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L’esoterismo del ‘Don Chisciotte della Mancia’

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'Don Chisciotte della Mancia'


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Dopo esserci soffermati sulla vita di Miguel de Cervantes ed aver analizzato Don Chisciotte e l’Inquisizione, con questo articolo terminiamo le nostre riflessioni critiche sull’esoterismo del ‘Don Chisciotte della Mancia’. Questioni che tuttavia persistono nel dibattito trai numerosi critici della letteratura.

Rafael Urbano nel suo trattato ‘Es un libro esoterico el Quijote?’ afferma che questo romanzo non è un’opera esoterica perché mostra il fallimento degli ideali e non cela in questo fallimento alcun significato nascosto. Secondo questo letterato, l’esoterismo del ‘Don Chisciotte’ può essere circoscritto alla scienza cosmologica ed in parte alla psicologia dei personaggi.

Quanto scritto da Urbano e da altri critici letterari è anche una risposta energica e perentoria alla critica operata precedentemente da Nicolás Díaz de Benjumea, un famoso scrittore e professore di letteratura dell’epoca che diede del ‘Don Chisciotte’ una lettura fondamentalmente anticlericale e per questo fu additato all’epoca come

racionalista libre pensador anticatólico

che

siguiendo la filosofía masónica, pretendías encontrar simbologías esotéricas y anagramas en el Quijote.

Gli storici e i critici, formulando questa accusa, curiosamente dimenticano che anche Rafael Urbano era un massone ed uno studioso di teosofia.

Ritornando alla critica del De Benjumea questi, in estrema sintesi, affermava che il ‘Don Chisciotte’ fosse una satira delle credenze e delle superstizioni religiose e della devozione alla Madonna.

Dulcinea corrispondeva quindi alla Vergine Maria che dispensa bellezza ed eleva l’animo, di fronte alla quale l’Hidalgo si inchina, o, in alternativa, corrispondeva alla luce della Ragione. Un don Chisciotte anticlericale, considerati i suoi frequenti scontri con rappresentanti del clero, nei riguardi del quale appare manifestamente ostile. Un clero ignorante mosso dal fanatismo e dall’intolleranza, in una Spagna manovrata da una dispotica teocrazia ecclesiastica. Non manca un riferimento negativo nei riguardi dei Dominicani e meno negativo verso i Gesuiti, ma queste appaiono deduzioni piuttosto questionabili.

Una delle evidenze su cui De Benjumea interpreta l’anticlericalismo di Cervantes è nell’esegesi allegorica dell’arrivo notturno a Toboso del Cavaliere e di Sancho a Toboso per omaggiare Dulcinea. Allo scuro, in tarda notte, i nostri due personaggi confondono una chiesa con il presunto palazzo della dama e perentoria ed evocativa giunge l’esclamazione del nostro don Chisciotte, che nell’allontanarsi dal luogo, afferma:

Con la Chiesa abbiamo già dato.

A detta di Benjumea e di altri critici questa affermazione costituisce un’evidente presa di posizione anti-ecclesiastica. È in tutta l’opera critica di Benjumea e di Urbano, a prescindere dalla comune formazione spirituale, che si fronteggiano due correnti di pensiero basate sulla natura “esoterica” o “parzialmente esoterica” del messaggio di Cervantes.

Il confronto tra “saggi critici” e le varie “interpretazioni”, così come il romanzo stesso, devono necessariamente tener conto dell’epoca e delle influenze filosofiche e politiche in cui furono scritti. Non esiste una lettura “univoca” o “oggettiva” o ancora “ortodossa” che possa ritenersi “al di fuori del tempo” per il ‘Don Chisciotte’.

È difficile ipotizzare mediazioni tra posizioni critiche così distanti nella sostanza e nelle influenze dei loro tempi senza considerare la possibilità di dare di quest’opera una visione propria, con una lettura forse differente da quanto esposto nei precedenti saggi critici. Proverò quindi ad esporre ciò che mi ha rivelato in chiave esoterica la lettura di alcuni passi del romanzo, a cominciare dallo sfondo cavalleresco sul quale si muove don Chisciotte.

La cavalleria è una via iniziatica, un mezzo per superare l’umano e giungere alla Luce. Il cavaliere Don Chisciotte pazzo, debole e brutto percorre questa via iniziatica a suo modo cercando di coniugare saggezza, forza e bellezza che rappresentano le colonne del Tempio universale.

Il cammino, a prescindere dai propri limiti, deve essere aperto dalle proprie decisioni e dalle proprie scelte ed in ciò si conferma il sacro principio del Libero Arbitrio. Il bene non si ottiene solo attraverso l’esercizio della propria volontà e don Chisciotte, armato delle proprie vetuste armi, che sono le sue facoltà e le sue capacità, esce dalla scrittura e s’incammina per le strade del mondo come un personaggio di carta. Non può integrarsi oggettivamente nella realtà che attraversa.

Sancho, che simboleggia la coscienza, dialoga con don Chisciotte e si abbandona all’ascolto di questi monologhi che affermano gli ideali di giustizia, cortesia e difesa degli oppressi. Un idealismo forse davvero poco concreto, ma che è nostro nelle quotidiane battaglie della nostra coscienza. Forse l’emulazione a tratti cerimoniale, quasi liturgica cui Sancho si sottopone passivamente, ma non senza remore, può essere considerata segretamente iniziatica. Sancho imita don Chisciotte come l’iniziando imita il Maestro, inconsapevolmente, senza pensarci troppo e perché «così si fa». Perché l’iniziazione stessa si compia. Sancho, antieroico, goffo e stolto, esegue le sue prove iniziatiche di cavalleria e di metafisica.

Ritroviamo diversi aspetti dell’iniziazione muratoria e del cammino dell’adepto nei “viaggi”, nelle “prove”, nelle scarse vittorie e nelle frequenti sconfitte del ‘Don Chisciotte’. Senza volerle enumerare e classificare tutte, perché le pagine di un libro non basterebbero, possiamo citarne qualcuna.

Ad esempio nell’avventura della Sierra Morena il nostro Eroe, spogliatosi delle proprie armi e delle vesti, steso nudo sulla dura terra, rappresenta l’abbandono dei metalli ed il segno della pulizia mentale dal falso sapere. Scrive il suo Testamento spirituale che è anche supplica nella celebre lettera alla sua Dulcinea. Calandosi legato ad una corda, nella grotta di Montesino, discende negli inferi. L’avventura della barca che si capovolge sul fiume Ebro, dove rischia di affogare, è paragonabile alla purificazione dell’acqua.

Nella vicenda del Clavilegno, don Chisciotte e Sancho sono bendati e per dare loro la sensazione di volare, il cavallo viene fatto impennare tramite una leva mentre dei complici soffiano loro dell’aria sul viso con dei mantici e qualcun altro avvicina ai loro volti una torcia accesa per far loro credere d’essere vicini al sole. È questa assimilabile alla prova dell’aria e del fuoco.

Le battaglie contro i maiali ed altri animali, scambiati per propri nemici, rappresentano la lotta contro la propria parte materiale. Lotta necessaria per lo spirito umano e per avvicinarsi al Principio Primo della Creazione.

In un successivo dialogo con Sancho che gli fa notare quanto fosse brutto con la sua figura magra e allampanata, egli risponde:

Avverti, Sancho, che esistono due forme di bellezza: una dell’anima e l’altra del corpo. Quella dell’anima campeggia e si manifesta nell’intelletto, nell’onestà, nel modo di procedere, nella generosità e nella buona educazione, e tutte queste virtù si possono trovare anche in un uomo brutto; e quando si ha di mira questa bellezza, e non già quella del corpo, l’amore suole erompere con impeto e vigore.

Un vero e proprio gioco di specchi attraverso il quale viene demolita la concezione univoca della realtà, sostituita da numerose prospettive che forniscono un quadro sfuggente, contraddittorio, in eterno equilibrio tra reale e irreale.

Tra le tante indicazioni che il Cavaliere affida a Sancho, la più significativa è una vera e propria raccomandazione a riflettere in se stesso, dando un senso alla ricerca interiore e costituendo le basi dell’esoterismo dell’iniziando.

Don Chisciotte, rivolgendosi a Sancho, con decisione e fermezza, dichiara:

Devi tener presente, sempre dinanzi agli occhi, quello che sei, cercando di conoscere te stesso, che è la conoscenza più difficile che si possa immaginare.

Anche questo romanzo come ogni viaggio dell’umano è destinato a terminare. Don Chisciotte si ammala e in punto di morte afferma:

Il mio intelletto è ora libero e chiaro (…).
Io riconosco i loro inganni, e mi duole d’essermene accorto troppo tardi, poiché non mi resta tempo di compensare il mio fallo con la lettura d’altri libri che possano illuminarmi.

(…) Vorrei morire in modo da far capire che la mia vita non è stata tanto cattiva da meritarmi la reputazione di pazzo: perché sebbene lo sia stato, non vorrei confermare questa verità con la mia morte.

Cervantes non risparmia al suo eroe la terribile illuminazione sulla sua condizione al termine della vita, conducendolo ad una ignominiosa negazione di se stesso giunto alla fine della propria lotta. Muore in modo insignificante smentendo se stesso.

Muore togliendosi la maschera che aveva indossato o forse coprendosi il volto con una “verità” di cui forse noi per primi non siamo convinti:

Rallegratevi con me, perché io non sono più Don Chisciotte, ma Alonso Chisciano, a cui gli esemplari costumi meritarono il nome di buono (…) Ormai mi sono odiose tutte le storie della cavalleria errante.

Questa dichiarazione di sconfitta rappresenta anche la conquista di una certezza: se non ha vinto contro il male il nostro protagonista si è trasformato in Chisciotte il Buono. Un Uomo nuovo che idealmente risorge dalle ceneri dei suoi fallimenti. Queste avventure, questi viaggi e queste considerazioni, somigliano al travaglio dell’iniziato e al travaglio per giungere al cospetto della Luce.

Cervantes, da buon alchimista della sua epoca, riesce a tramutare gli archetipi creati dai suoi personaggi al fine di illuminare efficacemente i fatti, in un ambiente contemporaneo opprimente.

La chiave simbolica di Cervantes consiste quindi nell’indicare il giusto comportamento dell’Uomo per il quale prima vengono gli Ideali e solo dopo la realtà della vita.

A conferma di ciò Joseph Campbell, nella sua opera ‘Un eroe da mille volti’ informa dell’astuto utilizzo della simbologia applicata nel don Chisciotte e che ogni buon filosofo deve applicare nelle sue opere, affermando che:

i simboli sono gli unici “veicoli” della comunicazione; non devono essere fraintesi per il termine finale, il “tenore” del loro referente. Non importa quanto attraenti o impressionanti possano sembrare, restano convenienti mezzi, adattati alla comprensione.

A questa lettura ed interpretazione dei simboli del romanzo, accentuando il carattere unico ed esoterico del ‘Don Chisciotte’, consideriamo ciò che ne ‘Il tempo ritrovato’ Proust afferma quasi come diritto del lettore:

Ogni lettore quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe visto in se stesso.

L’opera pur generata ed appartenente al suo Autore viene quindi progressivamente assorbita e fatta propria dal lettore. Un processo alchemico di fusione della propria spiritualità con questo nuovo componente, che modifica per sempre sia colui che riceve l’opera che l’opera stessa.

Il ‘Don Chisciotte’ è opera di Cervantes ma “la lettura” e l’intima interpretazione di ciascuna delle vicende dell’opera sono del lettore.
E riteniamo, in conclusione, che sia proprio l’inclinazione verso la personale interpretazione del ‘Don Chisciotte’ che costituisca il reale esoterismo di questo straordinario ed inimitabile capolavoro non solo della letteratura ma dello spirito.

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Autore Alfonso Oriente

Alfonso Oriente, nato a Napoli il 13/06/1965, è Professore di Reumatologia e Riabilitazione Reumatologica presso l'Università Federico II di Napoli. Ha compiuto ricerche in campo immunologico per diversi anni presso la Johns Hopkins University negli Stati Uniti. Appassionato di esoterismo, letteratura, musica rock e jazz, considera il suo vero hobby riuscire a scrivere di queste cose insieme.