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Nuwara Eliya

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Nuwara Eliya


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Agosto 2012
La “Città di Luce”, Nuwera Eliya. Monte Pidurutalagala, il più alto dello Sri Lanka. Nuvole basse e cariche. Grigie. Freddo. Un luogo che non ti aspetti di trovare su quest’isola.
Un luogo fuori dal luogo.

Saliamo tra curve e nuvole. La Strada del tè. Distese immense di foreste strappate alla montagna per far posto alle piantagioni dell’oro verde. Una dopo l’altra si susseguono le varie aziende: Rotschield, MackWoods-Labookellie, Blue Field e così via. Una dopo l’altra le aziende che hanno distrutto e modificato, che distruggono e modificano la natura e la società di queste terre.

Alla Blue Field Garden abbiamo fatto una sosta, con relativa visita all’impianto produttivo.

L’industria del tè ha visto la propria nascita e il proprio sviluppo su queste montagne tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, grazie all’impero britannico. Fu nel XIX che ebbe inizio la seconda grande immigrazione di Tamil in Sri Lanka.

Era il 1827 e l’allora governatore dell’isola, Sir Edward Barnes, spinto dalle richieste di George Bird, proprietario di vaste piantagioni di caffè nei dintorni di Kandy, iniziò il “reclutamento” di Tamil principalmente dallo Stato indiano del Tamil Nadu.
Arrivati in Sri Lanka venivano confinati in quarantena nei campi intorno alla città di Matale. Qui erano esaminati e vaccinati prima di essere trasferiti a Kandy dove poi erano smistati nelle varie piantagioni di tè, caffè, gomma e palme da cocco.

Ancora oggi tra le foglie verde smeraldo si vedono donne Tamil con in testa o sul dorso i cesti carichi. Sembrano fantasmi. Camminano tra le piante, per sentieri percorsi migliaia di volte dai propri antenati.

Penso alle immagini che svariate volte ho visto di queste donne, nessuno, però, ha mai avuto il coraggio o si è mai interessato di conoscere e diffondere la loro storia di schiavi moderni.

Una sorte che si tramandano di generazione in generazione da quasi due secoli.
I “Tamil delle piantagioni”, così furono chiamati. Negli anni ’60 del novecento molti di essi furono rimpatriati, altri ricevettero la cittadinanza srilankese. Ma ancora molti erano gli apolidi. Negli anni ’90 ci furono altre concessioni di cittadinanza. Probabilmente ancora oggi tra loro ce n’è qualcuno che per il mondo non esiste.

Arrivati a Nuwara Eliya si ha l’impatto con la povertà. La maggior parte, come si può immaginare, ha il volto del popolo Tamil. Un aiuto concreto a questa popolazione di immigrati forzati arriva principalmente dal Giappone e dalla Corea del Sud. Un’assurdità!
Davvero una sensazione strana: l’estrema ricchezza di questa città “inglese” con ville, alberghi e campi da golf e la popolazione povera che mendica oppure che vive in baracche nei pressi delle piantagioni.

Girandosi attorno si è circondati da un laghetto, un campo da golf, l’ufficio postale in stile vittoriano con i mattoni rossi, l’edificio anch’esso vittoriano della Hatton Bank, il Grand Hotel, il Victoria Park, i prati verdi e le piante di rose.

Il primo occidentale a giungere in questi luoghi fu l’inglese John Davy nel 1819. Al tempo era un luogo governato unicamente dalla natura.
I singalesi lo conoscevano come Neueraelliyapattan. Nel 1890 l’archeologo inglese Bell sostenne che il territorio di Nuwara Eliya fosse abitato già nel X secolo.

In questa città si rifugiò il re di Kandy nel 1610 fuggendo i portoghesi. Divenne così residenza reale, Nuwara. Il governatore Barnes si innamorò di questi luoghi costruendovi una propria casa che in seguito divenne il nucleo del Grand Hotel.

Nel 1847 l’esploratore Samuel Baker, il primo ad esplorare il Nilo scoprendo poi il Lago Albert in Uganda, rimase affascinato da questi luoghi, fondandovi, in seguito, una comunità inglese introducendo le proprie idee di sviluppo così come le coltivazioni europee, fragole, lattuga, etc., tuttora presenti.

In poco tempo divenne un luogo dove gli inglesi potevano ritemprarsi godendo di un clima fresco e avendo a disposizione vari svaghi dal golf al cricket, dalla caccia alle corse dei cavalli alle esposizioni floreali. Un piccolo mondo inglese, insomma, riprodotto sul Pidurutalagala.

Oggi sono tanti i srilankesi che vengono qui. Molti, però, sono coloro che si fermano solo una o al massimo due notti per poi ripartire verso altre destinazioni.

Una città dal cielo grigio e pesante. Dal sole che si affaccia ogni tanto per riscaldarti. Dal vento che corre sul lago. Una città silenziosa. Dalle finestre chiuse.
È in questa città, nel suo territorio che si trova la “Fine del Mondo”. Un dirupo di 1200 metri nel vicino Horton Plains National Park. Il mondo ai tuoi piedi senza avere più fiato!
Una città alla fine del mondo che forse non avrebbe dovuto essere lì o comunque in modo diverso.

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Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!