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SMOCSG, Delegazione Tuscia e Sabina onora San Lorenzo Martire a Viterbo

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La Cattedrale di San Lorenzo a Viterbo


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San Lorenzo è patrono di diaconi, cuochi e pompieri

Aderendo all’invito pervenuto dal Capitolo della Cattedrale di Viterbo, una Rappresentanza della Delegazione della Tuscia e Sabina del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio ha preso parte, giovedì 10 agosto 2023, alla solenne Celebrazione Eucaristica in onore di San Lorenzo Martire, presieduta dal Vicario Generale, Don Luigi Fabbri, concelebranti i Parroci della Città dei Papi.
All’omelia, nel ricordare la testimonianza del diacono Lorenzo, Don Fabbri ha ringraziato vivamente le Famiglie religiose, i Movimenti Ecclesiali e i fedeli presenti al Sacro Rito, con uno speciale riferimento ai Cavalieri Costantiniani, molto attivi in campo caritatevole e culturale diocesano.

Al termine della Santa Messa il Delegato, Nob. Avv. Roberto Saccarello, Cavaliere di Gran Croce Jure Sanguinis, ha consegnato al Vicario Generale della Diocesi di Viterbo un’offerta per il culto della Basilica Cattedrale dedicata a San Lorenzo.

La vita di San Lorenzo come diaconato perenne

Il diacono e martire San Lorenzo ha assunto, nel corso dei secoli, una fama e una devozione veramente cattolica, universale e ha saputo incarnare un modello concreto di servizio senza compromessi, tale ad essere additato come paradigmatico della diaconia in Cristo.

Secondo un’antica ‘passione’, raccolta da Sant’Ambrogio, San Lorenzo fu bruciato sopra una graticola: un supplizio che ispirerà opere d’arte, testi di pietà e detti popolari per secoli.

Al principio dell’agosto 258 l’Imperatore Valeriano aveva emanato un editto, secondo il quale tutti i vescovi, i presbiteri e i diaconi dovevano essere messi a morte. L’editto fu eseguito immediatamente a Roma, al tempo in cui Daciano era prefetto dell’Urbe.

Sorpreso mentre celebrava l’eucaristia nelle catacombe di Pretestato, Papa Sisto II fu ucciso il 6 agosto insieme a quattro dei suoi diaconi, tra i quali Innocenzo. Quattro giorni dopo, il 10 agosto fu la volta di Lorenzo, che aveva 33 anni.

Lorenzo nacque a Osca (Huesca), città della Spagna, nella prima metà del III secolo. Venuto a Roma, centro della cristianità, si distinse per la sua pietà, carità verso i poveri e l’integrità di costumi.

Grazie alle sue doti, Papa Sisto II lo nominò Diacono della Chiesa, ovvero capo dei diaconi. Doveva sovrintendere all’amministrazione dei beni, accettare le offerte e custodirle, provvedere ai bisognosi, agli orfani e alle vedove.

Per queste mansioni Lorenzo fu uno dei personaggi più noti della prima cristianità di Roma ed uno dei martiri più venerati, tanto che la sua memoria fu ricordata da molte chiese e cappelle costruite in suo onore nel corso dei secoli.

Lorenzo fu catturato dai soldati dell’Imperatore Valeriano il 6 agosto 258 nelle catacombe di San Callisto assieme al Papa Sisto II ed altri diaconi. Mentre il Pontefice e gli altri diaconi subirono subito il martirio, Lorenzo fu risparmiato per farsi consegnare i tesori della Chiesa.

Si narra che all’Imperatore Valeriano, che gli imponeva la consegna dei tesori della Chiesa, Lorenzo abbia portato davanti numerosi poveri ed ammalati ed abbia detto:

Ecco i tesori della Chiesa.

In seguito, Lorenzo fu dato in custodia al centurione Ippolito, che lo rinchiuse in un sotterraneo del suo palazzo. In questo luogo buio, umido e angusto si trovava imprigionato anche un certo Lucillo, privo di vista.

Lorenzo confortò il compagno di prigionia, lo incoraggio, lo catechizzò alla dottrina di Cristo e, servendosi di una polla d’acqua che sgorgava dal suolo, lo battezzò. Dopo il battesimo Lucillo riebbe la vista.

Il centurione Ippolito visitava spesso i suoi carcerati; avendo constatato il fatto prodigioso, colpito dalla serenità e mansuetudine dei prigionieri e illuminato dalla grazia di Dio, si fece Cristiano, ricevendo il battesimo da Lorenzo. In seguito, Ippolito, riconosciuto cristiano, fu legato alla coda di cavalli e fatto trascinare per sassi e rovi fino alla morte.

Il martirio di San Lorenzo è datato dal martirologio romano il 10 agosto 258. A ricordare questi avvenimenti furono erette a Roma tre chiese: San Lorenzo in Fonte, luogo della prigionia, San Lorenzo in Panisperna, luogo del martirio, e San Lorenzo al Verano, luogo della sua sepoltura al Campo Verano, nelle catacombe di Santa Ciriaca.

Storicamente, però, furono circa 30, di cui 7 rimaste, le chiese dedicate a San Lorenzo, santo amatissimo e compatrono di Roma.

Secondo la devozione e la pietà popolare, San Lorenzo fu bruciato sopra una graticola. La Leggenda Aurea del beato Jacopo da Varazze ne ha in modo significativo sigillato la pietas popolare con la narrazione dei suoi ultimi momenti.

Fin dai primi secoli del Cristianesimo, Lorenzo viene generalmente raffigurato come un giovane diacono rivestito della dalmatica, con il ricorrente attributo della graticola o, in tempi più recenti, della borsa del tesoro della Chiesa romana da lui distribuito, secondo i testi agiografici, ai poveri.

Gli agiografi sono concordi nel riconoscere in Lorenzo il titolare della necropoli della via Tiburtina a Roma. In particolare, insieme a Santo Stefano e San Vincenzo, Lorenzo è, per antonomasia, modello perfetto del diacono, il servizio alla Chiesa vista come popolo in cammino che, nel suo grembo, riconosce Cristo presenti, in particolare nei poveri e nei sofferenti.

San Lorenzo è patrono di diaconi, cuochi e pompieri.

La Cattedrale di San Lorenzo

Le notizie più antiche circa la presenza di un edificio di culto dedicato a San Lorenzo Martire sull’attuale Colle del Duomo risalgono all’Alto medioevo. Già nel 775 si parla di una pieve di S. Laurentii e di Petrus, suo presbitero, e, in una bolla di Papa Leone IV del 852, appare ancora un riferimento alla stessa.

La completa consacrazione, però, arriverà nel 1192, anno in cui Papa Celestino III riunì Viterbo, Blera, Tuscania e Cencelle in un’unica diocesi, insignendo la chiesa con il titolo di cattedrale.

Tra il XIV e XV secolo furono programmati importanti interventi sull’impianto della Cattedrale di San Lorenzo che, tuttavia, rimasero inespressi, Antonio da Sangallo.

Gli interventi successivi al XVII secolo, almeno fino ai restauri post bellici, saranno volti esclusivamente alla manutenzione e al restauro della struttura.

I lavori di arredo della sacrestia, finanziati grazie alla munificenza del Cardinale Muzio Gallo, 1785 – 1801, allora Vescovo di Viterbo, furono completati nel 1795, come ricorda l’iscrizione presente sopra il portale d’ingresso. Il rivestimento fu realizzato in radica di noce dalliebanista Luigi Cappuccini su disegno di Giuseppe Antonini.

Il gusto neoclassico si manifesta nell’ampio utilizzo di colonne, paraste e lesene con capitello ionico, negli ovuli e nei festoni e, in generale, nell’ampio richiamo a forme decorative tipiche della classicità greco-romana. Proprio questi elementi furono evidenziati con l’utilizzo dell’oro.

Nel corso del Cinquecento si registrarono interventi cospicui sulla struttura. Nel 1560 fu demolita l’abside maggiore per creare la nuova cappella del coro. Tra il 1568 e il 1570 il Cardinale De Gambara iniziò la costruzione di dieci cappelle laterali, otto delle quali furono richiuse dopo la seconda guerra mondiale.

Le grandi arcate murate che si notano percorrendo le navate minori corrispondono agli ingressi di questi ambienti oramai non più fruibili.

Anche durante il XVII secolo assistiamo ad una fervente opera di rimodernamento. che porterà alla trasformazione definitiva dell’impianto romanico, prima dei restauri post bellici.

Nel 1650 il Cardinale Francesco Maria Brancaccio diede avvio ai lavori della sagrestia e nel 1681 il suo successore, Stefano Brancaccio, fece costruire le volte sulle navate facendo rialzare quelle laterali e trasformando le finestre di quella centrale.

A questi lavori si aggiungeranno quelli del Vescovo Sacchetti, che procedette alla demolizione dei muri che fiancheggiavano l’abside maggiore, al fine di ampliare il coro.

La decorazione della volta fornisce un accentuato illusionismo prospettico legato all’uso di linee convergenti al centro del soffitto e dalla rastremazione della decorazione a finti lacunari. Nel riquadro al centro della volta era posta l’opera San Lorenzo ed i poveri, attribuita a Carlo Maratta. Attualmente è presente solo una riproduzione fotografica, mentre l’originale è visibile lungo la navata sinistra della chiesa.

Particolare attenzione merita il crocifisso in cartapesta del XVII secolo realizzato con inserimento di giunti in legno che permettono la mobilità di parti del corpo quali le braccia ed il capo.

È possibile notare uno di questi giunti in legno emergere da una caduta nella cartapesta sul braccio destro del Cristo. La possibilità di movimento è intuibile anche grazie all’asola presente nella mano destra del Salvatore in prossimità del chiodo.

L’orologio a pendolo a doppio bilanciere, ancor oggi perfettamente funzionante, è in fase con la stessa decorazione e fu voluto dal cardinale.

Nel coro barocco si possono ammirare gli affreschi realizzati nel 1683 dal pittore romano Giuseppe Passeri. Questi rappresenta San Lorenzo nella scena principale della volta contornato dalle personificazioni delle virtù.

Nel catino absidale la figura del Cristo in Gloria è circondata dalla rappresentazione di alcuni santi: San Paolo, defensor fidei, con la spada; San Pietro, con le chiavi del Paradiso; Santi Valentino e Ilario, evangelizzatori della Tuscia e compatroni di Viterbo; Santa Eudossia martire, seguace di Valentino e Ilario; Santa Rosa da Viterbo, nelle vesti di suora, patrona di Viterbo; San Giuseppe, raffigurato con la verga fiorita; San Girolamo, con in mano la Vulgata, la traduzione della Bibbia; San Filippo Neri, con la barba bianca; San Francesco Saverio, con colletto nero.

Nel catino absidale dell’area del coro barocco, la pala d’altare – integralmente restaurata nel 1999 – rappresenta la Gloria di San Lorenzo ed è stata realizzata nel 1648 da Giovan Francesco Romanelli, artista viterbese attivo a Roma e presso la corte del Re di Francia al seguito del Cardinale Mazzarino, suo mecenate.

L’autore rappresenta l’iconografia classica del Santo rappresentato in veste arcidiaconale nell’atto di saltare sulla graticola, strumento del martirio. Nella mano destra impugna la palma, attributo di tutti i martiri.

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