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Pulcinella, Fabio Da’ath, Castaneda, don Juan e i 4 nemici dell’uomo

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Pulcinella


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Penziere mieje, levàteve sti panne, stracciàtev’ ‘a cammisa, e ascite annuro. Si nun tenite n’abito scuro, tanta vestite che n’avit’ ‘a fa? Menàteve spugliate mmiez’ ‘a via, e si facite folla, cammenate. Si sentite strillà, nun ve fermate: nu penziero spugliato ‘a folla fa.

Ci sono luoghi incantati, che, oltre ad essere pregni di vibrazioni ed energia, trasmettono insegnamenti in grado di consentire, all’avventore di turno, di vivere esperienze suggestive ed indescrivibili.

Osservare oche e nutrie che giocano nelle acque del Rio Grassano e si cibano di ciò che trovano, seduti sotto un albero, che con i suoi rami offre un’ombra ristoratrice, è un’esperienza che, vista con gli occhi di Giordano Bruno, può essere definita paradisiaca, rilassante e manifestazione palese che Dio è in ogni cosa.

Qui non occorre parlare, perché certi silenzi, soffiando come il vento, sembrano foglie d’amore che, nel tempo in cui si apre un tulipano, volano lontano. Notare, in questa perla naturalistica, un piccolo fiore che linfa e destino premono affinché sbocci, spalanchi i petali e crei la bocca di un cratere, è un miracolo alchemico ricco di significati.

Questo luogo incantato, incastonato in una suggestiva valle, grazie alle sue infinite sfumature di verde, alle molteplici varietà di piante e fiori, alle acque del fiume e alla caratteristica fauna che lo popola, regala continue scoperte ed emozioni costanti nel tempo e ricorda sia i paesaggi mozzafiato del Sud America, che i paradigmi, le idee e la filosofia dello scrittore peruviano Carlos Castaneda.

La magia del sito, i profumi della natura, gli accostamenti con i panorami latinoamericani e con l’intellettuale naturalizzato statunitense, inebriano così tanto la mia mente che, a pochi passi dalle rive del corso d’acqua, mi addormento all’ombra di un albero, che sembra cullarmi delicatamente.
La sua benevolenza mi induce anche a sognare e questo mi dona un’estasi profonda, perché le visioni oniriche proteggono la mia salute psichica, riequilibrano la mia sfera emotiva, alleviano lo stress e sconfiggono l’ansia.

Una situazione meravigliosa, perché mi fa volare verso un ambiente incontaminato in cui la fanno da padrone sia i silenzi assordanti, che le intense melodie di tamburi, flauti di canna, arpe, violini e canti che accompagnano le danze del bestiame e del coyote.

Come sempre, il fraterno amico Fabio Da’ath vive con me tutto ciò che l’esperienza onirica, con grande indulgenza, mi offre, compreso l’inaspettato appuntamento con il sensitivo Gustavo Rol.

Nell’imbatterci in lui, con straordinaria emozione, scopriamo che ci accingiamo a vivere un’esperienza che Fellini non riesce a portare a termine, l’incontro con Carlos Castaneda e con alcuni misteri che lo sciamanesimo, gelosamente, custodisce.

Ed ecco giungere un uomo maturo, dai lineamenti regolari e dagli occhi che sembrano fonti nelle cui acque silenziose e serene si specchia il cielo, e che ospitano e visualizzano esternamente l’anima.

Dopo le presentazioni di rito, il sensitivo esordisce:

Cari Fabio, esimio Pulcinella, Carlos è qui per raccontarvi del suo rapporto con un noto sciamano, un indiano Yaqui dello stato di Sonora, nel Messico settentrionale. Vi prego di ascoltarlo con attenzione, perché, tra le guise delle sue parole, sono nascoste diverse verità utili per la vostra crescita individuale e per il vostro cammino verso la sorgente.

Lo scrittore, con voce espressiva ed armoniosa e un sorriso genuino e garbato che incoraggia l’ascolto, attacca:

Egregi signori, da qui a poca distanza, in un’abitazione piccola e dimessa, vive un nativo dedito allo sciamanesimo, un curandero conoscitore di piante, don Juan Matus.

Non è prodigo ad un animismo irrazionale, anzi, è una persona dalla forte spiritualità e dalla considerevole sapienza e, mediante lunghi colloqui improntati su verità e serenità, riesce a infondermi una parte della sua immensa conoscenza.

Ho un ricordo bellissimo del nostro primo approccio, perché ci consente un profondo dialogo, in cui, oltre a trasmettermi insegnamenti colmi di spiritualità ed intensità, mi permette di accedere all’universo conoscitivo degli sciamani. Nella sua dimora, che come le caverne iniziatiche, è sempre semibuia, conversiamo accomodati nella classica posizione yoga nota come Padmâsana.

Il nostro intenso dialogo, nel proiettarmi in una realtà differente da quella a cui sono abituato, è veramente costruttivo. Una bevanda calda a base d’erbe, che sorseggiata lentamente è in grado di riscaldare delicatamente i nostri cuori, interrompe, a tratti, la conversazione. Don Juan la gusta alternandola a lunghe e cadenzate boccate di fumo, che aspira da una pipa artigianale, come fosse un sacro rito che gli permette d’incontrare se stesso.  

Ricordo bene come egli riesca ad introdurmi, prima nel momentaneo imbrunire, poi in quella frattura dell’universo tra crepuscolo e tenebra, che consiste in un mondo diverso da quello noto ai sensi. Mentre colloquiamo, usa la locuzione “Uomo di Conoscenza”, espressione che suscita in me una forte curiosità e, con insistenza, lo invito a spiegarmene il significato.

Con l’incantevole lentezza di una goccia d’acqua che cade di tanto in tanto, guardandomi negli occhi risponde:

“Carlos, l’Uomo di Conoscenza è quell’individuo che si sottopone ai sacrifici dell’apprendimento e, senza affrettarsi e senza esitare, svela, fin dove riesce, il potere e la conoscenza.

Chiunque può tentare di diventarlo, ma date le difficoltà, pochissimi riescono nell’impresa.

Occorre, infatti, sfidare e sconfiggere i propri quattro nemici naturali, quelli che si incontrano sulla strada dell’apprendimento e che, essendo formidabili, costringono la maggior parte delle persone a soccombere”. 

In un primo momento, mi lascia basito, perché quando gli chiedo di chiarire quali siano, anziché rispondermi, afferma che deve passare molto tempo prima che io possa ben comprendere e caratterizzare tali antagonisti, e, solo poi, fornisce una vaga considerazione. Nell’aggiungere che quando un uomo comincia ad imparare non sa con chiarezza quali siano i suoi obiettivi, il suo scopo è imperfetto e il suo intento è vago, non mi consente di superare le mie perplessità.

Il curandero prosegue: 

“L’uomo, avviandosi sulla strada che conduce alla meta, spera in una ricompensa che non può concretizzarsi mai, perché non sa nulla delle difficoltà insite nell’imparare. Comincia lentamente ad apprendere, ma presto entra in conflitto con i suoi pensieri. Inizia ad aver paura, perché ciò che acquisisce non è mai quello in cui spera, o che immagina. Ogni passo che compie, per istruirsi, si trasforma in un nuovo compito. Il timore che prova aumenta implacabilmente ed inflessibilmente. Il suo scopo diventa un campo di battaglia”.

Carlos rendendosi conto del nostro crescente interesse, con gioia prosegue:

Cari miei, don Juan, dicendo che l’uomo si imbatte nel primo dei suoi nemici naturali, enfatizza l’emozione primaria di difesa, la paura appunto, che definisce un avversario terribile, traditore e difficile da superare, che si nasconde ad ogni svolta della strada, in agguato in attesa della preda. Se l’individuo, atterrito dalla sua presenza fugge, l’antagonista smette di cercare.

Chi scappa per il terrore, non impara e non diviene un uomo di conoscenza. Può essere borioso, innocuo o spaventato, ma, in ogni caso, giunge alla sconfitta. Il suo primo nemico, accortosene, pone fine ai suoi desideri. Chi, invece, vuole sovrastare la paura, deve sfidarla e, a dispetto di essa, imparare, quindi compiere il passo successivo, il susseguente e ancora il consecutivo.  

Essa deve essere completa, non si deve fermare, questa è la regola! Prima o poi giunge il momento in cui il maggiore nemico, decidendo di ritirarsi, consente all’uomo di sentirsi sicuro di sé, rafforzare il suo intento e percepire che l’apprendimento sta per smettere di essere un compito terrificante.  

La fase iniziale del cammino che conduce alla conoscenza e che si dipana per gradi, si esaurisce con la disfatta rapida ed improvvisa della paura; trionfando su di essa si resta liberi per tutto il resto della vita, perché si acquisisce una lucidità mentale tale da cancellarla.

Miei cari, don Juan, lentamente e con gesti quasi rituali, mette nelle mie mani la sua pipa, chiedendomi di essere profondamente concentrato mentre la custodisco e di prestare attenzione perché qualsiasi gesto malaccorto può costare la vita a lui o a me. Rassicuratosi che io la salvaguardi come da sue istruzioni, beve un po’ del suo infuso e riprende ad erudirmi.  

Lo sciamano spiega:

“Caro Carlos, l’uomo, a questo punto, conosce e sa come soddisfare i propri desideri, percepisce che una limpida lucidità circonda ogni cosa e sente che nulla si nasconde, può, quindi, anticipare i nuovi passi dell’apprendimento. Siamo nella fase in cui incontra il suo secondo nemico, la chiarezza mentale che si realizza con grande difficoltà, che dissolve la paura, ma che, al contempo, può accecare, perché induce a non dubitare mai di sé, a far credere di poter fare tutto ciò a cui si aspira, perché consente di vedere ogni cosa con linearità. È il momento in cui l’individuo mostra grande coraggio e non si ferma davanti a nulla, ma è un atteggiamento erroneo perché manifestamente incompleto.

Se ci si arrende a questo falso potere, cedendo al secondo nemico, si inizia a brancolare sulla via che porta alla conoscenza. La persona che procede a tentoni su questo percorso si affretta quando dovrebbe attendere o è paziente quando dovrebbe essere celere. Nel procedere in tal modo, giocoforza, inizialmente impara in modo maldestro, poi, ormai incapace, smette di apprendere”.

Miei cari, credetemi, don Juan possiede un’energia indissolubile, giacché continua a subissarmi di profondi concetti e di parole caratterizzate dall’intensità e dalla magia insita nelle manifestazioni terrene del Divino.

Lo sciamano, infatti, aggiunge:

“La lucidità sconfigge l’uomo, non lo uccide, ma ne blocca qualsiasi tentativo inteso al raggiungimento della condizione di Uomo del Sapere. Ed ecco che ci si trova ad un bivio che non prevede altre scelte, per cui si può diventare o un guerriero vivace o, in alternativa, un pagliaccio; ciò nonostante, questa, che si ottiene a caro prezzo, non si trasforma né in oscurità e né in paura. L’uomo, nonostante sia supportato da essa finché vive, non è in grado né d’imparare né di bramare alcunché.  

Se vuole evitare la sconfitta, deve fare come con la paura, ossia sfidare la lucidità ed usarla solo per vedere, aspettare con tranquillità e ponderare a lungo prima di muoversi e, soprattutto, convincersi che sia quasi un errore. Prima o poi si accorge che non è altro che un abbaglio e, ormai, supera il suo secondo nemico, ponendosi in una posizione in cui nulla può nuocergli, facendo sì che essa divenga vero potere.

Siamo nella fase in cui l’individuo pensa di poter fare tutto ciò che vuole. Oltre a controllare il suo alleato, per il quale ogni desiderio è un ordine, vede tutto ciò che lo circonda. Il potere è il più forte tra tutti i suoi nemici, dunque la cosa più facile consiste nell’arrendersi; dopo tutto, egli ora è veramente invincibile, esercita l’azione di comando, inizia con il correre rischi calcolati e finisce con il creare regole, perché è un padrone.  

A questo stadio del percorso, non si accorge di essere messo alle strette e circondato e, improvvisamente, perde la battaglia. Il suo rivale, invece, raggiunge l’obiettivo, lo trasforma in un uomo crudele e capriccioso che non perde né la lucidità e né il potere. Colui che si lascia sconfiggere dal potere, perisce, senza sapere veramente come tenerlo in pugno, perché esso è solo un fardello sul suo destino. Chi non ha il comando su di sé, non può sapere quando e come usarlo. La sconfitta da parte di uno qualsiasi di questi nemici è definitiva e, una volta che ha preso il sopravvento, non c’è nulla che si possa fare. Chi si lascia sconfiggere non riesce a vedere il proprio errore, né a correggersi, quindi, cedendo, è spacciato.

Se ci si fa accecare temporaneamente dal potere e poi lo si rifiuta si continua a combattere per cercare di diventare un uomo di conoscenza. La disfatta giunge quando si smette di tentare.

Per assoggettare il potere deve rendersi conto che è solo apparentemente in suo possesso, quindi, tenendo in pugno, con cura e con fede, le attuali conoscenze, deve stare sempre in guardia. Se riesce a comprendere che questo unito alla lucidità senza l’autocontrollo, sono peggio degli errori, è capace di gestirli, sa come e quando usarlo e, di fatto, lo sconfigge.

Giunto ormai alla fine del suo percorso di apprendimento, si imbatte, quasi senza alcuna avvisaglia, nell’ultimo dei suoi nemici, il più crudele di tutti, il solo che non può essere dominato completamente, ma solo scacciato: la vecchiaia.

Ora non prova né paura, né impaziente lucidità mentale, ma solo un irresistibile desiderio di riposare. Se si arrende totalmente alla voglia di lasciarsi andare e dimenticare, se si adagia nella stanchezza, perde l’ultimo combattimento ed è ridotto ad una creatura debole e vecchia, priva di lucidità, potere e conoscenza.

Invece, spogliandosi del suo affaticamento e affrontando il suo destino, può essere considerato Uomo di Conoscenza, pur se soltanto per il breve attimo in cui riesce a battere il suo ultimo ed invincibile nemico.

Dopo queste parole, Castaneda, per condividere con noi l’analisi antropologica del suo dialogo con don Juan, rimarca:

La sintesi del mio primo incontro con lo sciamano mi porta a considerare che se l’uomo si tiene saldamente aggrappato all’immagine di sé, se manifesta una razionalità intesa come coerenza, come l’impiego della ragione per comprendere le cose del mondo, oltre a non considerare gli errori interpretativi, conferma ed esprime una forte e malcelata ignoranza.

La sua razionalità gli fa ignorare che lo sciamanesimo, la ritualità portata avanti in una funzione religiosa, l’alchimia e quella magia che mette a profitto lo sviluppo delle forze occulte che si celano in ogni organismo umano, anziché corrispondere ad incantesimi e formule magiche, consistono nella libertà di percepire, non solo il mondo dei sensi, ma anche tutto ciò che va oltre.  

Colui che intraprende coscientemente il percorso del Sapere non trema né davanti alla prospettiva della libertà e né del Libero Arbitrio, perché sa che sono alla sua portata.

Questi, supportato dalla volontà, affronta tutte le difficoltà che l’acquisizione della conoscenza, comporta, senza fretta né esitazioni. Va il più lontano possibile lungo la strada che porta ai segreti ed è conscio che essere un Uomo del Sapere non è uno stato permanente, che bisogna perseverare, e che nuove verità aspettano solo di essere svelate.     

Un’analisi certosina delle parole di don Juan mi induce a pensare che chiunque decida di aprirsi a nuove possibilità, cambiare la sua realtà e vivere l’esperienza dell’apprendistato filosofico, in primo luogo debba passare attraverso mete progressive, che, singolarmente, non rappresentano traguardi, ma ostacoli verso la fase successiva e, in secondo luogo, piegare le resistenze naturali che si interpongono tra lui e la Via della Conoscenza.

Come afferma lo sciamano, i nemici da affrontare sono: la paura, che blocca la volontà; la lucidità, che alla lunga rende ciechi; il potere, che risiede nel tipo di sapere che si possiede e al quale si finisce per assoggettarsi; la vecchiaia, che non si è in grado di vincere del tutto, ma che se l’uomo riesce a superare la stanchezza che questa procura, sia  pure per un attimo, come gesto di gratuità, costituisce soddisfazione per la vita. Avversari in grado di mettere chiunque alla prova, non per cattiveria, bensì, per spingere a crescere chi intraprende il viaggio. Usando un paradigma, i nemici rappresentano il male necessario affinché prevalga il bene.

Riconoscere e rispettare la paura che si incontra lungo il cammino, non significa cedere a essa, ma conoscerne la forza, assaporarne l’odore. Chi, quotidianamente, affronta grandi combattimenti e continua a guardare la vita negli occhi, non subisce mai una vera e totale disfatta. Invece, cedere significa abbassare la testa, rinunciare a lottare, lasciare che sia quest’emozione a guidare la propria esistenza, le scelte e il presente. Usata fuori dal suo contesto primario di sopravvivenza, spesso diviene un peso che rallenta di molto il cammino evolutivo.

L’individuo, nel momento in cui inizia a temerla se non l’abbatte, smette d’imparare e rischia di diventare un prepotente o un vigliacco. L’insuccesso non è imperituro, quindi, colui che si lascia sconfiggere dalla paura, pur non riuscendo a tornare indietro, può rialzare la testa e proseguire traendone esperienza. Se non si vuol subire lo smacco, anziché fuggire si deve resistere, perché nel farlo si acquista una fiducia così forte da non aver più sgomento e si è ricompensati dalla capacità di comprendere i propri limiti.

La lucidità, rischiarando l’orizzonte visivo, aiuta a vincere i limiti, ma inducendo l’uomo a non mettersi in discussione, facendogli credere di poter fare tutto ciò che vuole, rischia di trasformarsi in presunzione, in ego verso la vera conoscenza.

Se riesce ad intuire che la lucidità ha sia aspetti positivi che negativi, ha buone possibilità di conquistare quel potere che, se usato nel modo errato e al momento sbagliato, inebria ed induce ad abusi e a capricci, se utilizzato, invece, nel giusto modo, diventa utile.

Nel sovrastare i primi tre nemici egli ha tutto ciò che gli serve per essere un Uomo del Sapere, quindi, può imbattersi nella vecchiaia, con una grande presa di coscienza. Questa è la fase in cui, nel far leva sulla voglia di avvicinamento alla sorgente, può smettere di aver paura, liberarsi dall’impaziente lucidità ed avere il potere sotto controllo.

Il combattere, nonostante non si traduca sempre in vittoria, permette di costruire fondamenta capaci di supportare un carattere le cui peculiarità vengono fuori nel corso del tempo e che, se sviluppate ed affinate secondo precisi criteri, riescono a consentire quella risalita che è sempre legata al desiderio di riuscita, alla voglia di miglioramento.

Resomi conto che l’antropologo intende riposare le sue corde vocali, intervengo:

Miei cari, ritengo che l’insegnamento di don Juan miri a far cambiare la percezione, il senso della vita. Egli, in quanto figura centrale del dialogo, è l’archetipo del vecchio saggio che, staccandosi dall’apparenza, si tuffa nei meandri della psiche umana.

Mediante un dialogo fitto, profondo e pieno di significati ermetici, lo sciamano permette a Carlos di comprendere in che modo i cosiddetti nemici dell’uomo influiscono sul cammino verso la consapevolezza.  

Castaneda, pronto ad intervenire, aggiunge:

Quando il viandante, in compagnia della sua ignoranza e della sua umiltà, intraprende la strada che conduce all’intuizione, non è in grado di prevedere gli obiettivi futuri. I primi passi sono i più complicati perché, in mancanza di una rotta, si procede a vista e il cammino prima è lento, poi, con l’andare del tempo, si velocizza. Durante il percorso, ci si trova a fare i conti con se stesso, con i propri pensieri, perché quello che si sta imparando è diverso rispetto alle previsioni.

Il mio dialogo con don Juan sui quattro nemici dell’uomo, contiene implicazioni profonde, tra cui la vecchiaia, che, spesso, fa più paura della morte. L’individuo privo di stimoli illuminati, nel corso della sua esistenza, anziché aggiungere mattoni alla costruzione dell’edificio interiore si concentra solo sulla fabbricazione del manufatto esteriore e sull’acquisizione di beni materiali, più o meno fondamentali.

Nel percorso, mentre l’età avanza, non si vuole diventare anziani né essere considerati tali, anzi, si sogna di diventare punto di riferimento per i giovani a cui rivolgersi con grande rispetto, perché quello che si dice è sempre sensato e arricchito dall’esperienza. Colui che imbocca un percorso illuminato, per essere considerato uno di famiglia dalla comunità, si spoglia della stanchezza ed affronta il proprio destino a testa alta.

Spero che l’interessante dialogo in cui lo sciamano yaqui abbraccia tanti aspetti della vita umana, serva da ammonimento per chiunque voglia accingersi, con coerenza e cognizione, durante il cammino. Nel momento in cui, in piena coscienza, utilizzando il libero arbitrio e forte della propria volontà, diviene Uomo del Sapere ha la possibilità di fare ciò che ci si aspetta da lui.

Anziché trascorrere l’intera esistenza ad affrontare i quattro nemici, si dovrebbero ampliare gli orizzonti, vivere il momento, ascoltare la natura fluida dei pensieri e delle emozioni, con la consapevolezza di quel “qui e ora” che suggerisce d’intraprende il cammino iniziatico.  

Le azioni dell’individuo che prosciuga la sete di Conoscenza e che diviene, successivamente, Uomo del Sapere, perdono l’intrinseca fallibilità, quindi gli consentono di non dover rendere conto di alcunché. Ormai perfettamente vigile, sicuro di sé, prova rispetto ed è timoroso, ma nella giusta misura, e per lui un’eventuale débâcle corrisponde ad un’occasionale sconfitta, in una battaglia di cui non deve pentirsi.

Chi si dispone all’apprendimento, tenendo conto che i suoi limiti sono determinati dalla sua stessa natura, deve impegnarsi quanto più possibile. La paura della conoscenza è naturale, crudele, non c’è nulla che si possa fare per evitarla, se non combatterla, non lasciandosi spaventare dalla fatica dell’apprendimento.

Castaneda sollecita Fabio a interloquire e questi, prontamente, esordisce:

Nonostante l’analisi grossolana degli insegnamenti di don Juan non evidenzi né un concetto assimilabile a Dio, né il tema della salvezza, le sue parole ne lasciano intravedere la presenza.

Non vi è traccia di brama del risultato o di un premio alla fine del cammino, ma solo di una presa di coscienza dell’assoluta autoresponsabilità nelle azioni quotidiane. Traspare la presenza di un’entità simile al Sé interiore, che accompagna le persone nella lotta contro i nemici, gli istinti e tutto ciò che si oppone al percorso che conduce alla conoscenza.

Dal mio punto di vista, la figura dell’iniziato ideale, che si delinea nello sviluppo del dialogo, è quella di un uomo del tutto padrone delle emozioni e dei pensieri, pienamente autoconsapevole, nel bene e nel male, delle sue possibilità e capacità, in assoluta armonia con il senso ultimo dell’universo.

Il tema magico che si evince dal discorso dello sciamano, cedendo il passo al paradigma filosofico, in alcuni frangenti, si trasforma in un’allegoria. Egli suggerisce di vestire i panni di un apprendista paragonabile a un fiabesco guerriero, che, sostenuto solo dalla sua etica interiore, sconfigge i nemici dell’uomo.

Dopo le profonde parole di Fabio, sapendo che ha terminato, prima di abbandonare quest’interessante sogno, rifletto sugli insegnamenti dello stregone perché penso non si riferiscano solo alle tradizioni mistiche del Messico, bensì, a tutte quelle che favoriscono l’avvicinamento alla sorgente.

Don Juan, pur trasmettendo una Conoscenza esoterica, spirituale e filosofica, mediante un ermetismo quasi nascosto, cerca di farla giungere solamente a chi è in grado di recepirla.

Quanto a Castaneda, oltre ad essere un “Cercatore di Verità”, un iniziato allo sciamanesimo, un intellettuale che usa la fascinazione e l’esoterismo per veicolare messaggi spirituali di grande portata, è inquadrabile sia in un sistema filosofico molto originale, che in uno molto aderente alla fenomenologia husserliana.

Nel primo alveo è possibile cogliere una serie di elementi che, nel loro insieme, costituiscono un pensiero filosofico molto originale, raffinato, completo e coerente.

Il personaggio drammatico ma brillante, messaggero di questa visione filosofica, è don Juan, lo stregone a capo di un gruppo di apprendisti, nei quali lo stesso Carlos è destinato, in futuro, a diventarne il leader.

Un leader che cerca di comunicare il senso di urgenza estrapolato dalle parole dello sciamano, artista dell’equilibrio, efficace, poiché, oltre a giungere all’obiettivo individuale, riesce a vedere e sviluppare delle facoltà che altri non hanno, ed efficiente, giacché nel conseguirlo, non spreca energia, ossia, attenzione, e non usa tali facoltà per avere potere sugli altri.

Nel secondo alveo Castaneda appare come un filosofo che, alla fenomenologia husserliana, aggiunge una buona dose di conoscenze esoteriche e un realismo mesoamericano rappresentato dall’immaginario sciamanico.

Secondo questo pensiero fenomenologico, l’uomo, nel suo atteggiamento naturale, ha il mondo come prospettiva, quindi la sua conoscenza si basa su esperienza, intuizione e dati di fatto. Ciò lo fa vivere in una sorta di circolo vizioso del finito, in cui ogni circostanza può generare conseguenze. Un labirinto in cui l’individuo, pur vivendo in un mondo finito, può, se vuole, integrarsi in quello cosmico e infinito.

Su questo livello, la coscienza dell’uomo non illuminato, permanendo in un atteggiamento naturale, spinge verso la conoscenza che si fonda sui dati di fatto. Chi non intende correre questo rischio, che mira ad una concreta evoluzione, tiene, invece, conto che esistono altri modi di osservare la realtà e il fenomeno, tra cui l’intuizione intellettuale delle essenze che si manifesta attraverso un modo di vedere che si allontana sia dalla scienza dei dati di fatto, che dall’atteggiamento naturale che ostacola l’evoluzione interiore e che si realizza facendosi accompagnare dai fenomeni, mettendo in dubbio tutto, annullando qualsiasi pregiudizio, non prendendo per buona alcuna verità scientifica e niente che abbia a che fare con elementi verificabili.

Ciò induce a pensare che l’antropologo sia un uomo del dubbio, che mette in discussione ogni tipo di conoscenza che dà luogo a un’epochè, ad una riduzione fenomenologica, ormai conscio che può iniziare davvero a vedere, non attraverso lo studio scientifico, ma attraverso l’immaginazione, altre facoltà conoscitive e altri tipi di conoscenze.

Costui, facendosi accompagnare dal fenomeno, va oltre esso, pur partendo dall’apparenza va oltre ciò che appare; altre parole, una persona che usa penetrare nell’essenza, in ciò che è.

Castaneda, uomo del dubbio, infrange così il riflesso agnostico dell’individuo, quello schermo che consente di vedere solo il livello ordinario della realtà, rottura che, seppur possa sembrare di difficile realizzazione, è facilitata dal suggerimento di don Juan di utilizzare la pianta del potere.

Tale spaccatura è necessaria perché, invece di costringere a ragionare razionalmente, consente l’utilizzo di un livello più elevato, esperienza non replicabile dalla scienza, che s’ingloba nella metafisica.

L’aiuto che lo sciamano fornisce al suo interlocutore mi fa riflettere sul valore formativo degli insegnamenti spirituali, esoterici e filosofici, sul rapporto che si instaura e sviluppa tra insegnante ed apprendista, tra maestro e discepolo, tra don Juan e Castaneda.

Gli insegnamenti, infatti, intendono guidare il discepolo lungo un sentiero trasmutativo, che caratterizza lo sciamanesimo ed altre dottrine mistiche, spirituali ed esoteriche, come la Kabbalah e l’Alchimia, e che mostrano una vivida metodologia educativa.

Nel caso del dialogo tra lo sciamano e l’antropologo, si manifesta un particolare rapporto di mentorato armonico e rispettoso, che si sviluppa con uno stile educativo che, tenendo conto degli intrinsechi valori umani e spirituali, proietta entrambi in una visione cosmologica.

L’itinerario formativo che la relazione tra don Juan e il suo allievo – apprendista implica, sembra svilupparsi nell’apprendimento di capacità tali da rendere più cosciente l’allievo sia verso di sé che verso tutto ciò che lo circonda e che non consiste nel mero riempimento di un contenitore, ma all’accensione di una fiamma che, perpetuamente, divampa nell’anima.

Nonostante preveda la presenza di tanti dei, non deve essere interpretato strictu sensu perché, se si analizzano accuratamente le parole del curandero, si comprendono quei fenomeni che, caratterizzando la struttura naturale del Cosmo, convalidano la tesi di chi ritiene che vi sia un Dio Cosmico e omnipervasivo che, con la sua costante presenza, attesta il principio del “Tutto è Uno”.

Prima che suoni la sveglia un’ultima considerazione intriga la mia mente, perché riguarda i risvolti pedagogici, formativi ed evolutivi che caratterizzano la conversazione tra don Juan e Castaneda.

Il colloquio, infatti, sembra evidenziare aspetti quantificabili nella dimensione dell’educare al vivere e del condurre per mano, in quel cammino, irto di ostacoli e pieno di sorprese, che avvicina l’uomo alla Luce.

Mentre sento il trillo della sveglia, Carlos, con voce fioca ma udibile dice:

La differenza tra l’uomo comune e il guerriero è che il primo prende tutto come una benedizione o una sciagura, mentre il secondo affronta tutto come una sfida.

Giandomenico Tiepolo, La partenza di Pulcinella, 1797, affresco. Ca' Rezzonico, Venezia

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Autore Domenico Esposito

Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.