina Pasifae, innamorata di Teseo, per poter coronare il suo sogno d’amore convolando a nozze con il nostro eroe, attraverso un filo rosso e la corona di luce, lo aiuta a penetrare l’oscuro e tortuoso labirinto, in modo da annientare il famelico Minotauro, essere antropomorfo: metà uomo e metà toro. Dedalo lo ideò per celare il frutto della folle e adulterina unione tra la regale consorte e il toro bianco, destinato al sacrificio per volere di Poseidone.

Entrare nel labirinto equivale ad intraprendere un viaggio, è il cammino che ognuno di noi effettua dal giorno della nascita, nell’incessante ricerca della verità. È un simbolo che troviamo in diverse culture dai primordi della storia dell’umanità, in ogni latitudine del globo terrestre. Un modello imbevuto di significato, che ci indica la condizione dell’essere umano sulla terra e il travaglio interiore che si deve affrontare per operare la propria crescita individuale.

Bisogna perdersi per poi ritrovarsi, mettersi continuamente in discussione, ripercorrere la stessa via con una diversa consapevolezza affinché la vita sia illuminata da una nuova sapienza. Introdursi ed inoltrarsi nei meandri del labirinto significa perdere l’attuale io, passare attraverso la porta stretta verso la conquista di una nuova coscienza del sé.

Nel rientrare ad Atene, secondo una delle versioni a noi giunte del mito, l’ingrato giovane lascia l’innamorata su di un’isola deserta chiamata Nasso. Arianna, rimasta sola, inizia a piangere in maniera convulsa e disperata tanto che Hypnos, mosso a compassione, l’accoglie tra le sue braccia.

Questa è la scena rappresentata: l’affranta giovinetta, dopo aver subito il vile tradimento, riposa tra le braccia del Dio del sonno, mentre Eros illumina il tutto con la sua fiaccola dell’amore, affinché possa trovare conforto e protendersi verso una nuova vita insieme a Dionisio diventando sua paredro.

Vivere una separazione inaspettata, soprattutto quando siamo stati circondati da grande attenzione e premura dall’altra persona, che sia il compagno di vita, un amico o un genitore, ci fa cadere nella sindrome dell’abbandono, una profonda ferita interiore che, malgrado non sia visibile, brucia e si acuisce con il tempo.

Una paura che attanaglia tutti coloro che, in qualche modo e per qualche ragione, hanno timore della solitudine, e che finisce con il condizionare il rapporto tanto da vivere protesi solo a cercare di non deludere l’altro affinché non vada via.

Nella maggior parte dei casi è una manifestazione dovuta a traumi subiti durante l’infanzia che hanno lasciato un’impronta indelebile, il cui impatto sulla personalità individuale può essere ridotto solo attraverso un lavoro costante su sé stessi, finalizzato a potenziare quell’autostima che rende il singolo capace di un rinnovato dominio emozionale e, quindi, autonomo e libero da condizionamenti.

Essere piantati a Nasso, da cui deriva il famoso detto trasformato dall’evolversi della lingua in asso, cela, per l’animo umano, due grandi prove tra loro interconnesse e con il comune esito di una maturazione interiore protesa al miglioramento di sé.

La prima è decidere consapevolmente di abbandonare i propri metalli, come ci insegna la storia di Ishtar, dea babilonese della guerra e della fertilità, attraverso un’attività di introspezione che, se tracciata in maniera consapevole, ci consente di superare i sette sbarramenti nelle viscere della terra, liberandoci dal giogo della corporeità e rendendoci liberi di immergerci nella dimensione spirituale.

La seconda è essere capaci di aberrare i preconcetti, quei pregiudizi sociali che limitano le nostre azioni e condizionano la nostra attività di pensiero. Solo affrontando e superando tali prove potremo maturare una conoscenza tale da risorgere con l’equilibrio proprio dell’iniziato.

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Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.