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Uno strepitoso Gianluca Ferrato ridà vita a Truman Capote

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Truman Capote questa cosa chiamata amore


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Debutta con successo al Piccolo Bellini di Napoli la pièce ‘Truman Capote – Questa cosa chiamata amore’

Un intenso debutto ha infiammato la platea del Piccolo Bellini di Napoli, martedì 3 marzo, ore 21:15. L’eccelso Gianluca Ferrato ha dato prova di tutte le sue doti istrioniche portando in scena uno dei personaggi più affascinanti e controversi del panorama statunitense degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso nello spettacolo ‘Truman Capote – Questa cosa chiamata amore’.

Operazione non facile la sua, ma riuscitissima. Del resto, già dall’intervista in esclusiva che l’attore ci aveva rilasciato, era ben chiaro che si trattasse di un progetto assolutamente originale.

Un Artista a tutto tondo quello che riesce a proiettarci oltreoceano, mostrandoci, attraverso la narrazione che si dipana in un monologo atipico di 90 minuti, a tratti toccante, esilarante e straniante, sprazzi di vita di uno scrittore eroe – antieroe dei suoi stessi romanzi che si autocita con ‘Colazione da Tiffany’ e ‘Preghiere esaudite’ ed omaggia Poe con ‘Il cuore rivelatore’.

Un palcoscenico popolato da infiniti personaggi evocati con libere associazioni, seguendo il flusso di pensieri, che appare frizzante e coinvolgente e che non stanca affatto.

Profonda la drammaturgia di Massimo Sgorbani, capace di evidenziare l’ossimorica complessità dell’intellettuale, protagonista e vittima dello star system americano, che ha fatto dell’arte della provocazione uno dei suoi punti di forza.

Impeccabile la regia di Emanuele Gamba, che direziona in modo intelligente l’attore permettendogli di calcare la mano nei momenti di maggior enfasi o eccentricità e di abbandonarsi, con sguardo malinconico e sofferente, ai ricordi dell’amore tormentato per Jack Dunphy, durato 21 anni.

Ma l’uomo più importante della vita di Capote, la sua musa creativa, è e resta Perry Smith, assassino di Herbert Clutter, di due dei suoi figli e della moglie, che immortalerà nel celeberrimo testo ‘A sangue freddo’, crudo resoconto romanzato della strage familiare e spietata fotografia del sogno americano vissuto in provincia, capostipite del non-fiction novel.

Eros e Thanatos saranno elementi onnipresenti della pièce, insieme alla Paura dell’estraneo, che minaccia famiglia e proprietà, e alla paura e al fascino che suscita il ‘diverso’. Uno tra tutti Charles Manson, criminale statunitense a capo della setta religiosa The Family, mandante dell’eccidio di Cielo Drive, nel caso Tate – LaBianca.

Moltissime le armi citate, vere o metaforiche, come quelle dichiarate dallo stesso Capote a proposito del suo ‘Preghiere esaudite’:

Il libro è diviso in quattro parti e, in effetti, ha proprio la struttura di una pistola. C’è l’impugnatura, il grilletto, la canna e, alla fine, il proiettile.

Scene minimali, ma significative di Massimo Troncanetti. Nel contrasto bianco – nero è sintetizzata la continua ricerca delle luci della ribalta da parte del personaggio, che sceglie di attirare su di sé l’attenzione, sia pure relegato in un immaginario autoisolamento percepito solo da pochissimi, mentre il mondo è incapace di avvertire l’eco della soffocata richiesta di considerazione dell’uomo, che si espone alla gogna mediatica, usandola, a sua volta, come strumento di analisi socio – letteraria, partecipando a dibattiti televisivi e talk show.

Il contrasto dei due colori – non colori rimanda, inoltre, al suo grandioso Black and White Ball, ricevimento in costume e con volto coperto da maschera, organizzato al Plaza Hotel di New York il 28 novembre del 1966 per festeggiare il successo del suo libro – verità con cinquecento selezionatissimi invitati scelti tra alta società, aristocrazia del denaro, uomini importanti, star hollywoodiane e personaggi emergenti, tra cui Frank Sinatra, Mia Farrow, Greta Garbo, Lauren Bacall, Leonard Bernstein, Tennessee Williams, Giovanni e Marella Agnelli, i Kennedy, i duchi di Windsor e Stavros Niarchos.

Il party più raffinato e chic del secolo, che lo incorona re del glamour per i successivi 15 anni, ed ecco spiegati in scena trono e diadema, sarà ampiamente criticato dagli illustri esclusi pronti a sottolineare l’inappropriatezza di una celebrazione tanto sfarzosa per un testo sul massacro di una famiglia del Kansas, per giunta mentre si combatte la guerra in Vietnam.

Una figura meravigliosamente ambigua quella rappresentata, di un genio assoluto, che inizia a scrivere a otto anni e che cerca stimoli sempre nuovi nel reale per riproporli, nelle sue opere, con rara maestria.

Ferrato è in grado di mostrare tutte le contraddizioni di Capote apparendo insofferente, cinico, sprezzante, caustico, cangiante, volutamente sopra le righe, eppure estremamente sensibile, dolce, appassionato, che indossa perennemente una maschera e una corazza per proteggersi dal mondo. Cambia continuamente pelle al pari di un camaleonte e si reinventa risultando carismatico ed incisivo come pochi.

Particolarmente empatico, trascina di continuo la platea in ilarità e commenti, ma riesce anche a creare un silenzio quasi sacrale negli istanti più carichi di emozione. Una lacrima scivola più volte lungo le nostre guance sia per le risate che per la commozione.

Indugia con un registro esplicito e sfacciato su dettagli erotici e pratiche di fellatio che rivolge al partner e lo fa con occhio voyeuristico, senza lasciar spazio all’immaginazione, per sottolineare la naturalezza dell’atto sessuale, a dispetto di finti perbenismi, e per puntare il dito contro ipocrisie di falsi benpensanti.

Il filo conduttore è la leggerezza, attraverso battute ironiche ed autoironiche, efficaci e dissacranti che illuminano l’estrema solitudine della sua triste infanzia di bambino abbandonato dalla madre a casa di parenti o chiuso a chiave nelle stanze d’albergo mentre lei era divertirsi con l’amante di turno. Madre che sapeva esercitare la sua potestà genitoriale solo per portarlo dal medico affinché curasse con iniezioni di ormoni maschili la sua omosessualità.

Le molteplici sedie, rigorosamente nere, su cui si accomoda in modo delicato prima e grossolano poi, variando di continuo interlocutore immaginario e, di conseguenza tono di voce ed intensità, simboleggiano i tanti VIP che hanno accompagnato la vita di Truman durante la sua ascesa letteraria e che lo abbandonano dopo la diffusione di ‘Preghiere esaudite’, in cui è descritto appunto il jet set che frequenta. Emblema dell’isolamento dell’intellettuale, nel costante gioco di presenza – assenza, ricordano, inevitabilmente, uno dei capolavori del Teatro dell’Assurdo: ‘Le sedie’ di Ionesco.

L’unico tavolino, anch’esso nero, capovolto con rabbiosa emotività, personifica non solo la madre, ma anche la società omologante da cui occorre ribellarsi per non soccombere, che tende a snaturare il singolo, per uniformarlo agli standard emotivo – comportamentali predeterminati.

Norma Jeane Mortenson Baker, altro “fantasma” con cui dialoga per gran parte della rappresentazione, è la sua “gemella”, perché come lui sola, libertina, emarginata, drogata, alcolizzata, “diversa”, ha recitato un ruolo per tutta la vita, indossando la maschera di Marilyn Monroe, invece di interpretare se stessa.

Delicatissimo e struggente il passaggio in cui si fa riferimento alla disuguaglianza che, anche se affrontata in maniera soggettiva, per certi versi ci rende tutti identici, e alla possibilità di scambiarsi le proprie singole esperienze di “diversi” che consacra, come unico, il rapporto tra lo scrittore e l’attrice.

E la morte ritorna nelle crude immagini prima di JFK e Bob Kennedy, assassinati da altri dannati, perché, in fondo, agli idoli si deve sparare, e poi della stessa Marilyn, il cui decesso per overdose di barbiturici, anche se classificato come “probabile suicidio”, ancora è oggetto di varie ipotesi, stesi su di uno squallido tavolo dell’obitorio con in sottofondo il solo ronzio dei neon.

Laddove l’uccisione degli idoli, fortunatamente spesso simbolica, diventa momento di crescita, di rottura; una tensione quasi iniziatica; che si tratti del passaggio all’età adulta, attraverso l’omicidio – dissacrazione delle figure genitoriali, o che si riferisca al superamento intellettuale e artistico dei propri modelli.

Luogo fisico sì il palco, ma soprattutto proiezione mentale di pensieri, sogni, aspettative, rimpianti e soprattutto specchio dell’inefficace tentativo di cambiare l’ordine naturale delle cose che si beffeggia dell’armoniosa imperfezione dell’essere umano.

Suggestivo il prismatico gioco di luci, che alterna colori caldi e freddi a seconda dell’intento voluto, e crea ombre e penombre ad effetto. Una particolare menzione la meritano Miriam Di Domenico, macchinista, e Renato Barattucci, tecnico luci audio e video, che con il loro attento lavoro hanno contribuito a rendere perfetto lo spettacolo.

Il tema musicale di Truman è curato da Maurizio Fabrizio. Le splendide canzoni di Cole Porter e Ira Gershwin accompagnano gran parte dello spettacolo, intervallate da altri indimenticabili brani tra cui spicca ‘Goldfinger’.

Deliziosi, infine, i momenti in cui Ferrato ci diletta con la sua abilità di ballerino di tip tap.

I costumi, ad opera di Elena Bianchini, entrano a pieno titolo nella drammaturgia.
Se all’inizio troviamo Capote in intimo bianco che man mano si copre con una vestaglia di raso marrone scuro e nera fino ad indossare un elegante smoking nero, verso l’epilogo lo troviamo nuovamente in canotta e mutanda bianche che infila un raffinato completo bianco. Ha rispettato a dovere il dress code del suo mitico party e ha rimarcato anche il diverso stato emotivo nel tentativo, irrealizzato e irrealizzabile, di autoaccettazione e smania incontrollabile di piacere agli altri, mentre si accinge, ormai da un mondo altro, dove ad accoglierlo non è San Pietro ma Marilyn Monroe, a ballare all’infinito stringendo a sé la sedia con impresso il nome della sua “gemella”.

Un mondo altro dove magari non si è prigionieri dei ricordi, masochistico tormento ma in fondo connotato essenziale di un’umanità fatta di identità uniche ed irripetibili.

E se nell’esordio Truman aveva detto a Perry:

Comportarci male è l’unica cosa che possiamo fare per essere notati e tu ti sei comportato nel peggiore dei modi, per questo si ricorderanno di te.

Nel finale, a Marilyn disperatamente grida:

Comportiamoci male, male, male, male, male, male, male, male…

Infiniti e fragorosi applausi richiamano più volte Ferrato sul palco al termine della messa in scena.

La pièce, prodotta da Florian Metateatro – Centro di Produzione Teatrale in collaborazione con Teatro della Toscana, che consigliamo vivamente, sarà ancora in scena presso il Piccolo Bellini, in via Conte di Ruvo 14 a Napoli, giovedì 4 marzo, ore 19:30, venerdì 5 e sabato 6 marzo, ore 21:15 e domenica 7 marzo, ore 18:30.

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.